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19 novembre 2013
Secondo i giudici non ci fu alcun accordo fra mafia e massoneria deviata: la Corte di appello di Palermo ha confermato le cinque assoluzioni decise in primo grado nonostante il procuratore generale avesse chiesto di ribaltare il verdetto e condannare tutti gli imputati accusati di avere messo in piedi un torbido intreccio affaristico a cavallo di tre province (Agrigento, Palermo e Trapani) che sarebbe arrivato persino a violare il palazzo della Cassazione. La sentenza di appello del processo scaturito dall’inchiesta “Hiram” è stata emessa ieri pomeriggio. Cinque anni di reclusione erano stati proposti per l’imprenditore mazarese Michele Accomando, quattro anni per il ginecologo palermitano Renato Gioacchino De Gregorio, dodici anni per l’imprenditore agrigentino Calogero Licata, 6 anni e 6 mesi per l’impiegato della Cassazione Guido Peparaio e 6 anni per l’imprenditore Nicolò Sorrentino, marsalese originario di Realmonte. I giudici della prima sezione della Corte di appello di Palermo presieduta da Gianfranco Garofalo, dopo oltre tre ore di camera di consiglio, hanno invece accolto le tesi difensive e confermato tutte le assoluzioni decise in primo grado il 2 dicembre del 2010. Le accuse a vario titolo erano di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione aggravata e accesso abusivo a sistema informatico. Gli imputati, secondo l’accusa iniziale che non ha retto nei due gradi di giudizio, avrebbero messo in piedi una rete di corruzione con mafiosi e massoni deviati che riusciva persino ad aggiustare i processi in Cassazione.

agrigentoweb.it

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