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A Siena presentato il libro sulla storia del pentito di Cosa nostra assassinato nel 1996

L'importanza dell'omicidio dell'infiltrato Luigi Ilardo come misura preventiva per proteggere gli interessi dello Stato italiano (deviato); le potenziali rivelazioni che avrebbe potuto fare ai magistrati riguardo agli istigatori esterni degli attentati del '92-'93; il coinvolgimento della mafia con i servizi segreti italiani e le connessioni con figure politiche di alto livello, nonché il ruolo dei magistrati Nino Di Matteo, attuale sostituto alla procura nazionale antimafia e Luca Tescaroli, oggi procuratore aggiunto di Firenze. Sono questi in estrema sintesi gli argomenti toccati ieri dal direttore di ANTIMAFIADuemila Giorgio Bongiovanni durante la presentazione del libro "Luigi Ilardo. Omicidio di Stato" di Anna Vinci (ed. Chiarelettere). Durante l'incontro, moderato dal giornalista Stefano Baudino, l'autrice ha dialogato con Luana Ilardo, figlia del pentito ucciso il 10 maggio 1996, e il referente del movimento delle Agende Rosse di Siena Giuseppe Galasso.
"Fondamentale è capire che l'omicidio di Ilardo è preventivo perché si teme che il soggetto possa scatenare un capovolgimento nello Stato italiano", ha detto il giornalista, ricordando che "Luigi Ilardo è testimone oculare di rivelazioni che avrebbero potuto far indagare e/o arrestare personaggi di altissimo livello di allora". "Quindi Gino Ilardo - ha continuato - avrebbe raccontato cose devastanti riguardo ai mandanti esterni di Borsellino, i mandanti esterni di Capaci, la convergenza di interessi della mafia italiana con Cosa Nostra americana e tante altre vicende". Oltre a ciò, "dobbiamo dire che l'omicidio è preventivo, non tanto per quanto avrebbe detto Luigi Lardo, ma a chi lo avrebbe detto", cioè alla Procura di Caltanissetta dove prestavano servizio Nino Di Matteo e Luca Tescaroli. "Perché già all'epoca i due magistrati, subito dopo l'omicidio di Ilardo, mettono sotto indagine il senatore Marcello Dell'Utri e il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. Nino Di Matteo in quel caso è stato il magistrato che si è avvicinato più di tutti alla verità nella strage di via d'Amelio e poi ha continuato a cercare i mandanti esterni delle stragi attraverso il processo Trattativa, insieme ad altri colleghi, ovviamente prima di tutti Luca Tescaroli che indagava sulla strage di Capaci e poi a Palermo con Antonio Ingroia e Roberto Scarpinato".





"Però Nino Di Matteo avrebbe raccolto le dichiarazioni di Ilardo - ha continuato - e questo significa, è una mia ipotesi basata sui fatti, che avrebbe richiesto l'arresto di Marcello Dell'Utri, Silvio Berlusconi, servizi segreti, Mario Mori, personaggi potenti, trafficanti di armi. Quindi in quel momento Nino Di Matteo avrebbe scardinato il potere dello Stato". Per il direttore di ANTIMAFIADuemila "la talpa dell'assassino di Luigi Ilardo" è stato l'allora procuratore della Repubblica Gianni Tinebra perché "Antonio Giuffré, collaboratore che faceva parte della cupola, ci ha riferito che l'informazione per assassinare Luigi Ilardo è arrivata dalla procura di Caltanissetta". Ma "in quella procura nessuno era a conoscenza che Luigi Ilardo si stava pentendo, tranne il procuratore capo che aveva competenza e diritto di conoscerlo. Quindi il boss Piddu Madonia aveva chiesto attraverso la massoneria di informare il procuratore capo, il confratello Gianni Tinebra. E poi avvenne l'assassinio di Luigi Ilardo".
La necessità di eliminare Luigi da parte dello Stato era motivata dalla presenza di magistrati incorruttibili, decisi a non limitarsi alle indagini di routine sugli indagati. Questi pubblici ministeri, che avevano ereditato l'impegno di figure come Falcone e Borsellino, tra cui Nino Di Matteo, avrebbero richiesto arresti a livelli molto elevati. Questa consapevolezza era diffusa tra i servizi, la massoneria, i politici e i "magistrati traditori" di Nino Di Matteo inseriti nel sistema di potere. Di conseguenza, la vicenda Ilardo emerge come uno degli episodi più inquietanti e nefasti. Il delitto, equiparabile a quello di Aldo Moro, ha coinvolto tuttavia non uno statista, bensì un collaboratore di giustizia. Quest'ultimo, con il supporto dei giudici adeguati, avrebbe potuto rilasciare dichiarazioni esplosive e svolgere un lavoro straordinario. A Caltanissetta, infatti, magistrati come Di Matteo erano pronti a condurre l'indagine con straordinario successo. "Però - ha concluso Bongiovanni - ho realizzato in questi anni che la questione Ilardo non poteva fermarsi solo alle sue indicibili dichiarazioni generiche. Il punto è a chi le avrebbe fornite queste dichiarazioni: sempre ai magistrati Nino Di Matteo, Luca Tescaroli e Roberto Scarpinato". E non ci sono dubbi che Di Matteo sarebbe andato sino in fondo. A prova di questo vi è la sentenza di morte emessa nei suoi confronti con un attentato dinamitardo "a Palermo, credo nel 2014, con un fiorino che doveva far saltare in aria tutto il tribunale e lì morivano 50-60 persone. Questo perché Matteo Messina Denaro aveva garantito la protezione dello Stato, perché Nino Di Matteo, parole precise della lettera che ha scritto Messina Denaro, si era spinto troppo oltre. Quindi la chiave non è solo l'omicidio e Ilardo. Ma quali magistrati sono in grado di mettere sotto processo un intero Stato italiano? Ce ne sono pochissimi. E a un personaggio di tale spessore come Ilardo era capitato il magistrato giusto, cioè il Falcone di quel momento".


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Il direttore di ANTIMAFIADuemila, Giorgio Bongiovanni, e la scrittrice, Anna Vinci


La determinazione di Luana Ilardo
A condannare la condotta del vertice della procura di Caltanissetta è anche Luana Ilardo.
Validi collaboratori di giustizia come Nino Giuffrè o Ciro Vara, hanno sempre verbalizzato che Madonia (Piddu, ndr) aveva agganci importantissimi nella procura di Caltanissetta. Piddu Madonia, che è cugino di mio padre, in più di un'occasione diceva ai suoi uomini di stare tranquilli quando avevano bisogno di favori riguardo alla detenzione e alla situazione processuale perché per quanto riguarda la procura di Caltanissetta era ben messo”. Questi, ha spiegato la figlia del confidente Ilardo, “sono reperti storici di quella che era la figura di Tinebra, e del potere dei Madonia all’interno di quella procura”. Luana Ilardo ha anche ricordato il famoso incontro alla sede Ros di Roma del 2 maggio 1996 di Ilardo e il colonnello dei carabinieri Michele Riccio, che curava la sua collaborazione ancora non ufficiale con lo Stato, alla presenza di Mario Mori, Teresa Principato, Gian Carlo Caselli e, appunto, il procuratore capo di Caltanissetta Gianni Tinebra. “Luigi Ilardo si è incontrato con i più alti vertici della magistratura antimafia dell’epoca e non ci sarà un solo verbale di tutto quello che mio padre raccontò ai magistrati per quattro ore suonate. Fino a quando lo stesso Tinebra interromperà bruscamente i lavori per rimandare mio padre a Catania”. Da quella riunione nasce - ha spiegato Luana Ilardo - “l’accelerazione immediata dell’omicidio”. Infatti “era già stato deciso che Ilardo sarebbe risalito a Roma il 13 maggio e noi figli saremmo entrati insieme a lui nel programma di protezione. L’accelerazione di conseguenza nasce dal fatto che Ilardo doveva essere ucciso prima di entrare nel programma di protezione, essere trasferito in località protetta, cambiare generalità”.
Luana Ilardo ha ricordato poi il contributo prezioso di Ilardo nella lotta a Cosa nostra sottolineando che “tutte le dichiarazioni che ha fatto sono risultate perfettamente attendibili”. Quindi ha rammentato tutta la serie di personaggi ed episodi tutt’oggi delicati e misteriosi raccontati dal confidente Ilardo, nome in codice “Fonte Oriente”, al colonnello Michele Riccio. Tra questi la vicenda della trattativa Stato-mafia, il ruolo di personaggi ibridi della polizia, le collusioni tra uomini politici e mafia e tanti altri.


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Da destra: Giuseppe Galasso, Luana Ilardo e Stefano Baudino


Oggi è facile ricordare e parlare di trattativa Stato-mafia, di pizzini di Provenzano, di servizi segreti deviati, di Giovanni Aiello (alias ‘faccia da mostro’, ndr), e massoneria deviata. Pensate però cosa significava farlo 28 anni fa”, ha affermato Luana Ilardo. “Senza Luigi Ilardo non avremmo saputo nulla delle due fazioni di Cosa nostra, dell’ala stragista di Totò Riina e di quella di sommissione di Bernardo Provenzano. Ilardo ne parlò 28 anni fa, in un’epoca insospettabile, oggi invece ne parliamo con scioglievolezza. Al tempo era un disegno astratto per il colonnello Riccio e per tutti i magistrati che prendevano le dichiarazioni di Ilardo. Mio padre fu il primo a parlare di Giovanni Aiello. La collaborazione di mio padre - ha spiegato - è forse superiore alla collaborazione di Tommaso Buscetta che è rimasto vivo perché gli hanno impedito di toccare i fili dell’alta tensione. Buscetta ha fatto arrestare tutti i mafiosi, e in Italia andava bene a tutti.
Mio padre è stato ucciso invece perché i fili dell’alta tensione li ha toccati. Cioè quegli uomini innominabili che sono trait d’union tra criminalità organizzata, massoneria deviata, servizi segreti e destra eversiva.
Buscetta, come, mio padre, ha fatto arrestare moltissimi mafiosi, ma appena fece il nome di Giulio Andreotti venne stoppato. E dovette ritrattare tutto ciò che disse su Andreotti, ma Luigi Ilardo non era in tempo di ritrattare. Mio padre è morto quando ha iniziato a fare nomi indicibili
”, ha rimarcato la figlia. “E’ stata la prima persona a parlare di Marcello Dell’Utri e Silvio Berlusconi. E non lo dice una figlia innamorata ma le sentenze e gli addetti ai lavori. Ecco perché parlo di collaborazione dirompente”.
Sul punto, secondo Luana Ilardo, “quello che è successo nel caso Luigi Ilardo è successo nel caso Moro, nel caso dalla Chiesa, nel caso Mattarella, nel caso delle stragi Falcone e Borsellino”.
La figlia di Luigi Ilardo ha quindi ricordato che “a Catania da 28 anni c’è un’indagine aperta sui mandanti istituzionali dell’omicidio. Ma è ferma, a binario morto, nonostante lì ci sia un modulo 21, che per chi non lo sapesse vuol dire ‘persona nota ai fatti’. Quindi - ha ribadito Ilardo - dopo 28 anni, nonostante ci sia un nome lì dentro per i mandanti esterni e quindi per i soggetti non appartenenti a Cosa nostra riguardo all’omicidio, io sono ancora qua a gridare e a fare casino perché voglio quei nomi messi nero su bianco. Perché è un mio diritto e perché quei nomi fanno parte non solo della vicenda Ilardo ma della storia nascosta di questo Paese”. Infatti, secondo Luana Ilardo, “sapere la verità sulla morte di mio padre non è solo un favore che si fa alla famiglia Ilardo ma alla nazione perché tante cose le abbiamo scoperte grazie a lui. Io e la mia famiglia, come tutti gli altri parenti di vittime di mafia come Angela Manca, madre di Attilio, come Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, e tanti altri, siamo rimasti ancora oggi a piangere ma abbiamo diritto di sapere la verità su chi ha fatto uccidere i nostri cari”.


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Un libro come tributo d’amore
Dopo un’attenta disanima dell’intero epilogo storico e giudiziario del pentito fatta da Stefano Baudino - dalle prime rivelazioni a Riccio, passando ai blitz mancati del Ros di Mori nel casolare dove Ilardo aveva scoperto si nascondeva Provenzano, fino ai giorni salienti precedenti all’omicidio - nel corso della serata si è parlato anche del lato più privato della vita di Luigi Ilardo e della sua famiglia.
Omicidio di Stato è un pugno allo stomaco”, ha detto Luana Ilardo raccontando il libro. “Il desiderio di scrivere un libro è nato quando ero piccola, dalla morte di papà. Sono cresciuta come fossi una pentola a pressione. Sentivo il bisogno di raccontare il rovescio della medaglia, di raccontare tutto quello che le foto segnaletiche, la cronaca giudiziaria hanno privato mio padre dell’aspetto umanitario e paterno”, ha spiegato. “Il mio obiettivo è ridare quella dimensione umana che tutta la vicenda giudiziaria gli ha tolto. Il mio libro è un atto d’amore in cui ho sempre creduto”. In tutto questo, Anna Vinci, autrice del libro, “è riuscita perfettamente a incarnare tutto ciò che volevo raccontare, tutto ciò che volevo gridare. Le sue sapienti mani sono state in grado di rimettere insieme tutto il mio dolore, la mia storia e le scene brutte vissute da una ragazzina che, volente o nolente, ha subito un conto che non avevo mai chiesto e scelte non fatte da lei”.


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Luana è una figlia che ha amato molto il padre”, ha quindi detto Anna Vinci in video collegamento. “Io mi sono inserita rubando quelli che sono gli elementi psicologici che a mio parere aiutano di più a capire quello che succede. E quello che succede è che Luigi Ilardo era un uomo forte, lucido, sentimentale e ossessionato dal controllo e talmente intelligente che mentre sta in carcere lui, a differenza di tanti altri, comincia a preparare il suo futuro. Un amore, prima delle figlie, e poi di questi due ragazzi che nasceranno da questo nuovo amore”. Tutto, nel libro “Omicidio di Stato”, ruota attorno all’amore: l’amore di una figlia per un padre che ha fatto scelte sbagliate, l’amore di questi per la propria famiglia che poi l’ha portato a chiudere col passato di sopraffazione collaborando con lo Stato; l’amore per la giustizia di un valoroso investigatore, Michele Riccio, che ha accompagnato il pentito in questo percorso, affrontando delegittimazioni, isolamento e sgambetti dei suoi superiori nell’Arma.
Anna Vinci e Luana Ilardo hanno deciso di intraprendere un percorso per fotografare, da prospettive sicuramente inusuali, la vita di un uomo e della sua famiglia nel suo evolversi, da quando Luana e la sorella erano bambine, fino al più tragico degli epiloghi di questa vicenda”, ha spiegato Giuseppe Galasso. “Per Anna Vinci questo libro è stato una sfida, quella di raccontare un padre attraverso la testimonianza della figlia senza però cascare in quella che poteva essere la trappola della beatificazione di un uomo che pur sempre era stato un boss di Cosa nostra. Anna, da grande scrittrice, ha la capacità di tenere nell’incedere del racconto i lettori con il fiato sospeso mentre accompagna Luana in questo suo percorso”. Nel fare questo “si ha però la sensazione - ha affermato il referente di Siena della Agende Rosse - che Anna abbia compiuto un furto, ovvero sia riuscita ad impossessarsi delle chiavi dell’anima di Luana, con tutte le sue sfumature, fatte di sentimenti, passione, gioia, disperazione. E’ così intensa la descrizione di questo spaccato di questa famiglia che alla fine il lettore ha un po’ la sensazione di esserne stato un po’ parte, cioè di aver vissuto quei momenti insieme a Luana”, ha commentato Galasso. “Nell’incipit del libro viene già dato un profilo molto umano di Luigi Ilardo, tanto che Luana esprime il desiderio di dare al padre una dignità di uomo d’amore più che di uomo d’onore”. “L’impegno civile di Luana è quello di cercare la maniera che altri non vivano il dolore, frutto anche di un pregiudizio di preconcetti da parte della società anche dopo la morte del padre, che loro hanno per lungo tempo vissuto”.

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