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di-matteo-csm-dnaIl magistrato palermitano attende una risposta nel merito
di Aaron Pettinari - 25 marzo 2015
“Mi aspetto di comprendere per quali ragioni nella proposta della commissione in Csm sono stato collocato in graduatoria dopo molti colleghi che possono vantare un’esperienza temporalmente molto più limitata presso le direzioni distrettuali antimafia rispetto alla mia”. Così Antonino Di Matteo, il pm più scortato d'italia, membro di punta del pool che indaga sulla trattativa Stato-mafia (di cui fanno parte il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, ed i sostituti Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia), aveva commentato l'esclusione dalla terna indicata dalla Terza Commissione del Csm per i primi tre posti liberi per la Direzione nazionale antimafia.
Oggi il plenum torna a riunirsi per votare in merito dopo le giorni di grandi discussioni. Sul tavolo, oltre al magistrato palermitano, ci sono i nomi dei tre candidati individuati all'unanimità dalla Terza Commissione. Si tratta di Eugenia Pontassuglia, pm del processo di Bari sulle escort che l'imprenditore Paolo Tarantini portava nelle residenze di Silvio Berlusconi, del sostituto procuratore di Napoli Marco Del Gaudio, pm del processo all'ex presidente di Finmeccanica Pierfrancesco Guarguaglini, e del sostituto Pg di Catanzaro Salvatore Dolce, titolare di diverse inchieste sulle cosche calabresi.
Nulla da togliere alle carriere dei tre magistrati ma di fronte al “curriculum” di Di Matteo, allo stato è al quanto incomprensibile come sia stato possibile collocare il pm de la trattativa Stato-mafia all'undicesimo posto della graduatoria. Quali sono stati i criteri di valutazione utilizzati nella scelta della terna di candidati? In base a quale criterio di merito il curriculum di Di Matteo è stato scartato? Sono queste le domande a cui si attende una risposta da parte di almeno uno dei membri della terza Commissione. Tra questi figurano il presidente delle terza Commissione Massino Forciniti, il vicepresidente Alessio Zaccaria, i componenti Renato Balduzzi, Valerio Fracassi, Francesco Cananzi, Luca Forteleoni, ed i magistrati segretari Teresa Iodice, Giulio Adilardi e Marco Ghionni Crivelli Visconti.
Se si guarda al recente passato, forse, a fornire una chiave di lettura potrebbe essere proprio Alessio Zaccaria, membro laico di Palazzo dei Marescialli, indicato dal Movimento 5 Stelle, il quale, assieme agli altri membri laici del Consiglio Superire della Magistratura, quando si è trattato di esprimere la preferenza sul Capo procuratore a Palermo ha virato dritto su Francesco Lo Voi senza prendere neanche in considerazione la differenza tra i curriculum che c'erano con gli altri due candidati (Sergio Lari e Guido Lo Forte). “Volevamo una maggioranza ampia – rispose allora - abbiamo guardato ai numeri più che ai titoli”. Possibile che anche stavolta sia stato adottato un criterio simile?

Ritorno in gioco?
A sostenere che vi sia un errore da parte della Commissione vi sono stati gli interventi di due consiglieri, Aldo Morgigni (Autonomia e Indipendenza) e Piergiorgio Morosini (Area), che hanno sostenuto che Di Matteo non era stato valutato nel modo giusto rispetto ai titoli, all’esperienza, alle doti del magistrato e al suo rigore morale.
Il consigliere del Csm Morgigni, ha sottolineato la professionalità del Pm che si occupò a Caltanissetta, delle stragi del 1992, poi a Palermo delle “coperture istituzionali che fecero da sfondo a quelle stragi ...la competenza, la professionalità e dedizione al lavoro, complessivamente valutate in termini di eccellenza nei rapporti dei capi degli uffici e confermati dai consigli giudiziari, anche in riferimento alla gestione dei collaboratori di giustizia e alla capacità di coordinamento investigativo.” Il consigliere Morosini ha chiesto che la pratica tornasse in commissione per una ulteriore valutazione. Non solo. Nel suo intervento il togato di Area ha anche sottolineato come “la PNA richiede magistrati con forte esperienza sul campo”. E in questo senso l'esperienza di Di Matteo è difficilmente riproducibile in quanto di sviluppa nell'arco di 22 anni di cui diciassette trascorsi formalmente in Dda.

I processi
Nel suo intervento Morosini ha ricordato le indagini condotte dal magistrato da Caltanissetta a Palermo. Inchieste “che hanno ad oggetto: dall’attacco frontale allo Stato nella stagione delle stragi (processi strage Chinnici, via D’Amelio a Caltanissetta) alla strategia dell’inabissamento con nuove forme di interazione nel circuito economico-finanziario e nelle istituzioni; dai concorsi esterni di alti funzionari della polizia agli omicidi di funzionari del SISDE; dall’articolazione dei mandamenti della Sicilia occidentale alla realtà della Stidda Gelese (e i suoi rapporti che le articolazioni nel nord dell’Italia). Di Matteo ha curato le indagini dei processi su tutta la rete dei fiancheggiatori e favoreggiatori dell’allora latitante Beranrdo Provenzano. E si è occupato di indagini relative ai rapporti tra mafia siciliana e importanti esponenti della Cosa Nostra statunitense (procedimento Old Bridge). Si tratta di processi da cui è derivata la conoscenza di un numero impressionante di collaboratori di giustizia, di materiale investigativo (servizi di osservazione, intercettazioni), di luoghi e di relazioni mafiose che vanno ben oltre i mandamenti mafiosi della Sicilia (rogatorie internazionali)”. Ed ha anche ricordato il lavoro svolto in raccordo con altre procure nell'interrogare i collaboratori di giustizia e non solo. Nonostante queste considerazioni però il Csm ha bocciato la proposta di Morosini con soli 8 voti a favore e 16 contrari. Qualcuno, come il togato Luca Palamara (Unicost) ha motivato il proprio diniego con il timore di aprire un varco in grado di determinare “la paralisi dei lavori del Csm”, con la messa in discussione delle decisioni già prese dalle Commissioni.

Cosa aspettarsi?
Alla luce di quella votazione appare difficile che il Csm possa tornare sui propri passi. Tuttavia all'interno del Consiglio superiore della magistratura il fermento di questi giorni sarebbe stato costante. Indiscrezioni giornalistiche nei giorni scorsi avevano rappresentato alcune indecisioni proprio tra alcuni componenti laici, tra cui lo stesso Zaccaria ed il consigliere Renato Balduzzi (Scelta Civica), che starebbero riflettendo sul da farsi nonostante in Terza commissione abbiano votato gli altri candidati. C'è chi sostiene che il pm siciliano, qualora non venisse nominato a questo giro, potrebbe entrare alla Procura di via Giulia successivamente. In ballo vi sarebbero altri due concorsi, il primo nel giro di pochi mesi, il cui bando è già chiuso e al quale Di Matteo non ha presentato domanda. Il secondo sarebbe in autunno inoltrato, quando si libererà un nuovo posto perché andrà in pensione Giusto Sciacchitano. Vi è poi chi sostiene che un'ulteriore opportunità possa essere data dall'eventuale ampliamento della pianta organica della Procura Nazionale Antimafia, che potrebbe arrivare con la conversione in legge del decreto che le assegna le funzioni di coordinamento e impulso anche delle indagini sul terrorismo.
Ipotesi, opinioni, discussioni. Nel mezzo la sensazione che a livello istituzionale ci sia una precisa volontà a non intervenire con atti concreti a sostegno del magistrato condannato a morte da Riina in persona. La nomina alla Procura nazionale antimafia sarebbe un'assunzione di responsabilità istituzionale, un segnale forte di sostegno nei confronti del magistrato e delle indagini che lo stesso porta avanti con gli altri membri del pool. Aspettando il parere non vincolante del Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti sulla proposta di Morgigni, il Csm la scorsa settimana ha proposto al sostituto procuratore di Palermo il trasferimento per via orizzontale ad altra sede per ragioni di sicurezza. Ma il magistrato, da parte sua, ha risposto che preferiva aspettare l'esito del concorso per cui ha presentato domanda. Una proposta, quella del Csm, che sebbene l'emergenza sicurezza attorno a Di Matteo ha avuto inizio un anno fa quando Riina ha lanciato i suoi “strali di morte” dal carcere Opera di Milano, arriva soltanto dopo le ultime escalation di notizie (dal tritolo giunto a Palermo, alla possibile presenza di gente armata con fucili di precisione in un circolo frequentato dal magistrato). Una proposta, quella del trasferimento orizzontale, che assume una forma “pilatesca” di affrontare la questione. Come a dire “qualunque cosa accada da qui in avanti noi abbiamo proposto il trasferimento”. Poco importa, secondo questo ragionamento, se l'effetto di un trasferimento in questa forma porterebbe il pm palermitano lontano da quelle indagini che sta conducendo da anni e che danno fastidio a quella parte di Stato che non vuole scavare fino in fondo dentro se stessa per trovare la verità su quanto accaduto al tempo delle stragi. Se a stare a cuore fosse realmente la “vita” del pm (umana e professionale) la nomina alla Procura nazionale antimafia di Nino Di Matteo, dovrebbe essere immediata o quantomeno consequenziale. Anche da via Giulia, infatti, richiedendo l'applicazione il pm palermitano potrebbe proseguire il proprio lavoro. E' questo quello che sperano tanti cittadini onesti. E non sarebbe affatto uno scandalo ammettere di aver commesso un errore. E se non si volesse fare a questo giro, “per non perdere la faccia”, si trovi il modo per far partecipare Di Matteo al bando successivo, senza dover attendere ulteriori mesi. Una risposta di Stato che dimostri una volta per tutte che il concetto di meritocrazia è reale e non una parola vuota e prona alle logiche correntizie o, ancor più meschinamente, alle invidie personali.

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