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gozzo-nico-menti-raffinatissimedi Nico Gozzo* - 23 maggio 2014
Palermo. Siamo chiamati da Antimafia Duemila a dibattere su di un tema che non ci ha posto qualche rivoluzionario di oggi, né un povero giapponese, che continua a combattere nelle Procure, senza accorgersi che il mondo è cambiato, e che la mafia ha perso.

Sappiamo bene che la mafia è per ora sconfitta, all’angolo. Siamo stati proprio noi a fare le indagini in questi anni, dal 1992 in poi, quando qualcuno aveva detto in un momento di sconforto, che “tutto era finito”.

Ma il tema delle “menti raffinatissime” è un tema che ci ha posto proprio Giovanni Falcone, quel servitore dello Stato, quell’uomo equilibrato che tutti ormai conosciamo. Non un pazzo visionario.

Cosa spinse Falcone a dire quella frase, subito dopo il fallito attentato dell’Addaura?

Depurando le mie opinioni da dati di eventuali indagini in corso in proposito, che non potrei certo utilizzare, prendendo a base la sentenza ormai definitiva che ha condannato per quella strage i mafiosi, devo dire che sempre Falcone ha detto che quella frase non e' stata una esagerazione giornalistica. Ha detto che lui aveva dettato parola per parola la frase, perché voleva essere capito da queste "menti raffinatissime". Voleva che quelle menti raffinatissime sapessero che lui aveva capito. Pensava che sarebbe stata, forse, la sua assicurazione. Probabilmente è stata la sua condanna a morte definitiva, come ha sostenuto allora il PM nella sua requisitoria di primo grado.

Ma cosa disse Falcone esattamente?

Affermò “Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi”.

Falcone ci ha lasciato un testamento, che dobbiamo onorare, senza cadere nella retorica.

Con la consueta sagacia, con la sua prudenza, e con il suo ordinario rispetto per lo Stato di cui si sentiva profondamente parte, non ci ha parlato di terzi o quarti livelli. Ci ha parlato di esterni che "tentano" di orientare Cosa Nostra, autonoma al suo interno, quindi di punti di collegamento tra "i vertici di Cosa Nostra", che decidono, e "centri occulti di potere" che hanno altri interessi.

Già questo e' un dato di estrema rilevanza. Cosa aveva spinto Falcone a dire questa frase? Un colpo di caldo?

No.

Questa frase viene dopo anni e anni di stragi di innocenti in questo paese, decenni di stragismo.

Questo è un paese dove le stragi di innocenti sono state la regola, non l’eccezione.

Perché, è evidente, c'era un tappo che doveva saltare: la nostra fragile democrazia.

Si potrebbe partire da Portella della Ginestra, ma andiamo troppo lontano, forse. E poi Piazza Fontana, Piazza della Loggia, Italicus, Bologna, Ustica, il terrorismo e le sue stragi ed uccisioni infinite, tra cui quella di Moro.

Dopo, negli anni ’80, la musica cambia. Non più i neofascisti o motivi di politica internazionale alla base dello stragismo. Sempre la strategia della tensione, ma questa volta il tappo della democrazia italiana si tenta di farlo saltare grazie alla questione meridionale per eccellenza: la questione mafiosa.

Ed ecco lo stragismo mafioso del 1982-83: Dalla Chiesa, Chinnici, Pio La Torre, la strage della Circonvallazione. Ed ecco prima di ciò e dopo la uccisione di tanti uomini dello Stato. La strage del rapido 904, detta anche strage di Natale.

Per arrivare, passando dall’Addaura, alle stragi del 1992-93-94: Capaci, Via d’Amelio, Via Palestro (Milano), Roma, Via dei Georgofili, il fallito attentato all’Olimpico…. E tante altre che non cito.

E’ esercizio di retorica, dunque, o ancora è esercizio di estremismo giudiziario parlare di una storia senza uguali, una storia che non ha repliche nelle altre nazioni europee e in quasi tutto il mondo?

Da cosa è stata occasionata questa storia così “diseguale”?

E’ stata solo Cosa Nostra, e prima i neofascisti? Perché tutti questi depistaggi in tanti anni di indagini sulle stragi? Perché tutti questi nemici, anche tra i magistrati, hanno caratterizzato la vita di Giovanni Falcone? Perché le delegittimazioni del giudice sceriffo, le frasi pretestuose sul giudice che non deve combattere la mafia perché deve rimanere “terzo”, del giudice da cui bisognava scappare perché metteva in pericolo la stessa democrazia? Perché la delegittimazione dell'Addaura, occasionata dalla stessa "messa in scena" di Cosa Nostra, che utilizzò una scarsa quantità di esplosivo, comunque idonea ad uccidere, ma che sembrava suggerire la presenza di una talpa che doveva avvisare dell'arrivo, o che poteva successivamente essere utilizzata per la tesi di un finto attentato?

Nell'esame di questi fatti, dobbiamo chiederci se quest'uomo abbia affermato una idea "eversiva" del diritto, una idea di antimafia che andava contro lo Stato e quasi ne distruggeva le fondamenta.

No. La risposta e' profondamente NO.

Se lo Stato e' quello "di diritto". Se lo Stato e' quello del rispetto pieno delle regole del processo, che è un atto di tre persone (difesa, PM e giudice); se lo stato e' quello che raccoglie le collaborazioni nella forma prevista dalla legge, a tutela di tutti e della genuinità della prova; se lo stato e' quello che rifugge da colloqui riservati con uomini dell'anti-stato, allora dobbiamo dire che la lezione di Falcone e' quella di uno straordinario uomo di Stato.

Lui non violava le regole.

Forse qualcun altro chi ordiva quelle delegittimazioni, chi depistava, chi divideva all'interno della magistratura, le violava, le regole.

C'era forse qualcun'altro che aveva fini eversivi dell'ordine democratico.

Falcone NO. Lui credeva profondamente nella democrazia e nel diritto. Credeva ai diritti delle difese. Esercitava con umanità il suo compito di magistrato. E la sua idea di antimafia non era quella del sostegno alla singola persona, ma di un sostegno corale all'azione dello Stato che doveva diventare azione antimafia complessiva di tutti. Lui utilizzava il mezzo televisivo, i libri, con parsimonia, senza ricerca di ribalta, ma solo al fine di poter continuare a indagare.

Si poteva ammettere del resto che lo Stato tramasse con la mafia? Si poteva ammettere che ci fosse qualcuno in disaccordo con il fatto di catturare chi uccideva, estorceva, faceva della violenza della persona sulla persona la sua vita quotidiana?

Lui riteneva che lo Stato non avrebbe che potuto prendere le parti di chi indagava. Di chi arrestava. Di chi processava. Con le prove.

Ecco perché andò a Roma. E riuscì a portare lo Stato alla più grande stagione di legislazione antimafia che ci sia stata sino ad oggi. Le leggi sullo scioglimento dei consigli comunali, sui collaboratori, sulla PNA, sull DNA, sul 41 bis, risalgono tutte ad un periodo in cui Andreotti era capo del governo, e Martelli era ministro di Giustizia. Due persone allora (uso un eufemismo) chiacchierate. Falcone andò nella tana del lupo e dimostro' che lo Stato non poteva che essere CONTRo la mafia.

La reazione della mafia, e di quelle menti raffinatissime, e' occasionata proprio da questo. Falcone stava facendo fare allo Stato quello che lo Stato doveva fare. Niente di più e niente di meno. Nessuna eversione.

Lo scopo di Falcone non era quello di delegittimare lo stato, ma di rilegittimarlo, di farlo diventare credibile.

Ma qualcuno, chi aveva “orientato” (per usare le parole di Falcone) le stragi degli anni '70, chi aveva “orientato” quelle degli anni '80, poteva accettare che questo accadesse? Poteva accettare che lo Stato non fosse più "chiacchierato" ma credibile?

Dove tendevano, e forse tendono ancora, i depistatori?

Non mi stancherò mai di dire: attenzione alle facili delegittimazioni, attenzione ai depistaggi "in sottrazione" (come SCARANTINO, il picciotto della Guadagna piccolo spacciatore che assurgeva a Buscetta dell'antimafia per tenere, forse, più "basse" le indagini sulle stragi); ma anche quelli, sempre più numerosi, "in addizione", con tesi sempre più fantasiose, quatti, quinti, forse sesti livelli.

Perché rischiamo di perdere una cosa cui tutti apparteniamo. Lo Stato democratico. Che può essere svilito, offeso, vilipeso da chi non ha ben governato. Ma è sempre meglio di qualsiasi dittatura.

Questa barca in cui tutti stiamo dobbiamo curarla, e rispettarla. Dobbiamo rispettare le istituzioni come facevano Falcone e Borsellino. Non rispettando, invece, le singole persone che eventualmente infangavano in maniera criminale i loro ruoli istituzionali.

Lo Stato non può che essere antimafia. Dobbiamo spingerlo ad esserlo, come cerco' di fare Falcone.

L'antimafia deve appartenere all'ABC di tutte le forze politiche. Non può esserci una forza politica dalla parte di chi delinque. Per questo ho stigmatizzato, e continuerò a stigmatizzare, le divisioni politiche e le campagne elettorali sull'antimafia. L'antimafia deve unire e non dividere.

Questa e' la lezione che drammaticamente ci hanno lasciato Falcone e Borsellino. Borsellino parlò, ad un mese dalla morte di Falcone, di un eredità, di un debito da pagare “gioiosamente”.

Sta a noi, a voi, seguire questa lezione e onorare questo debito.

* Intervento del procuratore aggiunto di Caltanissetta, Nico Gozzo, al convegno “Menti raffinatissime”

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