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Il Pg di Cagliari in Commissione antimafia: "La prima versione non era un rapporto ma un’annotazione. Ci fu una gestione dei confidenti non ortodossa"

Il rapporto del Ros (Raggruppamento Operativo Speciale dei Carabinieri) denominato “mafia e appalti”, datato 20 febbraio 1991, non corrisponde a un vero rapporto, ma a una semplice annotazione.
Nonostante ciò la procura di Palermo (guidata da Caselli) riuscì a sfruttarla per effettuare importanti arresti nel febbraio 1992, tant'è vero che venne creato un "pool" nel procedimento nel quale confluiscono diverse indagini sul sistema incardinato sulla mafia e sugli appalti: un "gioco grande" che non venne "scoperto con il rapporto del Ros del '91", ma intorno al 1996-1997 dai magistrati di Palermo.
Si potrebbero riassumere così i punti più salienti dell’audizione del procuratore generale della corte di Appello di Cagliari Luigi Patronaggio, giovane magistrato in Sicilia all'epoca delle stragi, in commissione antimafia: il magistrato ha così smentito categoricamente la tesi secondo la quale il famoso dossier del Ros dei carabinieri venne lasciato 'decadere' dai magistrati palermitani del tempo, sottolineando il fatto che vi fu un procedimento di archiviazione, ma che riguardò solo una parte "del rapporto del Ros".
Archiviazione a cui Paolo Borsellino, durante la riunione della procura del 14 luglio 1992, non si oppose: come primo punto all'ordine del giorno, ha riferito il procuratore generale di Cagliari, vi era proprio mafia e appalti e Borsellino "fece qualche domanda da cui si intuiva che lui voleva sapere qualcosa in più".
"Però devo pure dire con la massima onestà intellettuale - ha riferito - che il rapporto nella sua versione del 20 febbraio 1991" aveva "in realtà degli elenchi, delle schede e una quantità notevole di intercettazioni" che secondo, il magistrato Guido Lo Forte (relatore della pratica durante la riunione del 14 luglio, ndr) non erano inutilizzabili poiché "provenivano da diversi procedimenti" e "avevano grosse difficoltà ad essere lette, ad essere interpretate, a collocarle nella giusta dimensione investigativa".
La vicenda delle intercettazioni è un punto chiave di tutta la vicenda 'mafia e appalti': abbiamo già più volte scritto che la prima informativa dei Ros datata 1991 non conteneva espliciti riferimenti a Calogero Mannino, Salvo Lima e Rosario Nicolosi, al tempo esponenti politici di grosso calibro.


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Roberto Scarpinato © Deb Photo


Fatto singolare dal momento che i carabinieri erano a conoscenza di tali nomi già da un anno ma che sono stati inspiegabilmente esclusi dal rapporto mafia-appalti: "Questa vicenda delle intercettazioni del Ros - ha continuato Patronaggio rispondendo alla domanda dell'ex procuratore generale di Palermo e oggi senatore Roberto Scarpinato - è un'altra vicenda dolorosissima, nel senso che si era venuta a creare una contrapposizione tra il metodo di lavoro dei carabinieri e il metodo di lavoro della procura. I carabinieri ritenevano non so ora bene se correttamente o non correttamente, di avere riversato quest'enorme massa di intercettazioni e che lì vi fosse tutto e che poi era compito della Procura leggere tra queste intercettazioni e tirarne le conseguenze", per "cui confermo che il nome di Lima esce in tutta la sua gravità con un'intercettazione del '90”.
Sul punto la presidente Chiara Colosimo ha chiesto al magistrato se per caso la mancanza di quell’intercettazione nel dossier depositato nel febbraio de ’91 non fosse dovuta semplicemente al fatto che le intercettazioni vennero riascoltate dal Ros nel maggio del ’92, come scrive la gip di Caltanissetta Gilda Loforti archiviando il procedimento sulla gestione dell’inchiesta su mafia e appalti nel 2000. Patronaggio, però, ha confermato che le intercettazioni di Lima vengono “a conoscenza del gruppo di lavoro non prima del settembre ’92”. Questo particolare non impedì ai pm di avere comunque dei risultati: "Già nel febbraio '92 sulla scorta anche del rapporto mafia e appalti vengono arrestati due personaggi grossi della mafia che sono Cascio Rosario e Buscemi Vito. Buscemi Vito è fratello di Buscemi Antonino della famiglia mafiosa palermitana di Bocca di Falco". Inoltre, “nel luglio 1991 viene fatta un'altra importante ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Siino Angelo, Li Pera Giuseppe, Farinella Cataldo, Falletta Alfredo e Morici Serafino".

"Giuseppe Li Pera non voleva collaborare con la Procura di Palermo"
Durante l'audizione il procuratore di Cagliari ha detto che l'imprenditore Giuseppe Li Pera, allora capo area per la regione Sicilia della società Rizzani De Eccher, anch’essa coinvolta nell’inchiesta, non voleva collaborare con i magistrati di Palermo e che sarebbe diventato un confidente del Ros.
Una ricostruzione che contraddice le affermazioni fatte in precedenza dall'ex magistrato di Mani Pulite Antonio Di Pietro: "Verso il mese di ottobre del 1992 viene da me il mio ufficiale dei carabinieri di riferimento, Zuliani, che mi disse che un ufficiale del Ros mi doveva parlare. Oggi so il suo nome, lo ricordo, si tratta di De Donno (Giuseppe, ndr), e voleva parlarmi... Dopo la morte di Borsellino le indagini erano arrivate ai principali gruppi imprenditoriali italiani: a quel punto viene questo ufficiale del Ros e mi dice 'con riferimento alle indagini che stai facendo su Ferruzzi, De Eccher, Buscemi, c'è un tizio che ti vuole parlare perché, arrestato da un anno, non gli credono'". "Li Pera - disse De Donno a Di Pietro, secondo il racconto di quest'ultimo in Commissione - si lamenta e vorrebbe parlare con lei, perché lei indaga su fatti che lui conosce e che lo riguardano direttamente, e riguardano la De Eccher, fatti per cui lui sta dentro". "Qualche giorno dopo - ha proseguito Di Pietro parlando questa volta di sé stesso - io e un altro capitano dei carabinieri andammo a Rebibbia e Li Pera mi raccontò ciò che aveva detto a Catania, e cioè che a Palermo non gli davano retta".


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Antonio Di Pietro © Imagoeconomica


Invece secondo Patronaggio fu Li Pera che "si rifiutò di rendere dichiarazioni alla Procura della Repubblica di Palermo, a un certo punto diventa confidente del Ros".
Li Pera, ha specificato il magistrato rispondendo alle domande dei commissari "era assistito da due difensori e uno dei due difensori era Domenico Salvo, inteso 'Memi' Salvo, soggetto cocainomane e nelle mani della famiglia di Brancaccio, arrestato e poi condannato". Per questo "difficilmente Li Pera poteva collaborare con la magistratura".
L'imprenditore cambiò avvocato quando "collaborò con il dottor Felice Lima di Catania”: "Da un punto di vista processuale - ha detto - questo modo di procedere non è esattamente ortodosso e altrettanto non ortodossa è stata la mossa di far sentire Li Pera che era detenuto per la procura di Palermo a sommarie informazioni da un magistrato della procura di Catania. Per cui in quel momento si è verificata questa situazione assolutamente incresciosa. Colui che aveva in mano buona parte delle notizie su cui si è sviluppato poi tutto il filone di mafia e appalti, che era Li Pera, con la procura di Palermo aveva posto un rifiuto a collaborare, non aveva risposto all'interrogatorio. Era formalmente indagato, era in storia di detenzione e faceva da confidente ai carabinieri e poi è stato sentito a sommare informazioni da un magistrato di Catania" alla "presenza del Capitano De Donno".

Il sistema degli appalti
Il sistema degli appalti venne scoperto dalla procura di Palermo tra il 1996 e il 1997: secondo Patronaggio era un sistema che "vedeva da un lato Salamone Filippo, con questo ruolo assolutamente di cerniera tra gli imprenditori e anche i mafiosi, e dall'altra parte Buscemi Antonino che porta giù il gruppo Calcestruzzi in Sicilia prepotentemente. Qual era l'interesse di un gruppo così grande affermato come Calcestruzzi? Quando parlo di Ferruzzi e Calcestruzzi faccio un'approssimazione assolutamente arbitraria. Però per capirci, perché il gruppo Ferruzzi e Calcestruzzi ha interesse a venire in Sicilia? Probabilmente per tre ordini di motivi. Il primo è il più banale, controllare gli appalti pubblici in Sicilia, per cui sedersi al tavolino forte delle conoscenze mafiose che ha attraverso Panzavolta (Lorenzo ndr) con la famiglia Buscemi. Due, avere il monopolio del calcestruzzo in Sicilia e tre, e questa forse è l'ipotesi investigativa, la possibilità a Cosa nostra di riciclare ingenti quantità di denaro”.
Il magistrato ha spiegato che in una "prima fase in cui gli appalti in Sicilia erano controllati da due uomini politici, da prima Ciancimino e poi Salvo Lima, una seconda fase in cui entrano prepotentemente i corleonesi che vogliono la regia tramite Di Maggio Baldassare e Brusca Giovanni, a un certo punto Di Maggio Baldassare dice a Angelo Siino (conosciuto anche come il ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra, ndr) che era già accreditato a gestire questi appalti” e “una terza fase in cui il gioco passa in mano a quel Salamone Filippo che abbiamo già visto e che aveva sempre negato rapporti con Cosa nostra. Salamone Filippo, lo voglio dire, viene una prima volta raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare per 416 semplice, perché non era approvato il suo ruolo con Cosa nostra e viene raggiunto da una seconda ordinanza, questa volta per 416 bis, per i suoi rapporti accertati con Cosa nostra".
Patronaggio ha ribadito con forza, ancora una volta, che la procura della Repubblica di Palermo fece un'importante opera di repressione: "Tutti questi soggetti a cui ho fatto riferimento, tutti questi indagati e le società in qualche modo loro riferibili sono stati tutti colpiti da misure di prevenzione di carattere patrimoniale. In quel momento le misure di prevenzione di carattere patrimoniale hanno assunto un ruolo fondamentale nella lotta alla mafia. Tutti questi nomi, tutte queste imprese, tutta questa roba che abbiamo così velocemente elencato sono stati tutti poi passati al vaglio delle misure di prevenzione di carattere patrimoniale".


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Tribunale di Palermo © Imagoeconomica


Il documento contro Giammanco
Patronaggio ha anche ricordato i momenti successivi alla strage di via d’Amelio, quando un documento sottoscritto da alcuni pubblici ministeri, tra cui Roberto Scarpinato, costrinse il Csm a intervenire su Pietro Giammanco, allora procuratore capo di Palermo. “Giammanco non era all’altezza di quel periodo drammatico che stavano vivendo la Sicilia e l’Italia. C’erano vecchie incomprensioni tra Giammanco e Falcone e Borsellino – ha aggiunto Patronaggio – Sapevamo che Giammanco faceva fare anticamera a questi due illustri magistrati. La procura era gestita da Giammanco in modo burocratico e verticista”. “Il documento che sfiduciava Giammanco fu preso su iniziativa di Scarpinato a cui si aggiunsero altri colleghi tranne qualcuno che lo riteneva un documento forse troppo avanzato. Era una mossa molto azzardata perché i tempi erano diversi da quelli di oggi, c’erano diverse sensibilità politiche ed era un documento molto coraggioso”.

La mancata perquisizione del covo di Riina
La verità processuale parla di un errore.
Tuttavia Luigi Patronaggio, oltre a ricordare le sentenze di assoluzione dei carabinieri, ha ricordato i rischi del metodo proposto dai carabinieri: "Il nostro modo di operare era quello, fare irruzione e entrare. Ci veniva proposto (dal Ros, ndr) un altro modo di operare, legittimo, attenzione, che veniva fuori dalla esperienza della lotta al terrorismo, che era quella dell'osservazione esterna. C'erano dei rischi oggettivamente in questa cosa. Il primo rischio era la fuga di notizie, perché chiaramente la stampa era già in cerca. Il secondo rischio era quello che potesse andare male qualche cosa. Comunque tutti quanti accettammo questa impostazione investigativa che proviene da due ufficiali di altissima qualità. Passano alcuni giorni e arriva sul mio tavolo una nota del commissariato di Corleone che ci dice che Ninetta Bagarella, la moglie di Totò Riina, ha fatto rientro a Corleone insieme ai due figli più piccoli. Anche questa era una notizia importantissima, anche la Bagarella tornava alla vita vera e non alla vita di latitante e questa cosa ci incuriosì. Allora un collega, ricordo Vittorio Teresi in particolare, sollevò il problema: 'Ma questo servizio di osservazione da parte dei carabinieri in via Bernini che fine ha fatto?' È il tempo di andarla a verificare dato che Ninetta Bagarella ha fatto rientro a Corleone. E chiaramente Caselli chiese ai carabinieri appunto cosa fosse successo di questo servizio di osservazione".
È da quel punto in poi che si crea una frattura tra i carabinieri e la procura di Palermo: "Un momento di criticità assoluto, furono chieste delle spiegazioni che arrivarono anche per iscritto, insomma le spiegazioni erano sostanzialmente che non era stato possibile tenere sotto controllo il covo, gli uomini che facevano parte della squadra di De Caprio erano stanchi e dovevano essere avvicendati e poi anche gli stessi filmati in realtà non furono neanche portati a termine. Ricordo in particolare che il collega Teresi volle vedere i filmati effettuati dall'interno della 'balena', da questa macchina segreta ma non so quanto segreta, e questi filmati alla fine davano solo una nebbiolina, non registravano nulla. Si sono fatti dei processi su questa cosa, gli ufficiali dei Carabinieri ne sono sempre stati assolti con formula piena, per quel che ricordo ripeto, sono solo sentito come testimone in entrambi i processi, si è parlato di un disguido, di una défaillance operativa. E questa è la verità processuale, acclarata su delle sentenze passate in giudicato", ha detto.

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