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Il potere è controllo, il controllo è consenso, il consenso è profitto! Prendiamolo come un vero e proprio teorema, non una ipotesi o astratta teoria ma piuttosto come qualcosa che affonda le sue radici  nella storia passata e presente della Sicilia e dell’Italia tutta. Ma quali sono i pezzi di questa cerniera? Durante una recente audizione tenuta nell'organo bicamerale d’inchiesta sui legami tra mafie e massoneria, il Procuratore Nazionale Antimafia Giovanni Melillo ha ribadito come questi legami siano confermati da diverse inchieste giudiziarie, non solo per quanto riguarda la Sicilia e la Calabria, dove Cosa Nostra e la 'Ndrangheta sono cresciute anche grazie alle reti massoniche che hanno favorito l'incontro tra i mafiosi e la classe dirigente. Stretti in unico abbraccio dovremmo dire, in una comunione d’intenti. "Oggi il capomafia sta sul territorio tutto l’anno, chi si candida arriva cinque mesi prima: è ovvio che il capomafia dà più risposte del politico. Il politico è più subalterno" afferma il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. Diventa sempre più fondamentale da parte di inquirenti e studiosi del fenomeno, vista la straordinaria capacità di adattarsi alle condizioni storiche e sociali di questa “cerniera”,evitare di trattare questi mondi come compartimenti stagni:  i “colletti bianchi” della politica, le organizzazioni criminali, gli ambienti massoni sono legati e la corruzione è spesso la strategia privilegiata.

La stessa vicenda della lunga latitanza di Messina Denaro conferma la natura di questi rapporti e, da un certo punto di vista, ce ne fa capire anche l’evoluzione: la rete di omertà ad altissimi livelli che è riuscito a mettere in piedi ne è la prova.  C’era una parte dello Stato che lo combatteva, di società civile che lo voleva vedere catturato, ma c’era anche una componente connivente. E in questa borghesia mafiosa, in questi circuiti di connivenze, troviamo anche la massoneria, luogo di incontro tra esponenti dei due mondi.

Proprio Messina Denaro “U Siccu”, dopo le stragi aveva sterzato la sua Cosa Nostra sugli affari:  l’aveva immersa nel «gioco grande» di cui parlava Falcone, relazioni a New York e in Venezuela, Spagna e Inghilterra, eolico, edilizia, supermercati, cliniche, villaggi turistici, piccioli per tutti, un giro stimato attorno ai quattro miliardi, meno sangue e tanti legami occulti, fino a farsi, secondo qualche pentito, una loggia segreta tutta sua, La Sicilia. Ed è proprio la manifestazione del  “grande gioco del potere” di Falcone, i pezzi di un puzzle la cui scomposizione è molto complessa proprio perchè dotato di una grandissima capacità di mimetizzazione.  Ma attenzione: c’ è una relazione diretta tra i recenti tentativi di  rottamare il 41 bis e tutto questo, tentativi che  vanno in una pericolosa direzione, verso un punto di non ritorno, perchè come ricorda spesso il Senatore Roberto Scarpinato "la borghesia mafiosa non ha bisogno di sparare, se si toccano le norme rimarrà impunita”.

Con l’arresto di Messina Denaro la mafia non è finita, ci sembra retorico quanto inutile ribadirlo, ma va detto, va detto e ricordato per evitare equivoci e gravi errori di sottovalutazione soprattutto in una fase storica come questa: i fondi del PNRR e gli appalti pubblici rappresentano un nuovo imminente pericolo su cui, i segnali ormai da tempo li avvertiamo, la “cerniera” ha già iniziato a muoversi per trarre il massimo del profitto.

Riusciremo ad anticiparne le mosse criminali?  Ma soprattutto, c’è la volontà politica di far questo?

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