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Dibattito ad alta tensione all’università Daniela Chinnici: “Sono congegni eversivi del sistema”

L’aula Chiazzese della facoltà di Giurisprudenza piomba in un silenzio profondo quando la professoressa Daniela Chinnici dice: “Il maxiprocesso è stato un obbrobrio”. La docente associata di Procedura penale sta introducendo l’incontro organizzato dagli studenti dell’associazione Contrariamente con il magistrato Nino Di Matteo (titolo “Tra riforme e lotta alla mafia: cosa è cambiato dal 1992 all’arresto di Messina Denaro?”) e si lancia in una requisitoria durissima contro le modifiche al processo penale fatte dopo le stragi del 1992: "Una novella di mezza estate — definisce così la risposta dello Stato all’attacco senza precedenti fatto dalla mafia — cambia tutto. Il codice di procedura penale risponde all’emergenza che la gente sentiva".

La gente. Come se le stragi non fossero state un attacco al cuore delle istituzioni. "Ben vengano i poteri rafforzati di chi fa le indagini — argomenta — ma nei processi ai mafiosi devono esserci le stesse garanzie e gli stessi diritti dei processi ai ladri di auto". E qui il giudizio pesantissimo sul maxiprocesso. "Perché il processo — dice — deve essere più possibile modellato sulla persona. Deve accertare la responsabilità del singolo e non fare vendetta".

Nino Di Matteo ascolta, prende appunti e poi replica senza mezzi termini. "Nei processi di mafia non c’è stata mai alcuna violazione dei diritti di difesa, lo dicono le tante assoluzioni che pure sono arrivate — dice il magistrato — È inaccettabile che uno dei pilastri della lotta alla mafia quale fu il maxiprocesso venga definito un obbrobrio. Un insulto alla memoria di Falcone e Borsellino, che avevano il culto delle regole dello stato di diritto ".

Gli studenti applaudono. La professoressa prova a gettare acqua sul fuoco: "Non capisco perché questa reazione, quando dico queste cose ai miei studenti ci capiamo. Non sto parlando del maxiprocesso, ma dei maxiprocessi in genere". La replica finisce però per ottenere l’effetto opposto. Perché dice: "I maxiprocessi sono congegni eversivi del sistema". Di Matteo interviene: "Quei congegni eversivi del sistema hanno consentito non solo il maxiprocesso, ma anche altri processi importantissimi. Ritengo queste parole inopportune, anche per l’estremo sacrificio della vita costato a tanti valorosi servitori dello Stato".

Daniela Chinnici prova a smussare ancora: "Ho detto “eversivi” nel senso che andavano a scardinare la logica del sistema". E cita una ricerca fatta con il professore Giovanni Tranchina, importante punto di riferimento per la scuola processuale penalistica palermitana, che già nei giorni del “maxi” aveva espresso le sue perplessità. All’epoca Tranchina era preside di Giurisprudenza e le sue parole crearono forti polemiche: all’inaugurazione dell’anno accademico se la prese contro i "processi mastodontici, che non danno alcuna grande garanzia nell’accertamento della verità ". Il Giornale di Sicilia titolò: "I processoni diventano inquisizione". Non era un titolo forzato, era il pensiero di Tranchina, che denunciava anche la "situazione aberrante in cui il processo penale degrada ad arnese di polizia, dove trovano posto criminali promossi a collaboratori di giustizia".

Un illustre giurista come Tranchina non aveva saputo cogliere lo straordinario lavoro di Falcone e Borsellino. Ma, oggi, che senso ha dire che il maxiprocesso fu un obbrobrio? E non perché Falcone e Borsellino sono stati uccisi, ma perché quel processo è stato davvero l’architrave della risposta dello Stato di diritto alla mafia, come ribadito in più occasioni dal presidente Mattarella.

Ma la professoressa Chinnici torna ad accusare: "Durò pure tanti anni". Di Matteo la corregge ancora: "Ma cosa dice? Il primo grado iniziò nel febbraio 1986 e si concluse nel dicembre 1987".

Tratto da: palermo.repubblica.it

Foto © Paolo Bassani

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