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Repici: “Ho vissuto questo libro come esercizio di doverosa parresia per abbattere la falsa propaganda che ha imperato sul tema”

Cosa accomuna i magistrati Vittorio Occorsio, Bruno Caccia e Giovanni Selis?
È la domanda da cui è partita la meticolosa indagine condotta dalla giornalista e scrittrice Antonella Beccaria, dall’avvocato Fabio Repici e dall’ex magistrato Mario Vaudano. Un lavoro minuzioso che oggi si trova rilegato nelle pagine di un libro intitolato: “I soldi della P2. Sequestri, casinò, mafie e neofascismo: la lunga scia che porta a Licio Gelli” (ed. PaperFirst). Centinaia di migliaia di pagine di documentazione riesumate e messe in fila come tasselli per ricostruire un puzzle ancora incompiuto che si riflette sulla politica odierna.
Chi sono i protagonisti?
La loggia P2 e Licio Gelli. Due nomi, un unico intento: creare uno Stato parallelo all’interno di quello italiano, destabilizzandone la democrazia in nome e per conto di interessi provenienti da altri poteri.
Un libro scritto a 6 mani - pubblicato quaranta anni dopo la scoperta degli elenchi della loggia massonica -, le cui pagine ricostruiscono minuziosamente un pezzetto di verità restituendo una chiave di lettura diversa dei misteri celati dietro le morti di Occorsio, Caccia e Selis: il primo, trucidato il 10 luglio 1976 a Roma dai colpi di mitra di Pierluigi Concutelli, terrorista e militante neofascista; il secondo, Bruno Caccia, ammazzato il 26 giugno 1983 a Torino da un commando 'ndranghetista ancora non identificato; e, infine, Giovanni Selis, miracolosamente scampato ad Aosta a una bomba piazzata sotto la sua auto, isolato dai colleghi e morto suicida nel 1987.
Tutti hanno toccato i fili dell’alta tensione, tutti, nel corso del loro lavoro - svolto in anni complicati, tra depistaggi, collusioni, intrecci torbidi tra Stato, criminalità ed eversione - avevano scorto in filigrana un filo nero che legava il fenomeno dei sequestri a quello del riciclaggio di denaro; il mondo dei casinò a quello dell’eversione neofascista e della criminalità organizzata; le bombe al piombo di cui sono stati vittime. E dietro quel filo nero, l’ombra inquietante della più grande holding criminale mai strutturatasi in Italia, con diramazioni tra Francia, Sud America e una pletora di paradisi fiscali sparsi in tutto il mondo: la P2, appunto.
Ma le 230 pagine che raccontano “I soldi della P2” non sono un semplice libro o una mera ricostruzione storica dei fatti. Non si tratta di “un libro di fugace vita”, ha commentato ieri sera l’avvocato Fabio Repici durante la presentazione del volume organizzata in streaming da “Dark Side - Storia segreta d'Italia”, assieme alla coautrice Antonella Beccaria. “Non è neanche un 'istant book' o un libro di gossip. Riguarda fatti importanti e spesso nascosti o, comunque, trascurati dalla cosa pubblica. Ed è doveroso precisarlo vista la piega che un certo dibattito pubblico sta prendendo - ha sottolineato l’avvocato -. Questo libro è un lavoro faticosissimo di ricerca e analisi. Non credo di esagerare se dico che abbiamo consultato centinaia di migliaia di pagine di documentazione, se non addirittura un milione, spesso inedita”. Un lavoro nato da una riflessione fatta da Repici e da Mario Vaudanoal latere del processo per l'omicidio del procuratore di Torino Bruno Caccia - ha proseguito Repici - con cui ci siamo arresi all'evidenza: il racconto pubblico che si era fatto sia sull'omicidio di Bruno Caccia, sia su vicende strettamente collegate a quel fondamentale delitto e alla personalità istituzionale più alta colpita a morte nella storia del Piemonte, era almeno in parte una froda alla conoscenza della cittadinanza perché si doveva raccontare la vicenda di quel delitto in un modo che non creasse scompensi ad ambienti del potere che erano ancora attuali al momento in cui noi operavamo”. I due avevano compreso che la vicenda dell'omicidio Caccia non si fermava ad una semplice storia di vendetta di un piccolo gruppo criminale operante a Torino. “Avevamo trovato legami con le vicende dei casinò e dei sequestri di persona, i cui proventi venivano riciclati spesso nei casinò - ha detto Fabio Repici -. Abbiamo trovato dei fili che portavano ad altri delitti commessi in precedenza”. Un lavoro di indagine che, grazie all’aiuto di Antonella Beccaria, ha dimostrato come le storie di magistrati che si erano imbattuti in inchieste molto pericolose per importanti assetti del potere erano legate da un filo che puntualmente tornava. “Questo filo riguardava i sequestri di persona compiuti dalla criminalità organizzata di vario tipo, ma anche dalla criminalità politica (in particolare da ambienti dell'eversione neofascista) e un unico agglomerato di interessi illeciti che coinvolgeva tutti i casinò del Nord Italia e della Costa Azzurra - ha affermato l’avvocato Repici -. È stata questa la base da cui siamo partiti e alla quale siamo approdati con senso compiuto della ricerca che abbiamo condotto”.

Con ciò che fuoriusciva dai frangenti romani, a partire dalla metà degli anni '70 - ha detto la coautrice Antonella Beccaria rispondendo alle domande di Gianluca Zanella e Marcello Altamura -, abbiamo ricostruito un filone di soldi che riuscivano ad agganciare fenomeni criminali all'apparenza molto diversi riuscendo a trovare le prove documentali dei legami fra questi fenomeni criminali: sequestri, casinò, mafie e neofascismo”.

Ci sono poi altri due fattori che vanno presi in considerazione in quanto si presentano in modo costante, ha sottolineato Fabio Repici: “Quello che possiamo definire come depistaggio informativo, ma che alle volte è risultato anche investigativo e giudiziario su quelle vicende. Per cui l'omicidio Occorsio deve diventare la vendetta di Ordine Nuovo contro il pm che l'aveva fatta condannare e sciogliere, e quindi scompaiono i sequestri di persona, Licio Gelli e il riciclaggio. Il tentato omicidio di Selis rimane impunito, mentre il delitto Caccia è oggetto di una riduzione al minimo degli accertamenti condotti sulle ragioni che non sono mai state individuate con precisione dell'omicidio e dei responsabili. Considerando che i due killer che hanno sparato a Bruno Caccia la sera del 26 giugno '83, ancora non sono state individuati”. Cosa c'è al centro di queste intossicazioni informative o investigative? “Ci sono gli stessi apparati di sicurezza che puntualmente compaiono e lo stesso impegno della intossicazione informativa compiuta dal giornalismo mainstream, anche fino ad anni recenti, nel raccontare l'ultima inchiesta e poi l'ultimo processo sull'omicidio Caccia”, ha concluso l’avvocato.

A quaranta anni dalla scoperta degli elenchi (incompleti) con 962 nomi iscritti alla loggia P2, la storia è ancora tutta da scrivere e da giudicare. Come narra l’ode manzoniana: “Ai posteri l’ardua sentenza”.

E sulla questione dei soldi della P2 è bene ricordare che c'è un processo presso la Corte d'Assise di Bologna che viene chiamato “il processo ai mandanti”, ha ricordato Antonella Beccaria, facendo riferimento a quelli della “strage politica e di Stato” che nel cuore di Bologna è costata la vita a 85 persone, provocando più di 200 feriti.

Si tratta di un processo scaturito da una doppia profonda determinazione - ha proseguito la coautrice del libro “I soldi della P2” -. La prima è quella dell'associazione dei familiari delle vittime della strage del 2 agosto del 1980 e del suo Presidente Paolo Bolognesi che in 10 anni hanno presentato una serie di memorie che hanno stimolato l'apertura di nuove indagini. Mentre il secondo filone di determinazione è quello dei magistrati della procura generale di Bologna, che hanno avvocato le indagini nelle vesti dei pm Alberto Candi, Nicola Proto e Umberto Palma che sono riusciti a far partire questo processo che vede 3 imputati: Paolo Bellini (ex militante di Avanguardia Nazionale, con un passato anche all'interno della criminalità organizzata, accusato di concorso nell'attentato, ndr); Domenico Catracchia (amministratore di alcuni immobili di via Gradoli a Roma usati come rifugio dai Nar, accusato per false informazioni al pubblico ministero al fine di sviare le indagini, ndr); e l'ex carabiniere Piergiorgio Segatel (accusato di depistaggio, ndr). C'era anche un quarto imputato: l’ufficiale Quintino Spella (accusato di depistaggio, ndr) che era il capo centro del Sisde di Padova, deceduto a inizio di quest'anno. Questo processo fa un quadro proprio sui soldi della P2 partendo da quelli che, si suppone, possano essere stati utilizzati per pagare la strage alla stazione di Bologna, che sono riassunti all'interno del cosiddetto 'Documento Bologna’”. “ - ha evidenziato la giornalista - si racconta molto dei soldi della P2. Si racconta non solo di questi flussi che poi sarebbero arrivati a Federico Umberto D’Amato, ex capo dell'Ufficio Affari Riservati e poi a capo della polizia di Frontiera (nonché uomo della CIA in Italia e capo dei servizi segreti che secondo il procuratore generale di Bologna “era manovrato da Stefano Delle Chiaie: fondatore di Avanguardia Nazionale”, ndr), ma tutto un manipolo di personaggi, faccendieri, imprenditori, commercianti in opere d'arte che hanno contribuito a far si che si creasse una ragnatela internazionale attraverso la quale i soldi della P2 sono stati veicolati”.

Ci sarà ancora da attendere prima della chiusura del processo. Nel frattempo, però, possiamo dire che “in quel processo emerge come un determinato retroterra assolutamente non eversivo (nel senso di carri armati per strada e golpe militari) ha continuato a funzionare e ha continuato a cercare di condizionare la democrazia in questo Paese”, ha concluso la Beccaria. 

In conclusione, il quadro si fa ancora più inquietante prendendo in esame alcune dichiarazioni che la giornalista e scrittrice Stefania Limiti ci ha rilasciato mesi fa - sempre in merito alla P2 e alla figura di Licio Gelli -, quando gli abbiamo domandato: “In un articolo pubblicato su l’Avanti in data 31 marzo ’81 Bettino Craxi soprannominava Licio Gelli come ‘Belfagor’, il fantasma del Louvre, descrivendolo poi come ‘attivissimo arcidiavolo’. Sempre in quell’articolo l’ex premier socialista affermava che ‘Belfagor’ è il segretario generale di ‘Belzebù’, lasciando al lettore un velo di mistero sulla vera identità di quest’ultimo. Oggi sappiamo che ‘Belzebù’, per Craxi, era Giulio Andreotti. Ma possiamo veramente credere che fosse lui il principe dei demoni? O anche ‘il Divino’ si ‘genufletteva’ a qualcuno?”.

E lei puntualmente ci ha risposto: “Credo che Andreotti ha saputo manovrare di volta in volta durante la sua lunga carriera, che coincide con la storia della prima Repubblica, tutte le storie occulte di fronte alle quali lui non doveva genuflettersi, anzi gli altri dovevano farlo. Ed era lui che poteva avere un ruolo nella loro liquidazione o sopravvivenza. Però allo stesso tempo credo che anche Andreotti sia stato a sua volta suddito di qualcun altro. I democristiani sono stati molto attenti a non lasciare nessuna traccia di questa perversione con cui il potere italiano è stato limitato e di come loro sono stati protagonisti di questa grande operazione della guerra fredda. Ma indubbiamente a qualcuno rispondeva anche lui”.

Anche in questo caso non resta che appellarsi all'ode manzoniana. Augurandoci che un giorno venga emessa una sentenza chiarificatrice sul ruolo di “Belfagor” e di “Belzebu”.

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