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di matteo portaaportaVideo all'interno!
di Aaron Pettinari

“Nelle sentenze spunti che indicano possibilita' che Cosa nostra non fosse sola”

“Soprattutto da parte nostra, noi uomini dello Stato, serve una volontà di continuare a cercare la verità. Non che la verità non sia stata in parte acquisita, ma abbiamo una verità parziale su quelle stragi e delitti eccellenti. E una verità parizale è comunque una verità negata”. Parla delle stragi, dei cosiddetti mandanti esterni, del sistema criminale integrato, il sostituto procuratore di Palermo Nino Di Matteo, intervistato a “Porta a Porta” nella puntata “riparatrice” che la trasmissione condotta da Bruno Vespa ha prontamente organizzato dopo le polemiche scaturite dalla messa in onda dell'intervista al figlio di Totò Riina, nel giorno precedente. Pochi minuti in cui il magistrato palermitano riesce a fornire un inquietante spaccato dello “stato dell'arte” della lotta alla mafia, dando spunti importanti che, ovviamente, nessuno dei presenti in studio vuole riprendere od approfondire. Il tentativo di Di Matteo è nobile e chiaro nel provare a squarciare “il velo di Maya” su argomenti che, altrimenti, non sarebbero mai stati affrontati in un programma come quello di Vespa, teatro del peggio dell'informazione in Italia.
“Dobbiamo avere comunque il coraggio e la forza, seguendo il solco già tracciato negli atti processuali già acquisiti e anche nelle sentenze passate in giudicato, di seguire quegli spunti che già ci sono – insiste ancora - Spunti che indicano la probabilità che assieme a Cosa nostra, assieme a Riina a gli altri macellai, abbiano agito altri soggetti, che abbiano influito nelle decisioni altri ambienti”. Ambienti che potrebbero aver avuto un ruolo “sia nella fase dell'ispirazione, sia nella fase dell’organizzazione e qualche volta, in qualche caso, è probabile anche nell’esecuzione materiale delle stragi”. Ipotesi dirompenti che in altri tempi avrebbero animato le discussioni delle trasmissioni. Invece no, ancora una volta Bruno Vespa preferisce dar spazio ai “risultati” ottenuti dal Governo snocciolando i numeri degli arresti e dei boss finiti in carcere.

Quello che non si dice
Eppure è ancora una volta Di Matteo, ed in parte il presidente dell'Autorità Nazionale Anticorruzione Raffaele Cantone, ad evidenziare come “se da una parte in questi vent'anni siano stati fatti enormi passi in avanti” si può dire che questi “siano stati fatti principalmente, se non esclusivamente, nei confronti della mafia militare”. “E' venuto il momento di concepire un salto di qualità – dice il magistrato titolare dell'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia – Per salto di qualità intendo che gli sforzi dello Stato, in tutte le sue articolazioni, debbano essere diretti per recidere i rapporti della mafia con il potere. La mafia ha avuto sempre nel suo Dna, in particolare Cosa nostra siciliana, la ricerca attenta, costante ed intelligente del rapporto con il potere. Oggi mafia e corruzione non sono due fenomeni distinti, ma facce di un unico sistema criminale integrato. Purtroppo ancora i fenomeni corruttivi sono caratterizzati da un'ampia ed inaccettabile impunità, soprattutto a causa del sistema in vigore di prescrizione. Così la maggior parte dei processi si conclude con una dichiarazione dell’estinzione del reato per prescrizione”. Anche su questo punto, però, in studio non vi è alcun commento.
Tantomeno una qualche solidarietà viene espressa al magistrato condannato a morte dallo stesso Riina, intercettato in carcere durante i colloqui con la “dama di compagnia” Alberto Lorusso. Viene solo attestato che “è noto che la mafia abbia cercato di ucciderlo” e che “probabilmente è il magistrato più esposto d'Italia”.
“Non commento le intercettazioni – dice Di Matteo rispondendo ad una domanda se provi paura di fronte al progetto di attentato – Non provare paura rispetto a certe vicende venute fuori anche da collaboratori di giustizia, ritenuti attendibili, che hanno spiegato per filo e per segno l’attentato che mi stavano facendo, sarebbe da stupidi e da incoscienti. Però c’è un altro sentimento che si contrappone e che prevale in me. La consapevolezza che la dignità del mio ruolo mi impone di andare avanti comunque. Non so se si può chiamare coraggio ma è una consapevolezza di conservare una dignità che non può essere condizionata dalla paura, dai timori dalle minacce degli attentati di cui ci parlano”. Quindi aggiunge: “Credo che molto prima e più autorevolmente di me Paolo Borsellino lo avesse detto. Il coraggio non è non provare paura ma andare avanti comunque, pur nella consapevolezza e nel timore che qualcosa possa succedere”.

di matteo video pp

Attacco all'antimafia
L'unica eccezione di vera “condivisione” delle parole del pm palermitano è stata rappresentata sul rischio che si corre nell'attaccare tutto il mondo antimafia dopo i fatti che hanno riguardato alcuni episodi specifici.
“Ci sono state e c’è il rischio che vi siano strumentalizzazioni di attività antimafia anche da parte di esponenti poltiici e associazioni – commenta Di Matteo - ma attenzione. Questi sono casi isolati che vanno individuati, colpiti e sanzionati. Attenzione al rischio, che secondo me stiamo correndo, di fare di tutta l'erba un fascio per un tentativo sporco di criminalizzare tutta l'antimafia e delegittimare l’attività di tanti cittadini ed associazioni che con entusiasmo, passione e sacrificio personale sognano e perseguono un ideale di verità e giustizia”. In questo caso sì che sono intervenuti il ministro Angelino Alfano, lo stesso Cantone, per poi passare al conduttore Bruno Vespa ed il giornalista Felice Cavallaro. Tutti si sentono in dovere di “dire la loro” sulla crisi e le difficoltà dell'antimafia. Sì, è vero, qualche parola sull'importanza di colpire le finanze dei boss di Cosa nostra si è detta, così come il ministro Alfano ha tenuto a ribadire di “essere fermo sul rafforzamento del 41 bis, contrariamente a quel che dice la Commissione sui diritti umani sul carcere duro”. Poi ancora qualche considerazione sul tema dei beni confiscati, qualche promessa sulla risoluzione dei problemi inerenti alla gestione dei testimoni di giustizia e poco altro.
E quando Cavallaro ricorda l'assurda mancata perquisizione del covo di Riina ecco subito il solito “leit motive” della politica: “queste cose le accertano i magistrati”.
Durante la trasmissione intervengono anche Caterina Chinnici, figlia del giudice Rocco ucciso dalla mafia ed europarlamentare del Pd, e Giulio Francese, il cui padre è stato ucciso dalla mafia. Momenti in cui si ricorda il sacrifico dei due martiri e che in parte fanno da controaltare alla presenza scandalosa, appena un giorno prima, del figlio del Capo dei capi. Scandalosa soprattutto per il come l'intervista è stata condotta, permettendo al figlio di Riina di sproloquiare con i propri “vaneggiamenti” sulla famiglia felice, di fatto favorendo la “promozione” del libro da lui scritto più che condannandone i contenuti. E' questo il punto nodale per cui in molti si trovano a protestare e a chiedere persino la chiusura di “Porta a Porta”. Se si considera tutto ciò una puntata “riparatrice” come quella di ieri non basta.

VIDEO
Guarda la puntata completa di Porta a Porta del 7 aprile 2016

AUDIO
Lo speciale di RP
La lezione antimafia di Nino Di Matteo

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