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Il Procuratore aggiunto di Firenze a Sky TG24

Cosa Nostra è "entrata in campo con il tritolo per uccidere ed è riuscita a farlo. Il dato obbiettivo e che ci sono dieci morti e ci sono 96 feriti, alcuni dei quali hanno riportato ferite molto gravi. E ci sono anche dei sopravvissuti. Cosa nostra ha dimostrato di non essere l'emblema della perfezione perché in riferimento all'attentato a Maurizio Costanzo vi è stato un errore per quel che attiene il momento dell'invio segnale. E ciò ha consentito al giornalista Maurizio Costanzo, alla sua compagna e agli agenti di scorta di sopravvivere. Un ritardo dovuto anche al fatto che il presentatore televisivo aveva cambiato l'auto sulla quele viaggiava, una esitazione che ha prodotto almeno più di venti feriti e la distruzione degli immobili, dei palazzi interessati attorno a via Ruggero Fauro".
Sono state queste le parole del procuratore di Firenze e già pm nel processo di Capaci Luca Tescaroli a Sky TG24 a proposito dell’attentato ai danni del famoso giornalista e presentatore Maurizio Costanzo messo in atto il 14 maggio del 1993 nella Capitale.
Su questo attentato il pentito Gaspare Spatuzza aveva dato una sua chiave di lettura. Totò Riina aveva già ordinato ad altri in passato di pedinare a Roma e poi sparare al conduttore nel 1992. Poi il “Capo dei capi” ordinò lo stop e avviò la stagione degli attentati a Capaci il 23 maggio 1992. Il pentito ha quindi spiegato in un verbale il movente delle stragi del 1993 e il cambiamento della modalità di svolgimento di queste ultime con il tritolo che prende posto alle pallottole: “Se nel 1992 Costanzo era un nemico di Cosa Nostra che si vuole vendicare per gli attacchi subiti da lui in televisione, e per questo va ucciso con le armi, così da mettere la firma, nel 1993 invece è prevista l’utilizzazione nei confronti di Costanzo dell’esplosivo e da ciò deduco che questa azione si è collocata nell’ambito di quello che ho prima definito un’unica strategia del colpo di Stato con metodi terroristici (…) Credo si debba fare un’assimilazione con l’attentato di Via d’Amelio: come Paolo Borsellino era un ostacolo alla Trattativa, Costanzo rappresentava un ostacolo al raggiungimento degli obiettivi che con la strategia stragista si dovevano perseguire e per tale ragione si è fatto ricorso all’impiego dell’esplosivo abbandonando l’impiego delle armi leggere”.
Anche l’avvocato Antonio Ingroia si era espresso in merito dicendo che la bomba di via Fauro era "certamente un attentato alla persona fisica (di Maurizio Costanzo, ndr) ma anche un messaggio a Silvio Berlusconi".


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Maurizio Costanzo © Imagoeconomica


"Perché c'era in corso un'altra trattativa
- ha detto - e che serviva a convincere Berlusconi a scendere in campo e prendere sostanzialmente il posto di Andreotti, cioè il riferimento degli interessi di mafia come era stata la Dc nella prima Repubblica. Di questo si occupava Dell'Utri, condannato già per concorso esterno in associazione mafiosa. Costanzo era contrario, come anche altri. E si era speso anche in interventi contro la mafia. Per questo ho questa idea".
Ingroia e Spatuzza hanno parlato entrambi di Trattativa, che ricordiamo, non è mai stata frutto di un ‘teorema’ dei pm di Palermo, come hanno scritto recentemente alcuni giornali, ma, come riportato nella sentenza di primo grado contro Francesco Tagliavia (poi divenuta irrevocabile con il sigillo della Cassazione è diventata un "dato acclarato alla luce del complesso degli elementi di ricostruzione storica" che ricostruiscono una serie di "contatti tra rappresentanti dello Stato e la mafia" nel corso del 1992.
“Una trattativa indubbiamente ci fu - si legge - e venne, quanto meno inizialmente, impostata su un do ut des” e fu “assunta da rappresentanti delle istituzioni e non dagli uomini della mafia”.
"La presa di contatto - si legge nella sentenza - fu promossa (se con iniziativa autonoma o per disposizione di più alti vertici, è problematica che riposa tuttora nel limbo delle possibilità alternative) dal colonnello Mori (assolto per "non aver commesso il fatto" al processo Trattativa Stato - Mafia) attraverso l'intermediazione di Vito Ciancimino, ex sindaco di Palermo, corleonese di nascita e braccio politico della mafia vincente già dagli anni '80".
"Sta di fatto - continua la sentenza - che si aprì certamente un canale di comunicazione tra le istituzioni e 'Cosa nostra' che fu interpretato da quest'ultima come una debolezza, o quantomeno un segnale di una forte apprensione dello Stato per la capacità e la potenza militare che la stessa aveva saputo esprimere, e nel contempo come una opportunità per risolvere i problemi che le stavano a cuore attraverso l'opzione stragista, che di conseguenza avrebbe dovuto perseguire fino al raggiungimento dei risultati sperati, incrinando ancor più il fronte di resistenza della politica e delle strutture di governo".
"Se fosse stato informato dei negoziati in corso, Borsellino si sarebbe certamente opposto", aveva commentato il pm Luca Tescaroli ora titolare, assieme al procuratore aggiunto facente funzioni Luca Turco, dell'inchiesta per le stragi del ’93 in cui sono coinvolti (sempre e solo da indagati) anche Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi.


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Silvio Berlusconi © Imagoeconomica


L'indagine dei pm di Firenze
La Procura di Firenze aveva chiesto e ottenuto dal giudice delle indagini preliminari la riapertura del fascicolo a loro carico dopo la trasmissione di atti, pervenuti da Palermo, con le intercettazioni dei colloqui in carcere del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, effettuate nell’ambito dell’inchiesta sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. "Berlusca mi ha chiesto questa cortesia, per questo c'è stata l'urgenza” diceva il capomafia durante l’ora di passeggio con il camorrista Umberto Adinolfi. Intercettazioni che ora saranno passate al setaccio dagli agenti della Dia, su disposizione dell’allora procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo, per verificare meticolosamente ogni parola a partire da quel dialogo del 10 aprile 2016.  “Nel '92 già voleva scendere… - diceva Graviano alla sua dama di compagnia - voleva tutto, ed era disturbato, perché era… acchianavu (sono salito, ndr)…nei… con quello…”. “Lui voleva scendere, però in quel periodo c’erano i vecchi, lui mi ha detto: ci vorrebbe una bella cosa". E ancora: "Trent'anni fa, venticinque anni fa, mi sono seduto con te, giusto? Ti ho portato benessere. Poi mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi. Per cosa? Per i soldi, perché ti rimangono i soldi...". Quando vennero rese note le intercettazioni l'avvocato di Berlusconi, Nicolò Ghedini, le bollò come "illazioni e notizie infamanti”. Per i pm di Palermo, invece, il riferimento esplicito è alle stragi di quel biennio e per questo trasmisero gli atti sia a Firenze che a Caltanissetta, Procure competenti per le stragi del 1993 e del 1992.
Le indagini fiorentine sono tornate recentemente sulle pagine di cronaca per la controversa vicenda sulla presunta fotografia che dovrebbe ritrarre l'ex premier Silvio Berlusconi con il boss stragista Giuseppe Graviano e l'ex generale dell'Arma Francesco Delfino.


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Il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano


"La foto di Berlusconi? Non posso consegnarla se prima non ne parlo con Graviano" avrebbe detto Salvatore Baiardo in un'intercettazione di questi ultimi mesi per poi fare marcia indietro su un articolo di Libero.
Qualora venisse trovata (anche se per ora sono solo ipotesi) sarebbe una prova chiave dei rapporti tra Berlusconi e il boss Giuseppe Graviano prima dell’arresto di quest’ultimo.
Rapporti di cui proprio il capomafia di Brancaccio ha riferito nel corso del processo 'Ndrangheta stragista.
Più volte abbiamo detto che Graviano non è un collaboratore di giustizia e che le sue parole vanno prese con le pinze. Lo stesso discorso vale per lo stesso Baiardo, già condannato per favoreggiamento dei fratelli Giuseppe e Filippo Graviano e prima indagato e poi prosciolto per le stragi del 1993.

Il capitale originario della Fininvest
I magistrati fiorentini stanno indagando anche sugli innesti finanziari senza paternità nelle società che hanno dato vita alla Fininvest.
Il fulcro del nuovo esame è una nuova relazione tecnica, di oltre 500 pagine depositata nei mesi scorsi, da cui sono emerse delle novità rispetto alle operazioni ‘anomale’ rilevate nella prima consulenza fatta a Palermo e prodotta nel processo a Marcello Dell’Utri: gli esperti dei pm fiorentini hanno accertato che ci sono settanta miliardi e mezzo di lire (versati in contanti) di origine non decifrabile che hanno foraggiato l'impero societario di Berlusconi.
L’analisi, grazie alla nuova produzione documentale, ha permesso agli inquirenti di alzare il velo anche su altre operazioni ritenute anomale: una serie di acquisizioni di società da parte della Fininvest che pochi mesi prima del passaggio di mano sono state ricapitalizzate per miliardi di lire e anche qui senza nessuna traccia dell’origine dei soldi.
Ad esempio il 26 giugno del 1979 in "assenza di un apporto esterno di provvista finanziaria", vengono acquisite da Fiduciaria Padana all’interno del gruppo Fininvest delle partecipazioni in Parking Milano 2, Società milanese costruzioni e Società generale costruzioni immobiliari.


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L'ex senatore Marcello Dell'Utri © Imagoeconomica


Qualche mese prima le due società avevano aumentato il proprio capitale di sei miliardi di lire, ma anche in questo caso era stato detto attraverso non ben identificati fondi. Stesso discorso vale per l’acquisizione da parte di Fininvest della partecipazione in Cantieri riuniti milanesi e della finanziaria commerciale: nessuna traccia dell’origine dei soldi che hanno consentito di rappresentare un valore economico di 27,6 miliardi per la prima società e 20 miliardi per la seconda". I consulenti hanno indicato queste operazioni come "non meglio precisabili sotto il profilo quantitativo e della relativa provenienza".
Oltre a questo nelle mani della procura vi è anche un'altra consulenza tecnica. Quest'ultima era stata effettuata l'11 maggio 2022 e fra le pagine emergeva "la mancata giustificazione della provvista impiegata (oltre 16 miliardi di lire) per la reintestazione di crediti a nome di Fininvest Roma, in parte riportati nel bilancio di esercizio 1977 della Fininvest S.p.a".
Flussi di denaro che sono stati ricostruiti attraverso la cosiddetta 'lista Dal Santo’: un elenco trovato nell’agenda di un commercialista di origine siciliana e sindaco revisore legato al Biscione di Fininvest. Versamenti anch'essi di origini ignote.
Dopo oltre trent'anni la domanda rimane sempre la stessa: chi aveva fornito i finanziamenti confluiti nelle casse delle "società che hanno dato vita al gruppo Fininvest"?


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© Imagoeconomica


Vi è un nesso tra gli "innesti finanziari" e i boss di Cosa Nostra?
Il condizionale è d'obbligo in quanto nulla è stato accertato. Certamente alcuni collaboratori di giustizia hanno sostenuto che quelle somme, frutto del traffico di droga e di cui solo “il principe” Stefano Bontate sapeva la destinazione, fossero finite nelle società di Berlusconi.
Ma di questo passaggio di denaro da Cosa Nostra alla Fininvest non vi è stata prova.
Un boss a conoscenza della destinazione del denaro sarebbe stato, secondo Giovanni Brusca, Giovannello Greco: il pentito aveva raccontato nel 2010 ai pm di Palermo che Greco sarebbe ritornato nel 1982 a Palermo ed avrebbe minacciato di morte la famiglia di Gaetano Cinà - boss di primissimo piano che si incontrava con Berlusconi come riferito dal collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo (testimone oculare, oggi deceduto) - amico di Dell’Utri, per recuperare (con successo) la sua quota dell’investimento.
Al di là di tutto si è tornati al punto di partenza: chi aveva fornito la provvista per i finanziamenti dei soci confluiti nel 1977 nelle casse della Fininvest S.p.a?
Una domanda a cui la procura di Firenze potrebbe dare una riposta, anche, si deve dire, a favore di chi ha sempre sostenuto la totale estraneità del gruppo Fininvest e di Berlusconi a certe vicende.

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