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Egregio professor Costantino Visconti, docente di diritto penale presso l'Università di Palermo, nella sua intervista su Il Foglio (dal titolo “No alla fuffa antimafia”) intervistato da Ermes Antonucci, afferma: "E' chiaro che fino a quando nelle scuole si contineuranno ad invitare Saverio Lodato e Nino Di Matteo, che dicono che lo Stato è marcio, si darà un messaggio diverso alle nuove generazioni”.
La “storia vera” è dolorosa e crudele! Non è sufficiente un complesso processo e le relative sentenze spesso a delinearla. La “verità processuale” è la risultante di quanto il sistema giuridico, mai assoluto ma frutto di tante raffinate evoluzioni o involuzioni (a seconda dei gusti), mette a disposizione di magistrati inquirenti, giudicanti e avvocati per addivenire a sentenze in giudicato fino all’ultimo grado di giudizio. Ma a me non basta la “verità processuale”!
Abbiamo l’obbligo morale di ricercare tutti i tasselli che compongono il mosaico.
L’informazione “verificata”, non quella “farlocca”, ha un ruolo determinate nella formazione dei cittadini e soprattutto delle giovani generazioni che di fatto saranno il loro stesso futuro. E le università che ruolo dovrebbero avere secondo lei nei confronti della formazione? In quale recondita parte della sua sapienza e docenza è stato relegato quel sano principio del “diritto” alla democrazia, al dialogo, al confronto e al pluralismo?
Il suo “invito” a scuole e università di mettere al bando Nino Di Matteo e Saverio Lodato ha tutto il sapore acre di censura.
Non credo che nello scibile del diritto da lei insegnato vi sia qualche trattatello di censura ma se ci fosse credo che apparterrebbe ad epoche molto problematiche per i diritti civili e penali, e sono certo che lei è lontano da certi rigurgiti e fedele alla nostra amata Costituzione, che tanto ci invidiano nel mondo e che purtroppo facciamo fatica ad attuare.
Verità e giustizia spesso si rincorrono, si incrociano, si allontanano e pochissime volte hanno il privilegio di coincidere, di stare a braccetto.
La sentenza sulla “Trattativa” rappresenta il più raffinato degli esercizi “semantico-linguistici”. Fatti avvenuti e definiti dallo stesso generale Mori come tali nel processo costituiscono potenziale reato (prescritto) per i mafiosi ma non per quegli uomini dello stato (non tutti!) che li hanno perpretrati.
Per non argomentare poi delle mancate cattura di Provenzano e Santapaola. La mancata perquisizione del covo di Riina rasenta almeno questo per lei “una svista” paradossale e clamorosa?
Con mestizia le consiglio di confrontarsi con Nino Di Matteo e Saverio Lodato chissà che non si sorprenda anche lei nell’articolato dialogo dialogo delle posizioni diverse che tutto sommato ne valeva la pena e che quella “antimafia non è fuffa” come tanta (ahimè) “antimafia da sepolcri imbiancati”. I suoi studenti sarebbero in visibilio a vederla esercitare quel sano “diritto” al dialogo che rappresenta la matrice di qualsiasi elaborata ed articolata macchina della giustizia.

In foto: Brizio Montinaro insieme a sua madre ai funerali di suo fratello Antonio, assassinato insieme al giudice Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli altri agenti Vito Schifani e Rocco Dicillo nella strage di Capaci il 23 maggio 1992 

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