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28 febbraio 2012
Roma. Non è stato semplicemente un disastro naturale a causare il tragico incidente alla centrale di Fukushima Daiichi, ma piuttosto il fallimento del governo, delle agenzie di controllo e dell'industria nucleare giapponese. Questa la conclusione principale del rapporto «Fukushima, un anno dopo» presentato oggi da Greenpeace International a quasi un anno dal disastro. «Si è trattato di un disastro causato dall'uomo -afferma l'associazione ecologista- che potrebbe ripetersi in ciascuno degli impianti nucleari del pianeta, mettendo a rischio milioni di persone». «Anche se fu innescato tecnicamente dal terremoto e dallo tsunami dello scorso 11 marzo, il disastro di Fukushima è stato causato dal fatto che le autorità giapponesi hanno deciso di ignorare i rischi del nucleare e di dare priorità agli interessi economici piuttosto che alla sicurezza» riferisce Jan Van de Putte, esperto di sicurezza nucleare di Greenpeace International. «Questo rapporto -prosegue- dimostra che il nucleare è intrinsecamente insicuro e che i governi autorizzano la costruzione di centrali nucleari senza avere le capacità di fronteggiare i problemi che possono derivarne nell'interesse della sicurezza dei cittadini». «Tutto questo non è cambiato dal disastro di Fukushima, e per questo milioni di persone continuano ad essere esposte al rischio nucleare, in tutto il mondo» aggiunge Van de Putte. Il rapporto che Greenpeace International ha commissionato ad un gruppo di esperti indipendenti, giunge a tre conclusioni principali. La prima è che le autorità giapponesi e gli operatori dell'impianto di Fukushima hanno agito sulla base di assunzioni assolutamente errate sulle probabilità di un incidente grave: i rischi erano noti ma minimizzati e ignorati. Secondo il rapporto, inoltre, «sebbene il Giappone sia considerato uno dei Paesi meglio preparati al mondo per fronteggiare disastri di grande entità, nella realtà dei fatti questo disastro si è dimostrato peggiore, nelle sue conseguenze, di ogni ipotesi pianificata: i piani di emergenza nucleare e di evacuazione non sono riusciti a proteggere adeguatamente le persone». La terza conclusione cui sono arrivati gli esperti di Greenpeace è che centinaia di migliaia di persone hanno sofferto le conseguenze dell'evacuazione forzata per evitare l'esposizione alle radiazioni. «Queste persone -dice l'associazione- non possono rifarsi una vita perchè non hanno ancora ottenuto indennizzi». «Il Giappone -prosegue Greenpeace- è uno dei tre soli Paesi al mondo che, per legge, considera un operatore di impianto nucleare, la Tepco in questo caso, interamente responsabile dei danni causati da un disastro nucleare ma, evidentemente, i meccanismi di riconoscimento della responsabilità del danno e della successiva erogazione degli indennizzi alle vittime non funzionano». «A un anno dal disastro le persone colpite -aggiunge- sono sostanzialmente abbandonate a sè stesse e, alla fine, saranno i contribuenti giapponesi, e non Tepco, a pagare la maggior parte dei danni». «Questo disastro era prevedibile, ma è accaduto a causa della vecchia consuetudine di ammorbidire le regole che, non solo in Giappone, tutelano i profitti a danno della sicurezza delle persone» afferma Kazue Suzuki di Greenpeace Giappone. «Non a caso -dice ancora Suzuki- le autorità giapponesi stanno facendo pressione per far ripartire i reattori nucleari come se il disastro di Fukushima non fosse mai avvenuto: così i cittadini dovranno pagare un'altra volta per gli errori del proprio governo». «Non è possibile obbligare le persone a convivere col mito della sicurezza nucleare e in attesa del prossimo disastro» incalza Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace Italia. «L'energia nucleare -conclude- deve essere progressivamente abbandonata, come sta già facendo la Germania, e rimpiazzata da investimenti intelligenti in efficienza energetica e fonti rinnovabili».

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