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matite spezzate 610di Emilia Cardozo
“Mano a mano che i giorni trascorrevano il caldo si faceva sentire, la colla del nastro adesivo che copriva il cotone (la benda che avevano sulle palpebre) iniziava a sciogliersi. Il prurito era insopportabile. Si aprivano delle piaghe negli occhi. Puzzavano. Erano putrefatti. Iniziammo ad avere forti dolori nelle braccia. Avevamo i segni della corda attorno al collo e non riuscivamo a slegarci. Dormivamo in quelle condizioni. A ottobre, novembre, credevamo di essere morti. María Clara e altri compagni e compagne tentarono il suicidio”.
Questo frammento del racconto di Pablo Díaz, sopravvissuto alla “notte delle matite spezzate”, ci apre la porta ad una realtà buia dell’Argentina, un’ombra della nostra storia.
La distanza nel tempo può farci cadere nella tentazione dell’oblio, facendo sì che questi ricordi, come quelli descritti da Pablo Díaz, rimangano solo un testo su un libro di storia o in una pagina di giornale. Ma queste parole sono ancora oggi più vive che mai.
Sono trascorsi 41 anni da quella sera, e non dimentichiamo l’orrore patito da quei giovani in mano al terrorismo di Stato nell’Argentina del ’76, perché se lo facessimo, sarebbe come torturarli ancora una volta.
Oggi più che mai dobbiamo pretendere giustizia per quelle voci messe a tacere con torture e assassinii affinché non succeda mai più.
Dopo 41 anni da quella sera, le matite di oggi ci chiedono: dove sono le menti perverse che misero in atto quel piano? Dove sono i civili che accompagnarono le atrocità delle dittature? Dove sono i desaparecidos di ieri e di oggi?
Dov’è Santiago Maldonado?
Le lotte di ieri ispirano quelle di oggi.
Le matite scrivono ancora.

*Foto di Copertina: youtube.com

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