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Il racconto personale che diventa inchiesta

La scelta di condividere un'esperienza personale, senza il timore di mostrare la fragilità, anche per aiutare gli altri a non avere paura ed imparare che chiedere aiuto non è un atto di debolezza. C'è anche questo messaggio nel secondo libro di Barbara Giangravè, "In clinica psichiatrica c'è il glicine fiorito" (edito da Fides), classificata al 2° posto ex aequo al "Premio letterario giornalistico Nadia Toffa 2023", è un racconto personale con cui si vuole combattere lo stigma che vige nella nostra società rispetto alla salute mentale.
La scrittrice e giornalista nell'ultimo anno si è trovata ad affrontare il proprio stato di depressione ricoverata in una clinica dal 30 marzo al 3 maggio 2022. "Questo romanzo se così si può definire - scrive la stessa autrice in appendice al volume - nasce da un disturbo psicologico non meglio indicato, se non con il termine onnicomprensivo di depressione".
Il glicine, che compare nella copertina e nel titolo, diventa un simbolo di bellezza, nonostante i frutti pericolosi, e di riscatto.
"Non ci si vergogna di raccontare di avere un tumore tanto quanto ci si vergogna di dire a qualcuno di avere bisogno di aiuto, di non volere rimanere da soli, di non avere il pieno controllo della propria mente - è l'invito che fa Giangravè parlando della propria esperienza - Ho assunto e assumo psicofarmaci, come molte persone, che hanno il merito di regolare l'equilibrio della mia mente e di non farmi dipendere sempre dalla presenza di un familiare o di un amico".
Se da una parte c'è il senso di scoperta di sé, dall'altra c'è la profonda amarezza per come la salute mentale viene oggi affrontata.
Un vero e proprio cazzotto sullo stomaco. "Oggi i manicomi si chiamano cliniche psichiatriche o case di cura - spiega ancora ricordando come dal 1978 i manicomi in Italia non esistono più - Le strutture che ho conosciuto io lasciano tutte piuttosto a desiderare, sia dal punto di vista degli edifici esterni che dal punto di vista dell'ordine e della pulizia interni. I pazienti, i nuovi matti, condividono stanze divise per sesso, ma si trovano in reparti misti, composti sia da uomini che da donne. Non ci sono molte differenze tra noi, se non per età, ceto sociale o istruzione. Una volta entrati qui, però, perdiamo tutti la nostra dignità di persone e diventiamo riconoscibili solo dai numeri delle nostre stanze, mentre vaghiamo in pigiama, senza una meta, per i corridoi".

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