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Riflessioni a margine dei fatti di Pisa e Firenze

Probabilmente è cambiato il significato del linguaggio del corpo e non ci hanno avvisato.
Non possiamo pensare diversamente, se, un gruppo di ragazzi delle scuole medie superiori, armati solo dell’ingenuo sogno di un futuro migliore, a volto scoperto, senza spranghe o bastoni e forse senza neanche il righello rimasto sotto il banco perché, semmai, proprio quel giorno, era previsto il compito in classe di matematica, si muovono in gruppo per manifestare.
Poco importa il motivo preciso per cui avevano deciso che, quel giorno, sarebbe stato più importante muoversi insieme per le strade della città e “saltare” la scuola.
Erano li per esprimere il proprio pensiero e lo facevano pacificamente o, per chi preferisce, senza creare problemi di ordine pubblico.
Erano dei giovani studenti convinti che esista ancora la libertà di pensiero, di espressione delle proprie idee, la libertà di poter urlare il proprio dissenso o la propria solidarietà con la forza della ragione e del cuore, e non della violenza, certi perlomeno che ancora esista, e nessuno potrà mai uccidere, la libertà di sognare.
Ma, a quanto pare, non è cosi perché, le braccia alzate di molti di quei giovani, espressione normalmente di un segno di resa, o meglio, di non violenza, quelle braccia alzate, secondo una lettura più che miope, ottusa e pretestuosa, vengono lette oggi come potenziali rischi e il loro significato originario viene completamente disatteso.
Ebbene quei giovani, la cui consistenza numerica era pari a quella di una gita scolastica di tre o quattro classi di Liceo, per fermarne il loro incedere, sono stati “caricati”, dalle forze dell’ordine presenti schierate in assetto antisommossa, in maniera inopportuna e con spropositata e ingiustificata violenza. Difficile giustificarli in alcun modo pur essendo convinti sostenitori del ruolo e dell’importanza delle forze dell’ordine ma non dell’ordine costruito con la forza.
Ci spostiamo per un attimo su un altro palcoscenico.
Il 7 gennaio di questo anno, in Via Acca Laurentia, circa mille “camerati” per commemorare e ricordare, come ogni anno, tre loro militanti del fronte della gioventù uccisi nel 1978 da una organizzazione terroristica di estrema sinistra, si sono riuniti, salutando con il braccio destro teso, mentre venivano pronunciati i nomi dei loro camerati uccisi.
Non è la prima volta, soprattutto ultimamente, che il rituale del “presente” viene riproposto in questo modo.
Un gesto che, se non fosse per il fatto che niente va sottovalutato in questo momento, avrebbe il sapore del ridicolo, visto con gli occhi dei nostri giorni, e susciterebbe senso di pena nei confronti dei loro autori.
Si ritiene da più parti ormai che il braccio destro alzato e teso abbia un effetto di pericolosità depotenziato, riconducendo questa manifestazione a reato, solo nel caso in cui dovesse creare il rischio della ricostituzione del partito fascista.
Sottile, sicuramente, quel diaframma che separa, un saluto “depotenziato”, da un saluto che porta in sé ben altre nostalgie, inquietanti attese e potenziali rischi di un ritorno a un nero passato. E non ci venga detto che questo significa fare il processo alle intenzioni perché è ben noto quanto, i simboli, i gesti, gli atteggiamenti o lo stesso look utilizzato dalle persone (si pensi agli stessi messaggi inviati tramite Tik Tok o in genere sul web) servano a creare senso di appartenenza, condivisione e a fomentare e caricare gli animi delle persone.
Ma niente in Via Acca laurentia è stato fatto per disperdere i manifestanti ne successivamente si è dato più di tanto peso a quella modalità di saluto di chiara, anzi scura, memoria.
Allora, il linguaggio del corpo è veramente cambiato e quei giovani studenti di Pisa non erano stati avvisati.
Aldilà di qualsiasi disquisizione e analisi che, come spesso avviene per le parole, rischia di essere portata via dal vento, fatto che sta che , tornando alla pericolosa manifestazione di Pisa e ai “grossi rischi di ordine pubblico che stava rischiando di ingenerare”, i sogni di un gruppo di ragazzi che si muovevano pacificamente insieme, orgogliosi di sentirsi per un attimo  protagonisti in una società che frequentemente li cita come il proprio futuro,  sono stati frantumati insieme alle dita delle loro mani, colpite dalle manganellate delle forze dell’ordine.
Naturalmente “l’Italia del giorno dopo “, ha espresso solidarietà verso i giovani, le forze politiche hanno chiesto spiegazioni al Questore e al Prefetto della città, i politici ne chiederanno le dimissioni insieme a quelle del Ministero dell’interno e, nel frattempo, nello stesso giorno, un simile episodio si proponeva a Firenze.
Tanto chiasso, ma poi tutto rimarrà comunque invariato e si riuscirà a motivare e giustificare l’accaduto
E mentre le adunate di Acca Laurentia e altre similari vengono tollerate, perché non c’è rischio di ricostituzione del partito fascista, cinquanta giovani a braccia alzate (entrambe le braccia e non tese, precisiamo), rappresentano un potenziale pericolo da fermare con la violenza.


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Ma, scusate, il dialogo no?
Visto che gli “antagonisti del momento” erano rappresentati da un gruppo di ragazzi e ragazze, il funzionario presente sul posto invece di utilizzare il megafono per ordinare la carica non avrebbe potuto avvicinarli e ascoltare il loro pensiero.
Non ci risulta che l’atteggiamento del “buon padre di famiglia”, cui più volte lo stesso diritto fa appello, risulti essere incompatibile, in situazioni come queste, con il prestigioso ruolo di responsabile di un reparto speciale
E, se gli agenti presenti in assetto antisommossa avessero abbassato gli scudi e alzato la visiera dei loro caschi, non avrebbe potuto questo essere un segnale distensivo? A nessuno di loro è venuto in mente che fra quei ragazzi avrebbe potuto esserci anche il proprio figlio o figlia?
Probabilmente no, vista la reazione successiva.
Se poi vogliamo fare un salto nel passato (non quando c’era “lui” ma all’8 dicembre 2023) durante la prima della Scala, un loggionista viene identificato per aver gridato “Viva l’Italia antifascista”.
Il “presente” con braccio destro teso viene tollerato ma ricordare quello che è riportato nella nostra Costituzione rende necessaria l’identificazione dell’autore da parte della Digos. Per non dimenticare la recente identificazione delle persone che a Milano sono andate a depositare dei fiori in memoria di Alexei Navalny morto in circostanze sospette in Russia.
Anche meno.
Non si ritiene che qualcuno stia forse esagerando?
Se andiamo avanti di questo passo, per partecipare alla Via Crucis durante la Pasqua sarà necessario fare la prenotazione, cosi come per andare a teatro, o, mettersi in fila di fronte a una libreria, per appassionati lettori in attesa di un firma copie, (semmai di un libro non gradito al Governo) rischia di creare i presupposti per identificare i presenti.
Tanto, poi, se qualcuno si lamenta, tutto si risolve e ci sciacquiamo la bocca, come ha fatto il Ministro dell’Interno Piantedosi, riferito ai fatti di Milano, dicendo che “l’identificazione delle persone non è un fatto che comprime una qualche libertà personale e il personale in servizio a Milano in quella occasione non aveva piena consapevolezza di cosa stessero facendo i manifestanti”.
A posto stiamo, Sig. Ministro.
Troppo facile, così come sarà troppo facile semmai identificare e punire gli agenti che eseguendo gli ordini superiori, senza possibilità di rifiutarsi, hanno dato luogo alla carica dei giovani studenti.


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La Premier Giorgia Meloni © Imagoeconomica


Come si suol dire, e non dimentichiamolo, “il pesce puzza sempre dalla testa”.
Ma, anche se non ci riusciamo, vogliamo credere che questo sia solo sarcasmo di chi scrive e, non vogliamo nemmeno lontanamente pensare che questi rigurgiti di usi e costumi dei tempi furono, consentano a questo governo di modificare anche il modo di educare o “rimproverare” i giovani e lo schiaffone materno/paterno (che di per sé potrebbe già essere ritenuto diseducativo) oggi si ritenga di poterlo sostituire con la manganellata governativa.
Ma soprattutto non vogliamo assolutamente credere che queste reazioni possano intimorire i giovani studenti distogliendoli dal continuare a confrontarsi e a manifestare il loro dissenso e la loro solidarietà dovunque sia lecito e possibile farlo.
E, a tal fine, se non ha cambiato idea, i giovani possono contare sulla comprensione, solidarietà e autorizzazione del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, in occasione del suo discorso di insediamento alla Camera dei Deputati ebbe a dire le seguenti testuali parole: “Penso di conoscere bene l’universo dell’impegno giovanile, una palestra di vita meravigliosa, indipendentemente dalle idee politiche che si sceglie di promuovere e, confesso che, difficilmente, riuscirò a non provare un moto di simpatia anche per coloro che scenderanno in piazza per contestare le politiche del nostro governo, perché ritornerà nella mia mente una storia che è stata anche la mia. Io ho partecipato a tantissime manifestazioni, ne ho organizzato tantissime e mi hanno insegnato molto di più di quanto non mi hanno insegnato molte altre cose". Ricordo una frase di Steve Jobssiate affamati e siate folli” e, vorrei aggiungere, "siate liberi perché è nel libero arbitrio la grandezza dell’essere umano”.
Gentilmente, Presidente Giorgia Meloni, se quanto ha detto le appartiene sempre  e non è stato  frutto dell’ennesimo approccio demagogico tipico della politica, per accattivarsi fraudolentemente della simpatia dei giovani , se non vuole rappresentare anche lei l’ennesimo tradimento e delusione della politica nei confronti dei giovani, può mandare un WhatsApp, con questi suoi bellissimi concetti, al Ministro Piantedosi che, forse, quando lei li ha pronunciati era distratto a contare la consistenza del carico residuale dei migranti tra i quali, accanto a potenziali terroristi potevano esserci anche tanti giovani che speravano in una vita migliore?
Se a questo suo messaggio, il Ministro Piantedosi, vorrà aggiungere le illuminate parole che gli ha voluto indirizzare il nostro Presidente Mattarella dicendogli che “i manganelli contro i ragazzi esprimono un fallimento”, sicuramente avrà sufficienti e giustificati elementi per poter pensare a un futuro diverso, se non migliore, per sé e conseguentemente per il nostro Paese.
“Sogna ragazzo sogna”, lo cantava Vecchioni nel 1999, una canzone scritta la notte prima di andare in pensione come insegnante di Liceo.
Sogna ragazzo sogna, ti ho lasciato un foglio sulla scrivania, manca solo un verso a quella poesia, puoi finirla tu" ha cantato quest’anno Vecchioni a Sanremo con grande e moltiplicato successo rivolgendosi ai giovani.
Il resto di quella poesia con i vostri sogni, finitela voi.
Perché i sogni sono (per ora) ancora ammessi e sognare non costituisce reato.

In foto: Giuseppe Galasso, rappresentante della Agende Rosse di Siena © ANTIMAFIADuemilaTV

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