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espinosa-foto-protestadi Filippo Fiorini - 3 agosto 2015
Il fotoreporter Espinosa stava per pubblicare un reportage sulla corruzione. Il collega Marquez: era sempre sotto minaccia
Le immagini dell’appartamento di Città del Messico in cui il fotografo Ruben Espinosa è stato trovato morto sabato mattina, insieme ad altre quattro donne, assomigliano a quelle del suo ultimo servizio giornalistico. Erano gli interni della casa di un gruppo di studenti, assaliti da 10 uomini armati di machete, al rientro da una manifestazione di protesta. Ci sono i libri aperti a terra, i vestiti gettati ovunque e poi, le macchie di sangue su pavimenti e pareti, proprio come nel posto in cui hanno ammazzato lui.

«Colpa delle istituzioni»
Felix Marquez ci pensa su e dice: «Credo che sia stato il reportage che è costato la vita al mio amico», ma poi precisa, «no, la colpa non è delle foto, la colpa è di chi crede di poter governare il paese con la violenza e di chi gli permette di restare impunito». Con le reflex al collo, Felix e Ruben hanno battuto insieme per quasi dieci anni lo stato di Veracruz, che si affaccia sul Golfo del Messico e registra il maggior numero di giornalisti uccisi degli ultimi tempi: 7 dall’inizio dell’anno, su un totale nazionale di 36, e 103 a partire dal 2000. Ruben sceglieva il bianco e nero per gli scatti di vita quotidiana e il colore per il fotogiornalismo, che gli fruttava circa 400 dollari al mese, con macchina e obiettivi a spese proprie. In un territorio in gran parte dominato dal cartello narco dei Los Zetas, questo fotografo 32enne non si è mai occupato di traffico di droga, ma quasi solo di reclami sociali. Per questo, è all’amministrazione di Veracruz che colleghi e associazioni per la libertà di stampa chiedono ora spiegazioni su un crimine che, in assenza di oggetti rubati o piste alternative, si inclina verso l’ipotesi della vendetta.
Da tempo, Espinosa denunciava che gli uomini del governatore locale, Javier Duarte, gli stavano alle calcagna. Due settimane fa, aveva detto in televisione che il portavoce di questo politico, Miguel Valera, gli aveva offerto dei soldi per cancellare certe immagini scomode. «La bustarella l’ha rifiutata - spiega Felix - quello che non ha potuto evitare sono state le botte che gli hanno dato in altri episodi, per esempio, durante lo sgombero di un sit-in di maestri nel settembre 2013».

Botte e pedinamenti
espinosa-manif-c-Dario Lopez-Mills-Ap AnsaI pedinamenti, gli spintoni e il dito indice appoggiato sulla bocca per dire «taci», che Ruben si vedeva fare sempre più spesso da uomini vestiti di scuro attorno a casa, lo avevano portato a fine giugno alla decisione di ritornare a vivere coi genitori nella capitale. Cambiare aria, però, non è bastato. Nel comunicato in cui per prima ha dato notizia della sua morte, l’associazione internazionale «Article 19», a cui si era rivolto per l’assistenza legale, spiega che, se i suoi sicari lo hanno raggiunto anche nel luogo in cui si era esiliato, allora, «siamo davanti a un salto di qualità nella persecuzione ai giornalisti messicani».
«L’avevo sentito un paio di giorni fa, mi ha detto che era contento, perché questa settimana avrebbe incassato i compensi con la rivista Proceso e invece non ha fatto in tempo», si rammarica Felix. Questo settimanale di denuncia, con cui Ruben collaborava abitualmente, ha perso in un contesto analogo anche la giornalista Regina Martinez, uccisa nell’aprile 2012. A Ruben, Proceso aveva dato una delle grandi soddisfazioni di carriera. Una foto in prima pagina, in cui il governatore Duarte porta un cappello da poliziotto e si guarda intorno con aria di sfida. Il titolo dello speciale era: «Veracruz, uno stato fuorilegge».

Tratto da: La Stampa del 3 agosto 2015

Foto in alto: (© ruben espinosa) - La protesta. Una delle ultime foto di Espinosa durante una manifestazione a favore della libertà di stampa

Foto a destra: Una manifestazione a Città del Messico dopo la morte di Rubén Espinosa, un fotogiornalista messicano di 31 anni che lavorava per la rivista Proceso. Espinosa è stato trovato morto il 2 agosto 2015 insieme ad altre quattro persone, a un giorno dalla sua scomparsa. (Dario Lopez-Mills, Ap/Ansa)

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