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A distanza di quarant’anni, il ricordo del liquidatore della Banca Privata Italiana nelle parole del figlio Umberto

Una grande ragione di orgoglio”. Questo è il sentimento con cui, qualche giorno fa, Umberto Ambrosoli (in foto) ha ricordato (in un’intervista rilasciata al giornalista di “Repubblica” Alberto Custodero) cosa significhi essere figlio del liquidatore della Banca Privata Italiana, Giorgio Ambrosoli. Ma all’orgoglio si affianca anche un profondo senso di responsabilità nei confronti delle giovani generazioni, legato alla capacità di testimoniare “come sia possibile rimanere liberi da ogni forma di pressione e sempre responsabili rispetto al proprio operato e all'esercizio del potere che ci viene attribuito, attraverso l'esempio di mio padre”.
Dopo quarant’anni da quel tragico 11 luglio 1979, il figlio dell’avvocato assassinato a Milano ha ricordato il padre e le sue battaglie contro un sistema composto da poteri sommersi legati alla mafia, alla P2 di Licio Gelli, a Michele Sindona e a tanto altro. Un caso complesso quello dell’omicidio Ambrosoli, commesso quando suo figlio Umberto aveva solo sette anni. Un delitto le cui indagini portarono alla scoperta della loggia gelliana. "Con la perquisizione a Castiglion Fibocchi (comune di residenza dell’azienda di abbigliamento Giole in cui fu rinvenuta una lista di quasi mille affiliati alla P2, ndr) - ha detto Umberto Ambrosoli - si concretizzò il momento di svolta della nostra democrazia svelando al pubblico una Italia occulta che tanto aveva condizionato gli anni precedenti. Gli accertamenti fatti in primo luogo dalla Commissione Anselmi hanno restituito la testimonianza di una rete di influenze insinuata in modo nascosto nei gangli dei poteri pubblici e della società civile”. Trattasi, infatti, di documenti che restituiscono chiaramente l’idea circa il funzionamento di determinate dinamiche e logiche di potere. In altre parole, è una documentazione in grado di far “riflettere su quale insidia abbia aggredito la nostra storia democratica. Più in generale sull'attitudine di alcuni a pervertire le istituzioni all'interno delle quali operano, e di altri ad approfittarne”, ha commentato Umberto Ambrosoli.
Il figlio del liquidatore della Banca Privata Italiana, infine, ha ricordato il padre anche per “l’affermazione delle ragioni della propria esistenza”. Ha preferito, però, non ricordarne l’eroicità per il timore con cui troppe volte gli italiani ricorrono alla parola “eroe”, “individuando un essere che si pone su un piano intermedio tra l'uomo e la divinità, anche per giustificare in qualche modo il fatto che nessuno di noi deve chiedere a sé stesso di essere come lui”. Va ricordato, dunque, il coraggio di Giorgio Ambrosoli. La forza e la tenacia di un uomo ucciso perché non condiscendente ad un sistema di potere che ledeva alla democrazia e all’integrità del Paese, del popolo tutto e “che gli era contro”. Assassinato perché non remissivo a logiche di cointeressenza di mondi istituzionali, massonici e mafiosi di cui “se almeno la metà dei cittadini italiani conoscesse un quarto di quel che è stato scritto e svelato su quelle vicende, saremmo una democrazia più vigile e matura. Non mi preoccupa ciò che non è stato ancora svelato o capito, ma quanto poco guardiamo all'esperienza che abbiamo vissuto”.

Foto © Imagoeconomica

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