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borsellino-manfredi-c-castolo-giannini-2Tuo nonno Paolo e il suo amico Giovanni volevano per voi un mondo migliore
Lettera di Manfredi Borsellino

Cara Merope,
oltre venti anni fa accadeva qui a Palermo, a poche centinaia di metri dal quartiere dove noi abitiamo e che abitualmente frequentiamo, qualcosa che avrebbe cambiato radicalmente la nostra società, avrebbe scosso tante coscienze e probabilmente segnato un punto di non ritorno; niente (o quasi) dopo quegli eventi sarebbe stato come prima. Due palermitani come noi, due uomini onesti e leali, uno dei quali tu hai iniziato a conoscere un po’ meglio perché si tratta di tuo nonno, dopo avere combattuto una lotta intensa e ininterrotta contro un male feroce chiamato mafia o Cosa nostra, si sono sacrificati. Il loro sacrificio è consistito nell’immolarsi affinché i più giovani, ma anche voi che ancora non eravate nati, acquisissero la consapevolezza di quanto terribilmente serio fosse quel male cui ti ho accennato prima, per troppo tempo sottovalutato, ignorato e purtroppo non combattuto da tutti coloro che avrebbero dovuto contrastarlo.

E così quel male nel tempo è diventato sempre più potente, i suoi tentacoli si erano intrufolati tra le stesse istituzioni che governavano il nostro paese, tra le forze di polizia e in quella stessa magistratura di cui questi due grandi cittadini
palermitani facevano parte.
Soli, senza lo Stato che avrebbe dovuto proteggerli come i suoi figli migliori, hanno con consapevolezza affrontato il martirio, altrettanto consapevoli però che la loro morte (apparente) non sarebbe stata vana.
Già dopo l’attentato in cui perse la vita Giovanni Falcone, il più grande amico e collega di tuo nonno Paolo, Palermo si svegliò, tanti giovani e bambini della tua età si riversarono sulle strade mentre dai balconi sventolavano grandi lenzuoli bianchi, segno di purezza e di pace.
Quando purtroppo venne il momento del tuo caro nonno Paolo, non solo Palermo ma tutta l’Italia si è (ri) svegliata gridando il suo sdegno.
Di mafia, ma anche del tuo nonno Paolo e del suo amico Giovanni, del loro sacrificio/martirio, di legalità, dell’importanza delle regole e del rispetto delle leggi, dell’omertà mafiosa, di pizzo ed estorsioni, di istituzioni, o meglio ancora di uomini delle istituzioni collusi o contigui con la criminalità organizzata, di complicità di pezzi dello Stato nell’ideazione e (forse) realizzazione di quelle stragi avvenute quando tu non eri ancora nata, si è finalmente iniziato a parlare nelle famiglie, a scuola e negli stessi luoghi di ritrovo di tanti tuoi coetanei, formando delle coscienze nuove.
Oggi, cara Merope, voi bambini siete “allenati” a combattere quel male subdolo, la mafia, che ti ha tolto il tuo caro nonno prima che venissi alla luce, siete allenati da papà e mamma che soddisfano per quanto loro possibile la vostra sete di verità e giustizia, ma siete allenati anche dalle vostre maestre, grazie alle quali la vostra attenzione su ciò che è accaduto tanti anni fa non si attenua mai.
Del tuo caro e grande nonno Paolo avrei tante cose da dirti e raccontarti ma con calma e senza fretta le conoscerai strada facendo.
E’ in questo momento sufficiente che tu sappia che egli ha “consapevolmente” sacrificato la sua vita privandosi di una delle cose che desiderava di più al mondo, ovverosia veder nascere e crescere i suoi nipotini come te, per farvi vivere in un mondo migliore dove chi svolge (e bene) il proprio dovere, sia esso di magistrato, poliziotto, maestro o sacerdote, non debba mai più temere per la sua vita e quella dei suoi familiari.
La lettera è tratta dal libro “Io ti racconto - Le stragi del 1992 e la ribellione di Palermo: i genitori spiegano ai figli la mafia” edito dalla Direzione didattica Alcide De Gasperi di Palermo.

Tratto da: La Repubblica - Palermo del 19 luglio 2014

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