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La guerra prosegue verso il sud della Striscia. A Rafah colpito asilo nido, morti due bambini e decine i feriti

Il partito islamista palestinese Hamas è pronto a rifiutare l’accordo mediato a Parigi per il rilascio degli ostaggi e la tregua a Gaza. A dirlo è l’emittente Al-Arabiya, ripresa anche dagli israeliani Ynet e Jerusalem Post. Hamas chiederebbe, secondo le fonti citate dal media saudita, un maggior numero di detenuti palestinesi da liberare da parte di Israele. La risposta scritta a Egitto e Qatar dovrebbe essere inviata “contemporaneamente” nelle prossime ore e - stando a fonti citate da un altro quotidiano saudita, Al-Sharq - conterrebbe anche la richiesta di un cessate il fuoco permanente. Richiesta che finora Israele ha sempre rifiutato. La questione, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, è molto accesa e dibattuta anche all’interno dello stesso partito armato palestinese e avrebbe creato due diverse fazioni: da un lato il chief political bureau Ismail Haniyeh pretende un cessate il fuoco duraturo e chi, come il leader della fazione di Gaza, Yahya Sinwar, si accontenterebbe di sei settimane di stop ai bombardamenti per riorganizzare al meglio i suoi combattenti. A breve si dovrebbe riunire anche la controparte israeliana con il gabinetto di guerra.
A questo proposito, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha voluto chiarire che nessuna concessione sarà fatta su alcuni punti fermi stabiliti dall’esecutivo, come ad esempio la liberazione di alcuni detenuti considerati estremamente pericolosi, dato che nelle scorse ore si è parlato della possibile scarcerazione di Marwan Barghuthi, uno dei leader della Seconda Intifada del partito Al Fatah, considerato il “Mandela palestinese”. “I nostri sforzi per liberare gli ostaggi procedono incessantemente - ha detto Netanyahu - Come ho già detto non accetteremo ogni accordo né a ogni prezzo. Molte cose che sono state dette nei media come se le avessimo accettate, ad esempio la liberazione dei terroristi, non le accettiamo”. E ha ribadito che Israele non metterà fine alla guerra fino “all’eliminazione di Hamas, il ritorno di tutti gli ostaggi e al raggiungimento dell’obiettivo di una Gaza che non rappresenti più una minaccia per Israele”.


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© Imagoeconomica


Netanyahu ha risposto anche sulla questione dei rapporti con gli Stati Uniti, dopo le dichiarazioni del ministro per la Sicurezza Nazionale, Itamar Ben Gvir, che accusa Joe Biden di inviare aiuti a Gaza e quindi, secondo lui, ad Hamas, auspicando un ritorno di Donald Trump. “Noi apprezziamo profondamente il sostegno che abbiamo ricevuto dall’amministrazione Biden sin dall’inizio della guerra - ha affermato Netanyahu cercando di frenare gli attriti - Questo non significa che non abbiamo disaccordi, ma finora siamo riusciti a superarli con decisioni determinate e considerate. Voglio dirlo sulla base della mia esperienza, la chiave è sapere come navigare, dire sì quando è possibile, dire no quando è necessario. Non ho bisogno di aiuto per sapere come navigare nella nostra relazione con gli Stati Uniti e la comunità internazionale, difendendo i nostri interessi nazionali”.


La guerra va verso Rafah, colpito asilo nido

Intanto la guerra a Gaza si spinge sempre più a sud verso Rafah, città al confine con l’Egitto dalla quale passa la stragrande maggioranza degli aiuti per la popolazione e nella quale si è ammassata la quasi totalità dei rifugiati della Striscia. Un raid israeliano ha colpito un asilo dove vengono tenute le persone rimaste senza casa, uccidendo due bambini e provocando anche decine di feriti. Il tutto mentre nella Striscia il disastro umanitario assume dimensioni sempre più preoccupanti. Come scrive Unrwa su X, ormai "l’accesso all’acqua pulita e ai servizi igienico-sanitari è molto limitato per via degli incessanti bombardamenti. La crisi umanitaria, aggravata dalle limitate consegne di aiuti e dalla distruzione delle infrastrutture, mette migliaia di persone vulnerabili a rischio di malattie". Inoltre, secondo l'agenzia umanitaria delle Nazioni Unite Ocha, nel fine settimana almeno 20 palestinesi sono stati uccisi negli attacchi israeliani su Rafah, in un’area di Gaza precedentemente designata zona sicura dall'esercito israeliano e dove centinaia di migliaia di palestinesi erano fuggiti.

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