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L’inchiesta su Berlusconi e Dell’Utri come mandanti esterni va avanti

Nell’ambito dell’inchiesta sulle stragi del ’93, che vede indagati Silvio Berlusconi Marcello Dell’Utri, quest'ultimo condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, la procura di Firenze aveva ordinato, nell’ottobre 2021, una perquisizione nei confronti dei familiari del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, Benedetto e Nunzia Graviano (non indagati).
Gli inquirenti avevano sequestrato alcuni documenti e dati informatici, ma la Cassazione, accogliendo la tesi del legale dei famigliari di Graviano, aveva dichiarato quel provvedimento illegittimo: per gli ermellini mancava “il nesso di pertinenza tra i reati per cui si procede, il presunto finanziamento documentato dalla scrittura privata e il sequestro di documenti e dati informatici rispetto a terzi”.
Al fine di fornire i chiarimenti necessari richiesti dalla difesa dei ricorrenti, i pm fiorentini, il procuratore aggiunto Luca Tescaroli e il procuratore facente funzioni Luca Turco, hanno presentato nuovi elementi al tribunale del Riesame: la Procura, riportano Marco Lillo e Valeria Pacelli sul ‘Fatto Quotidiano’ nell’udienza di fronte al Riesame il 28 giugno scorso, aveva tirato fuori “una consulenza tecnica effettuata l’11 maggio 2022, da cui emerge la mancata giustificazione della provvista impiegata (oltre 16 miliardi di lire) per la reintestazione di crediti in nome di Fininvest Roma (c.d. Lista Santo), in parte riportati nel bilancio di esercizio 1977 della Fininvest spa”.
Dopo molti anni quindi si ritorna al punto di partenza: chi aveva fornito la provvista per i finanziamenti dei soci confluiti nel 1977 nelle casse della Fininvest Spa?
I magistrati hanno prodotto ulteriore documentazione, indirizzata allo stesso collegio, da cui risulta l'interesse investigativo a trovare riscontri alle affermazioni del boss stragista di Cosa Nostra Giuseppe Graviano: quest'ultimo aveva detto che un suo nonno avrebbe investito nelle società di Berlusconi nei primi anni '70 e che ci sarebbero documenti scritti che proverebbero l'esistenza di un finanziamento da 20 miliardi di lire alle imprese di Berlusconi quando erano agli albori. I pm non si fermano alla questione dei presunti rapporti di affari ma stanno cercando di metterli in relazione con le stragi: “Rapporti che si sono sviluppati proprio nel periodo coincidente con la decisione sull’esecuzione dell’attentato allo stadio Olimpico”. Ecco l’ipotesi a cui stanno cercando riscontro i pm di Firenze: “I rapporti preesistenti e protratti fino al periodo interessato dalle stragi e la ricostruzione dei flussi finanziari intercorrenti tra gli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri ed esponenti di Cosa Nostra, Giuseppe Graviano in particolare, nel quadro di una reciprocità di interessi che rappresentano il terreno fertile sul quale si è costruita l’intesa stragista che ha portato all’esecuzione delle sei stragi pianificate nel biennio 1993-1994”.


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L'ex senatore, Marcello Dell'Utri e l'ex presidente del consiglio, Silvio Berlusconi © Imagoeconomica


"Da ultimo - si legge nella nota del tribunale del riesame riportata dai colleghi di  'RepubblicaSalvo Palazzolo e Luca Serranò e Luca Serranò - il pm ha portato all'attenzione le risultanze di una consulenza tecnica da cui emerge la mancata giustificazione della provvista impiegata (oltre 16 miliardi di lire) per la reintestazione di crediti a nome di Fininvest Roma, in parte riportati nel bilancio di esercizio 1977 della Fininvest spa". Per il tribunale del riesame c'è "l'astratta configurabilità dell'illecito ipotizzato, in quanto il presunto finanziamento di 20 miliardi di lire ricevuto da Silvio Berlusconi da parte di esponenti di Cosa nostra, tra cui l'ascendente del Graviano, doveva servire ad agevolare un assetto di potere funzionale alle aspettative di Cosa nostra, creando le premesse per l'affermazione di una nuova forza politica guidata da Berlusconi, per la cui realizzazione sarebbero state eseguite le stragi del biennio 92-94. La chiara finalità terroristica eversiva delle stragi - ha concluso il collegio - si ipotizza quindi ancorata a rapporti economici o alle reciproche utilità dei protagonisti dell'intesa".

Le origini dell’inchiesta fiorentina
L’inchiesta era stata aperta nel 2017 a seguito delle intercettazioni eseguite per 14 mesi, dal febbraio 2016 ad aprile 2017, in cui è stata registrata la voce del capomafia Giuseppe Graviano dalle microspie mentre parlava con il camorrista Umberto Adinolfi durante l’ora d’aria nel carcere di Ascoli Piceno: "Berlusca mi ha chiesto questa cortesia... per questo c'è stata l'urgenza. Lui voleva scendere... però in quel periodo c'erano i vecchi e lui mi ha detto ci vorrebbe una bella cosa". Graviano continuava a parlare dei suoi presunti rapporti con Berlusconi, alludendo all'intenzione dell'imprenditore di entrare in politica già nel '92: "Berlusconi - proseguiva Graviano - quando ha iniziato negli anni '70 ha iniziato con i piedi giusti, mettiamoci la fortuna che si è ritrovato ad essere quello che è. Quando lui si è ritrovato un partito così nel '94 si è ubriacato e ha detto 'Non posso dividere quello che ho con chi mi ha aiutato'. Pigliò le distanze e ha fatto il traditore". Le invettive contro l'ex premier, colpevole di averlo abbandonato, non si contano: "Tu lo sai che mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta... alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso... e tu mi stai facendo morire in galera senza che io abbia fatto niente". "Ti ho portato benessere, - è uno degli sfoghi - 24 anni fa mi arrestano e tu cominci a pugnalarmi". "Al Signor Crasto (cornuto, ndrgli faccio fare la mala vecchiaia", continuava Graviano. "Sa che io non parlo - aggiungeva - perché sa il mio carattere e sa le mie capacità... pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com'è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste". Il capo mafia ha parlato anche delle stragi, alludendo al fatto che dietro le bombe del '93 non ci fosse Cosa nostra: "Poi nel '93 ci sono state altre stragi ma no che era la mafia, loro dicono che era la mafia. Allora il governo ha deciso di allentare il 41 bis, poi è la situazione che hanno levato pure i 450". Il riferimento è alla decisione, presa nel novembre del '93, di revocare il carcere duro per 450 boss mafiosi. I pm palermitani avevano interpretato al tempo le parole di Graviano come la dimostrazione che tra le condizioni messe da Cosa nostra alle istituzioni per fare cessare le stragi c'era un allentamento del carcere duro.


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Il procuratore aggiunto di Firenze, Luca Tescaroli © Imagoeconomica


Graviano, poi, aveva ricordato il periodo al 41 bis trascorso a Pianosa: "Pure che stavi morendo dovevi uscire e c'era un cordone, tu dovevi passare nel mezzo e correre. Loro buttavano acqua e sapone". "Andavano alleggerendo del tutto il 41 bis... se non succedeva più niente, non ti toccavano, nel '93 le cose migliorarono tutto di un colpo". Quindi rammenta la reazione dell'allora premier Ciampi, dopo le bombe di Milano nel luglio del '93: "Quella notte si sono spaventati, temevano il colpo di Stato e lui (l'allora premier Ciampi, ndrse n'è andato subito a palazzo Chigi assieme ai suoi vertici. Loro non volevano nemmeno resistere, avevano deciso già di non resistere al colpo di Stato". Inoltre durante una serie di udienze tenutesi davanti alla corte d’Assise di Reggio Calabria tra il gennaio e il febbraio del 2020, Graviano aveva detto, rivolgendosi a Lombardo: "Se lei andrà ad indagare sull'arresto condotto nei confronti di Giuseppe e Filippo Graviano scoprirà i veri mandanti delle stragi. Scoprirà chi ha ucciso il poliziotto ucciso insieme alla moglie, Agostino. Scoprirà la verità su tante cose. Però i carabinieri devono dire la verità".
E poco dopo aveva lanciato un altro messaggio sibillino. Prima riferendosi al plurale a 'imprenditori di Milano' e poi, su richiesta specifica del pm Lombardo, al singolare: "C'era un imprenditore di Milano che aveva interesse che le stragi non si fermassero. Chi me lo ha detto? Me lo ha riferito nel carcere di Spoleto (tra il 2006 ed il 2007) un altro detenuto napoletano. Si evince dalle intercettazioni ma non mi chieda di dire il nome perché non farò nessun nome. Non mi sembra corretto e rispetto le confidenze che ho". Accuse tutte da dimostrare, che per l’avvocato Niccolò Ghedini erano “palesemente diffamatorie”, anche se non si è poi avuta notizia di una denuncia da parte del legale dell’ex premier. A sentire “Madre natura”, come lo chiamavano i suoi sodali, il rapporto tra la famiglia Graviano e Berlusconi sarebbe stato tenuto da suo cugino Salvatore, la cui moglie è stata perquisita oggi. “Io casco latitante - aveva detto in aula - quindi la situazione la comincia a seguire mio cugino Salvatore”. A un certo punto, però, il mafioso delle stragi avrebbe chiesto al futuro leader di Forza Italia di regolarizzare la situazione relativa agli investimenti del nonno a Milano: “Noi dobbiamo entrare scritti che facciamo parte della società. Noi vogliamo essere partecipi, però questa cosa si andava procrastinando”, aveva raccontato Graviano a Reggio Calabria, facendo intendere che la condizione “occulta” dell’investimento doveva essere poi regolarizzata. “I nomi di quei soggetti non apparivano”, ha aggiunto Giuseppe Graviano in aula, riferendosi al fatto che i presunti soci occulti dell’imprenditore di Arcore non comparissero nelle partecipazioni societarie. “Ma c’era una carta privata che io ho visto, la copia di mio nonno la ha mio cugino Salvatore Graviano”. Una frase che, più di altre, sembrava essere un vero e proprio messaggio o anche un’indicazione: il capo mafia ha sostenuto che ci fossero delle prove. Ed è stato proprio questo il motivo delle perquisizioni scattate quella mattina di ottobre.

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