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Nel mirino la tutrice Donnichenko, avrebbe chiesto soldi alle famiglie per il ritorno di alcuni minori ed intimidito altri per costringerli a partire

La procura di Catania, nella persona del procuratore aggiunto Sebastiano Ardita e del sostituto Francesco Camerano, è al lavoro per difendere i diritti di alcuni dei 150 orfani ucraini arrivati a Catania da febbraio 2022 e, al contempo, tutelare le famiglie siciliane affidatarie di diversi di loro.

L’inchiesta si svolge nella cornice della controversa operazione di controesodo dei minori arrivati in tutta Italia l’anno scorso. Un’operazione ordinata dal governo Zelensky che purtroppo sembra avere come ultimo scopo quello di impiegare in futuro questi bambini nella guerra. La stragrande maggioranza di loro, però, non intende assolutamente lasciare l’Italia. E la procura di Catania, come ricostruisce Il Fatto Quotidiano, ha individuato, nel proprio territorio di competenza, quello che sembrerebbe essere un sistema di rimpatri forzati di bambini e bambine da cui sono emersi gravissimi profili di reato.

Nel mirino della procura è finita una tutrice, l’ucraina Yulia Donnichenko. La donna è indagata con l’accusa di violenza privata e minacce aggravate, secondo l'accusa, dal fatto di essere state commesse in danno di minorenni orfani e con abuso dei poteri connessi alla funzione di tutrice. Sempre Yulia Donnichenko è anche indagata per estorsione e tentata estorsione: secondo i magistrati avrebbe chiesto dei soldi a famiglie italiane per fare agevolare l'arrivo di ragazzi ucraini in Italia o per la loro adozione. Insieme a lei sarebbe coinvolto il compagno Christian Fiumara, anch’egli indagato per estorsione.

Per l’accusa, in passato ha minacciato di “gravi ritorsioni” alcune famiglie affidatarie, prospettando loro di “sottrarre i minori orfani ucraini, anche con la forza e contro la volontà degli stessi bambini”, per “ricondurli in Ucraina e non riportali mia più in Italia”. In altri casi, invece, prospettava di “ricondurre in Italia” i minori “solo se le famiglie dove erano stati collocati o ospitati accondiscendevano alle loro richieste di denaro”. E ancora: “Con la promessa di opporsi o, viceversa, agevolare l’adozione internazionale” dei bambini “costringevano i genitori italiani collocatari” a “versare delle somme di denaro, variabili da 500 a 800 euro a titolo di rimborso spese di viaggio, ovvero 20 mila euro per agevolare l’adozione internazionale”.


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Il palazzo di giustizia di Catania © Imagoeconomica


La bambina salvata
I rimpatri vengono giustificati con motivazioni di studio: i bambini e le bambine devono terminare la scuola nel loro paese, in orfanotrofio. Su questo, dall’atto di perquisizione emesso ed eseguito dalla polizia posta di Catania emergono dettagli sulle modalità con cui Dynnichenko, nominata dal console ucraino, tentava di convincere una minore al rimpatrio. “La costringeva a parlare al telefono con la direttrice dell’orfanotrofio ucraino” dove la ragazzina “aveva già subito maltrattamenti”. Poi la metteva in contatto con una “professoressa ucraina” che, a sua volta, aveva realizzato ai suoi danni “reiterati maltrattamenti e violenze fisiche e psicologiche”, sempre all’interno dello stesso orfanotrofio. La ragazzina, terrorizzata, in “un primo momento” accetta di tornare in Ucraina, ma “subito dopo scoppiava a piangere e ribadiva più volte alla Dynnichenko di non voler assolutamente rimpatriare in Ucraina, specie in circostanza di guerra”. “Io avevo detto a Yulia che non volevo tornare in Ucraina e lei mi ha detto che dovevo tornare per forza”, queste le parole di disperazione della minore contenute nell’atto. L’orfana aggiunge che addirittura vorrebbe rimuovere il contenuto della loro conversazione: “Mi ha detto anche delle cose brutte in ucraino, che non so dire in italiano, e non voglio ripetere, perché le voglio scordare”.

Nonostante sia riuscita a evitare il rimpatrio, la ragazzina è ancora spaventata: “Di una cosa mi spavento, che Yulia trovi la mia scuola qui in Italia”. La minore non vuole in alcun modo tornare in patria: “Ho spiegato tantissime volte a Yulia che non voglio tornare in Ucraina, ma lei sempre dice che devo tornare per forza”. E ancora: “Non voglio incontrarla più. Ho un po’ paura. E se andiamo davanti al giudice lei mi interrompe. Non voglio più avere a che fare con lei, perché pensavo che fosse brava, ma purtroppo è cattiva”. Poi in un’altra dichiarazione ribadisce la paura di tornare in guerra: “Yulia mi ha detto che devo tornare per forza. Io le ho risposto che non voglio tornare perché mi spavento della guerra. Lei ha detto che dove torno non c’è guerra. Io dico è vero, ma può anche succedere che buttano una bomba”.


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L’undicenne minacciato dalla tutrice e rimpatriato
Chi invece non è riuscito a evitare il rimpatrio è - per citarne uno - un orfano undicenne arrivato a Catania a marzo dell’anno scorso, un mese dopo l’inizio dell’invasione russa. Il ragazzo supplicava la tutrice Dynnichenko di non farlo ritornare in un orfanotrofio ucraina perché si trovava bene nella sua nuova casa dove aveva stretto nuove amicizia e apprezzava la comunità che l’aveva accolto. La donna però, secondo il sostituto procuratore di Catania Francesco Cristoforo Alessandro Camerano, alla fine “ha costretto” il minore ad accettare il ritorno nel suo Paese abusando “delle condizioni di estrema vulnerabilità” del bambino con “violenze psicologiche, intimidazioni e minacce”. Le intercettazioni dei dialoghi tra minore e tutrice sono disarmanti. Il piccolo, oltre che del conflitto, aveva paura di essere maltrattato in orfanotrofio. “Non sarete toccati, manco un capello. Ma tu li vedi i nostri militari, ti sembra che non sono forti? Che non sono in grado di proteggerci? È venuto il console per combattere per te in udienza, mai capitata una cosa del genere. Gioia mia, lo sai, nessuno ti fa del male in orfanotrofio lì, tu lo sai”. A questo punto il bambino piange.

Perché piangi? Sei un uomo, non devi piangere”, diceva al piccolo Dynnichenko. “Ma io non sono un uomo” rispondeva Marco, “sono un bambino, ho 11 anni”. E la tutrice: “Non mi far fare le cose che io non voglio fare, proprio con te, proprio con te che ho combattuto un anno e tre mesi per te”. La donna sarebbe poi arrivata anche a minacciarlo di chiamare la polizia dicendogli che questa sarebbe passato a prenderlo.

Marco insiste: “Io non voglio venire”. E la donna: “Non vuoi venire ma ci devi andare”. “E così facendo”, secondo la Procura di Catania, “costringeva il minore al rimpatrio in Ucraina”.


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Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Catania © Imagoeconomica


La procura blocca rimpatrio forzato di due gemelline
C’è poi una vicenda parallela a quella al centro dell’inchiesta avviata dalla Procura sul rimpatrio, contro la loro volontà, di minorenni che erano in affido a famiglie siciliane. E riguarda il caso di due gemelline di sette anni. Per loro, come riporta La Sicilia e Il Fatto Quotidiano, il Tribunale civile di Catania ha nominato un curatore che dovrà “rappresentare le minori dinanzi alle autorità competenti, amministrative e giudiziarie, nella procedura di rientro in Ucraina, nei termini di cui in parte motiva, e per esprimere consensi o autorizzazioni a trattamenti o interventi necessari a tutela della loro salute". A fare intervenire il Tribunale, che con la sua decisione ha di fatto bloccato il rimpatrio delle due gemelline, è stata la Procura di Catania che con l'aggiunto Sebastiano Ardita e il sostituto Francesco Camerano, ha chiesto l'intervento del giudice civile. Ad avviare le pratiche per il rimpatrio delle due sorelline, che da quando sono in Italia sono state sottoposte a delicate cure al Gaslini di Genova, è stata sempre la tutrice Yuliya Dynnichenko. La donna ha a sua volta denunciato la famiglia affidataria delle bimbe per sottrazione di minore, ma ci sarebbe già una richiesta di archiviazione. Le due sorelline non vorrebbero più tornare in Ucraina per la paura della guerra e perché si trovano bene nel nuovo contesto affettivo che le circonda. La tutrice, che vuole riportarle in Ucraina, secondo il Tribunale "non risulta avere preso in alcun modo in considerazione né le raccomandazioni di non rimpatrio formulate dall'Unhcr, proprio in relazione ai minori ucraini, né le gravi condizioni di salute di entrambe le sorelline". Se il Tribunale lo ritenesse "conforme al supremo interesse" delle bimbe, potrà "negare il consenso" al rimpatrio.

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