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E’ una storia non recentissima quella delle infiltrazioni criminali negli appalti legati alle attività militari americane  in Italia, in particolare nella base di Sigonella, in Sicilia. Un primo precedente illustre era stato, a metà degli anni ’80, quello da parte della Camorra di aggiudicarsi in blocco le opere di smantellamento di 600 carri armati M47.

Apparentemente storie minime, rispetto al vasto ed articolato panorama criminale di casa nostra, ma no, non è così, o meglio, non è solo questo: le mani della mafia catanese si muovono in un dedalo di convergenze che toccano i nostri Servizi, la mafia e qualche altro “club” di interessi economici.

Un po’ di cronaca. La prima operazione di polizia scattò nel 1997. Poi nel 2004 ci furono sette arresti che svelarono l'intreccio tra ditte vicine ai clan e un funzionario italiano assunto dagli americani, che forniva agli amici degli amici le dritte per fare sempre l'offerta giusta. Nel novembre 2010 una retata dell'Antimafia catanese colpisce un'azienda romana - la Safab - con un ricco portafogli di opere siciliane inclusi i progetti - gestiti da due sue partecipate - per il nuovo villaggio residenziale della Marina statunitense che ospiterà i rinforzi attesi a Sigonella. L'episodio più sorprendente risale al 1993 e ancora oggi appare incredibile. In una grande installazione campana erano custoditi circa 600 carri armati M47, tank di proprietà statunitense "prestati" all'Italia negli anni Sessanta. I patti sul disarmo globale siglati con la Russia ne prevedevano lo smantellamento, anche se quei mezzi vecchiotti facevano ancora gola ai mercanti di cannoni per conflitti come quello somalo o jugoslavo. Le autorità Usa assegnarono il contratto per smontarli a una società ligure i cui amministratori avevano rapporti con la camorra: legami che erano stati pubblicati su tutti i giornali, ma che non avevano bloccato l'appalto. Diverse procure hanno poi indagato sul modo in cui i tank sono stati trasformati in rottami e sulla loro sorte finale. Ma i sospetti di traffico d'armi non si sono mai trasformati in prova.

In tempi più recenti in Campania la procura distrettuale antimafia di Napoli ha svelato come molti militari Usa di stanza nel comando della VI flotta  affittavano le loro villette dal clan dei casalesi: gli intestatari erano prestanome di Giuseppe Setola, il killer che nel 2008 scatenò il terrore nel Casertano.

Appalti piccoli, non grandi! «Noi non dobbiamo considerare il grande appalto, perché dà nell’occhio. E’ sul cumulo che dobbiamo lavorare...», si dicevano i vari soci intercettati, e poi arrestati, nell’ambito dell’operazione del 2004 denominata «San Patrizio», quattro imprenditori edili (uno dei quali, Francesco Crisafi, imparentato con l’omonimo boss), due presunti affiliati alla cosca Santapaola e un funzionario «di alto livello» della base, Vincenzo Dispenza, che in virtù del suo lavoro all’interno di Sigonella riusciva a dare informazioni fondamentali sui lavori che sarebbero stati messi in gara.

L’azienda La.Ra. e la fine impietosa dei suoi lavoratori
La.Ra s.r.l è una delle società del gruppo facente capo, sulla carta, a Carmelo La Mastra, con sede a Motta S. Anastasia, sequestrata nel 1997 al clan Santapaola-Ercolano e nel 2000 è stata definitivamente confiscata. Da 18 anni viene gestita dallo Stato e fino al 2013 faceva parte di quelle poche imprese confiscate economicamente virtuose. Ma a dicembre 2013 l’appalto che garantiva loro la sopravvivenza, cioè quello per la manutenzione di alcuni impianti della base militare americana di Sigonella, è stato assegnato a una società napoletana, il cui ex amministratore delegato è recentemente finito agli arresti domiciliari nel corso di un’indagine sugli appalti truccati all’Asl di Caserta. La.Ra. si occupava di progettazione, messa in opera, manutenzione e assistenza tecnica di impianti di varia natura ma perso il principale cliente – Sigonella, appunto – la La.Ra. è rimasta senza committenti. Ad oggi, i lavoratori dell’azienda sono 24, 19 sono i colleghi messi in mobilità lo scorso dicembre dall’amministrazione controllata. Un vero e proprio incubo, quello vissuto da questi lavoratori, ormai da decenni, una delle tante -purtroppo- che riguardano le aziende confiscate: tutto il “carico” alla fine grava sulle spalle dei lavoratori. Le aziende confiscate fanno parte di una burocrazia molto più complessa di quel che sembra: difficoltà a presentare in tempo utile i bilanci, difficoltà a partecipare a gare d’appalto di vario genere perchè, essendo confiscate, le banche non si espongono molto (ad esempio per la concessione di fideiussioni, ecc). Se a questo si aggiunge che, sempre perchè si tratta di un’azienda confiscata alla mafia, non è possibile fare i noti “giochetti” che spesso sono determinanti per vincere le gare d’appalto…

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