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Alla camera ardente l’addio degli agenti che proteggevano "Zu Vicé". “La persona che ha sempre combattuto per la giustizia e la verità ci ha lasciato”

Fine servizio per sempre. ‘Monza 500’ è andato in cielo”. Il cuore in gola, le lacrime trattenute a fatica, l’incrollabile senso del dovere. Ricetrasmittente in mano, gli agenti di scorta della Polizia di Stato di Vincenzo Agostino hanno comunicato così alla centrale che l’ultimo servizio di tutela all’anziano padre di Nino Agostino, il poliziotto ucciso assieme alla moglie Ida Castelluccio il 5 agosto 1989, è stato portato a termine. “Zu vicé”, come lo chiamavano loro, è spirato domenica a Palermo. Nel pomeriggio si è tenuta la camera ardente all’ospedale. Tante le persone venute a dargli l’estremo saluto prima del funerale celebrato stamani da un immenso Corrado Lorefice alla Cattedrale di Palermo. Tra queste, non potevano mancare i suoi agenti di scorta che lo hanno protetto per anni, diventando quasi parenti acquisiti. Angeli custodi silenziosi che lo hanno accompagnato ovunque venisse invitato a testimoniare il dramma che continua, purtroppo, ad affliggere la sua famiglia da 35 anni.
La scorta di Vincenzo Agostino era con lui nelle scuole, nelle aule di tribunale, nelle manifestazioni e commemorazioni antimafia (alle quali non mancava mai). Era con lui nelle sue lunghe e faticose scampagnate in montagna a Castell’Umberto, nei Nebrodi, dove coltivava la sua terra. Ed è stata con lui anche questa mattina alla Cattedrale, sorreggendo la sua bara.

I suoi agenti di scorta sono stati il suo secondo bastone d’appoggio, dopo quello in legno che portava sempre appresso. Sono stati una seconda famiglia, una spalla sulla quale contare, sulla quale confidarsi e abbandonarsi a gioie, dolori, ricordi, speranze. Così faceva Vincenzo e così hanno fatto - e fanno tuttora - le sue figlie e i suoi nipoti. Nella storia della lotta alla mafia è accaduto che tra i militari chiamati a proteggere, a costo della vita, l’incolumità delle cosiddette “personalità” si crei con queste un rapporto di stima e vera amicizia che varca la linea di formalità tra persona da tutelare e persone dedita alla tutela. Nel caso di Vincenzo Agostino è accaduto lo stesso. I suoi angeli di scorta ci sono sempre stati, umanamente prima che fisicamente, in tutti i momenti più significativi dei suoi ultimi anni di vita. Cioè da quando, nel febbraio 2016, il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza dispose per lui la scorta con due agenti e un’auto blindata. 

Una decisione sicuramente non facile da accettare ma necessaria. Questi uomini valorosi, per lo più usciti dallo storico Ufficio Scorte di Palermo, c’erano quando solo qualche settimana più tardi Vincenzo avrebbe rivisto e riconosciuto, in un confronto all’americana, l’uomo che venne in casa sua per chiedere informazioni sul figlio Nino qualche giorno prima dell’agguato. Quel “faccia da mostro”, come lo ebbe a chiamare al tempo, che tanto tormentava il suo animo: Giovanni Aiello, ex poliziotto che la procura generale di Palermo ritiene essere stato (morì nel 2017) “uomo di collegamento fra Cosa nostra e pezzi deviati dei servizi segreti”. Nonché uno dei soggetti che, secondo i pentiti, parteciparono al delitto di Nino e Ida. La scorta di Agostino ha vissuto insieme a lui questo e altro. Tanto altro. Hanno sofferto con Vincenzo e si sono sacrificati insieme a Vincenzo e per Vincenzo. Un onere che questi servitori dello Stato hanno vissuto con onore fino a domenica scorsa quando a chiamarlo non è stato uno di loro, ma la morte. Questi uomini di cui, purtroppo, troppo poco si racconta hanno così portato a termine la missione. Lo hanno fatto con dignità e con il cuore a pezzi per la scomparsa di una persona che ha fatto parte della loro quotidianità. E ancor prima, per la dipartita di un altro familiare di vittima di mafia che non ha conosciuto, in vita, verità e giustizia. 

Il percorso di vita condiviso assieme lo si scorge da come uno di loro - una volta usciti tutti i familiari e gli amici dalla camera ardente - è rimasto qualche minuto in più e ha accarezzato la salma di Vincenzo. Quasi una veglia la sua. O forse un servizio di scorta, l’ultimo. Chissà. Finita la cerimonia lo stesso agente, insieme al collega, è tornato all’auto blindata e per l’ultima volta ha notificato la fine del servizio di tutela quotidiana alla centrale. “La persona che ha sempre combattuto per la giustizia e la verità ci ha lasciato”, ha detto strozzando il pianto in gola. “Noi continueremo ad andare avanti per avere verità e giustizia. Noi siamo qui per combattere il crimine e per la pace. Noi continueremo a combattere”. Qualche secondo di pausa, un profondo respiro prima di riprendere a parlare. “La ‘310’ rientra per fine servizio per sempre. Viva Vincenzo!”. Dall’altro lato della ricetrasmittente una voce sofferente rompe il silenzio che nel mentre si era venuto a creare in quei secondi. “Qui centrale. Ricevuto”.

Foto © ACFB

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