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csm-web2di Marco Travaglio - 13 agosto 2013
Quando il giudice Mesiano, reo di aver condannato il gruppo Berlusconi a risarcire De Benedetti per lo scippo Mondadori, fu pedinato e linciato da Canale5 e dagli altri house organ della ditta per i suoi calzini turchesi, il Csm intervenne in sua difesa con una pratica a tutela contro attacchi “che possono condizionare ciascun magistrato, specie quando si tratti di decidere su soggetti di rilevanza economica e istituzionale”. Il vicepresidente Mancino denunciò il “clima invivibile dove il potere è forte e può intimidire”. E persino il presidente Napolitano evidenziò “le inquietanti connotazioni della vicenda”. Era solo quattro anni fa, ma pare un secolo. Da due settimane, da quando ha letto la sentenza di condanna per B. nel processo Mediaset che gli era toccato in sorte, il presidente della Cassazione Antonio Esposito viene manganellato dal Giornale e altri fogliacci. Decine di pagine con accuse infamanti fondate sul nulla: tutto falso, tutte menzogne (vedi articolo di Marco Lillo). Eppure intorno a lui tutto tace.

Tace Napolitano, troppo occupato a riflettere sull’“agibilità politica”del pregiudicato e a riceverne gli emissari. Tace Vietti, solitamente così garrulo. Non tace purtroppo il ministro Cancellieri, che sguinzaglia gl’ispettori come ai tempi di Biondi e Mancuso, mentre il Csm apre un fascicolo disciplinare contro Esposito. Illegale. L’ordinamento giudiziario 269/2006 sanziona “le dichiarazioni o interviste che riguardino soggetti coinvolti negli affari in corso di trattazione”, non quelli chiusi da sentenza definitiva. Come il processo Mediaset. Il giudice Esposito è solo, lasciato in pasto ai linciatori da chi, per legge, dovrebbe difenderlo. Se il Csm, dal presidente e dal vicepresidente in giù, non se la sente di fare il proprio dovere, tanto vale scioglierlo.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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