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Il pm che indaga sui mandanti esterni delle stragi del ’93: “Era un boss dai due volti, dalla strategia di attacco allo Stato a quella della sommersione

Ora che è morto, Matteo Messina Denaro si è portato con sé tanti segreti sulla storia di Cosa nostra e dei suoi rapporti con gli ambienti esterni ad essa. A dirlo è il procuratore aggiunto di Firenze Luca Tescaroli, intervistato dal quotidiano Nazione. Premettendo che “davanti alla morte, anche di un boss stragista, occorre avere la pietà che si riconosce ai defunti”, il magistrato che si è occupato dei processi per la strage di Capaci e ora dell’inchiesta sui mandanti esterni delle stragi del 1993, ha fatto presente che la sua omertosa dipartita rappresenta un problema sulla ricerca della verità riguardante alcuni misteri di mafia risalenti una trentina di anni or sono. 
Uno di questi misteri è rappresentato, ha ricordato Tescaroli, dalla sottrazione, cui contribuì, di documenti “dall'archivio di Salvatore Rina nei giorni seguenti all'arresto”. Un dato significativo, ha segnalato il magistrato, “tantopiù se si considera che dopo l'arresto di Rina ha promosso, insieme ad altri tra cui Giuseppe Graviano, la prosecuzione delle stragi e la strategia politica di Cosa nostra”. Messina Denaro, inoltre, “verosimilmente conosceva gli accordi, ove intervenuti, tra vertici di Cosa nostra e soggetti esterni nell'ideazione e deliberazione della strategia stragista dei primi anni novanta, compresi i legami con i garanti della mafia e il perché della cessazione di quella campagna che mise in pericolo la nostra democrazia”.

Alla domanda sull’identità dei “garanti di Cosa nostra”, Tescaroli ha risposto: “Cosa nostra non è una mera organizzazione di criminali che uccide, spara, traffica droga e armi e chiede il pizzo ma è un'organizzazione che è riuscita a concepire delle strategie ed a raggiungere obiettivi sulla base di rapporti con il mondo economico-finanziario, con quello della politica e con i professionisti. Messina Denaro possedeva notizie e indicazioni importanti di quest'area grigia e degli accordi con Cosa nostra”. 

Sempre parlando di Messina Denaro il procuratore aggiunto ha detto che il boss “ha avuto due volti: dalla strategia di attacco al cuore dello Stato a quella della sommersione che gli ha garantito trent'anni di latitanza”. Ora che Messina Denaro è morto, a detta di Tescaroli, assisteremo a una mafia “sicuramente meno forte di quanto non lo fosse agli inizi degli anni ’90, anche grazie ad un'azione di contrasto incisiva e a strumenti legislativi efficaci, molti dei quali concepiti proprio da Giovanni Falcone e recepiti dalla politica”. Tuttavia “la mafia conserva una sua pericolosità: la storia ci insegna che l'arresto di un latitante non è in grado di porre fine a una mafia che ha saputo resistere anche ai collaboratori di giustizia. Per un boss catturato ce n'è uno nuovo”. La strategia, ha commentato il magistrato, “è quella della sommersione, che si e rivelata più fruttuosa, anche se nel corso degli anni non si sono abbandonati progetti di attentati anche nei confronti di magistrati ma fortunatamente non compiuti”. Un riferimento, questo, all’attentato ordinato proprio dall’ex primula rossa contro il pm Nino Di Matteo, attualmente Sostituto Procuratore Nazionale Antimafia. Infine, rispetto al silenzio mantenuto dal capo mafia di Castelvetrano davanti ai magistrati, Tescaroli, che ha affermato avrebbe voluto interrogarlo, ritiene che la sua omertà sia dovuta al fatto che questi abbia probabilmente “voluto lanciare un messaggio a Cosa nostra per tutelare la sua struttura, i propri cari e per assicurare la continuazione dell’organizzazione”.

Foto @ Imagoeconomica

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