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natoli-gioacchinoL'INTERVISTA
di Alessandra Ziniti - 23 maggio 2015
Il magistrato alla guida della Corte d’appello lavorò nel pool dell’ufficio istruzione “Le polemiche nell’antimafia sono dinamiche fisiologiche”
«Oggi quando si parla dell’Italia non si parla più dell’Italia della mafia ma di quella dell’antimafia. Un paese che ha onorato il sangue dei suoi martiri arrestando e condannando i vertici di Cosa nostra ma senza arretrare di un centimetro sul fronte delle garanzie costituzionali, rispettando in pieno le regole dello Stato democratico, così come è stato per la lotta al terrorismo. E questo, 23 anni dopo la strage di Capaci, è forse il più bel successo».
Nel suo nuovo studio di presidente della Corte d’appello di Palermo dove si è insediato da pochi giorni, Gioacchino Natoli (uno dei magistrati che lavorò fianco a fianco con Giovanni Falcone condividendo l’esperienza del pool antimafia)tira un bilancio con più luci che ombre alla vigilia dell’anniversario che, dal 1992, costituisce occasione per fare il punto sulla lotta alla mafia.

Presidente Natoli, il modello del pool antimafia è ancora attuale oggi?
«Altro che, e finalmente oggi la scuola superiore della magistratura sta facendo conoscere gli elementi costitutivi del cosiddetto metodo Falcone ai futuri colleghi. È un metodo attualissimo che Giovanni aveva pensato di trasformare in legge. È il modello delle Dda e della Procura nazionale antimafia che, con Falcone vivo, avrebbe trovato certamente dei correttivi che lo avrebbero reso ancora più efficace. Pensiamo che lui l’ha visto nascere, nel novembre del 1991 e dopo pochi mesi è stato ucciso. Pensate, con quella mente fervida che aveva, in vent’anni e passa di lavoro che strumenti raffinati di lavoro avrebbe proposto. Fa strano pensarlo, ma sarebbe andato in pensione l’anno scorso».

Rispetto al 1992, la situazione oggi è molto diversa, sicuramente migliore, ma Cosa nostra come l’abbiamo conosciuta in quegli anni esiste ancora?
«Assolutamente sì, la mafia che ha ucciso Falcone c’è ancora anche se oggettivamente le cose sono molto migliorate e lo erano già nel 1992 quando l’impegno di magistrati e forze dell’ordine aveva consentito di dare la grande risposta del maxiprocesso. Oggi il vero passo in avanti è la sempre maggiore attenzione quotidiana delle istituzioni sul problema mafia e in questo senso l’auspicio di Falcone si è realizzato.
Lui voleva che lo Stato desse una risposta ordinaria e non sempre d’emergenza. Diceva: “Come l’uomo d’onore è mafioso tutti i giorni anche lo Stato deve essere lo Stato tutti i giorni”».

Le polemiche e gli “incidenti di percorso” di queste settimane rischiano di incrinare il fronte antimafia?

«Direi che siamo di fronte a dinamiche fisiologiche della società civile. Stiamo attenti a non disperdere energie positive del Paese e ricordiamoci che 30 anni fa tutte queste organizzazioni che lavoravano per la legalità non esistevano. Trent’anni fa c’erano ancora rappresentanti delle istutuzioni che negavano l’esistenza dell’antimafia. Le polemiche sui professionisti dell’antimafia sono risalenti nel tempo e pericolose. Ricordiamoci del dispiacere che quel titolo di giornale provocò a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino».

Tratto da: La Repubblica del 23 maggio 2015

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