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spada carmine arrestodi Donatella D'Acapito
È così. C’è una parte di Ostia, quella del quartier generale degli Spada, vicino a piazza Gasparri, che dopo giovedì 25 gennaio si è serrata, chiudendo negozi e finestre in segno di rispetto per i boss arrestati. Poi ce n’è un’altra che da giovedì si sente più leggera perché ha finalmente visto l’intervento dello Stato. E infine ce n’è una terza, quella grigia, spiazzata e impaurita, che la dice lunga sulla capacità di intimidazione del clan. È quella parte di popolazione - nella maggior parte esercenti - che si chiede cosa succederà ora, che si domanda se ci sarà un avvicendamento e, in questo caso, chi prenderà il posto di chi.
Sono interrogativi, questi, che dovrebbero farsi quelli che vogliono spartirsi le piazze di spaccio o del racket. Invece qui, a mezza bocca, se li pongono in molti. Più di quanti ammettano.
Perché se è vero che sono state eseguite 32 ordinanze di custodia cautelare, se è vero che gli uomini del clan Spada - vertici compresi - sono finiti dietro le sbarre visto che, come ha scritto il Gip Simonetta D’Alessandro, la misura da applicare non poteva che essere individuata “nella custodia in carcere, unica e idonea a garantire l’interruzione immediata dell’escalation criminale in corso”, perché “proporzionata alla gravità dei fatti, alle pene in concreto irrogabili certamente superiori a tre anni di reclusione”, è altrettanto vero che rischia di essere prematuro - almeno per due motivi - parlare di un clan “smantellato”. Il primo è presto detto: si è appena aperta la fase degli interrogatori di garanzia; il secondo, invece, va ricercato in quel vincolo familistico che costituisce la base della forza e della pervasività del clan stesso.
L’operazione “Eclisse” - che ha costretto in manette capi e affiliati del clan lidense, ai quali viene contesta a vario titolo l’associazione a delinquere di stampo mafioso - fonde insieme un’indagine di polizia e una dei carabinieri. Si scoperchia così un modo fatto di usura, di droga e minacce, di racket con cui venivano taglieggiati i negozianti della zona - obbligati a versare fino alla metà degli incassi mensili, per non avere problemi – e di quello per le assegnazioni delle case popolari. Un business, quello degli Spada, che non tralasciava nessun settore e che si voleva ampliare, così come rivelano le intercettazioni, puntando sulle sale da gioco da comprare nei dintorni di Piazza Vittorio, nella Capitale, o a Torvaianica, sempre sul litorale romano. Ed è per questo che il Gip ha disposto, oltre agli arresti, anche il sequestro preventivo di auto, società e ditte: per evitare che venisse investita (e ripulita) parte dei proventi delle loro attività illecite.
L’attività investigativa, che ha ripercorso l’ultimo decennio di indagini sul territorio di Ostia, ha evidenziato “l’ormai profonda penetrazione della criminalità organizzata nelle attività economiche del litorale”, criminalità che affonda le sue radici negli anni Novanta in un continuo riposizionamento delle zone di influenza che emerge proprio dagli atti intimidatori che hanno interessato questo territorio.
Un riposizionamento che se lo si pensa adesso escludendo gli Spada, si rischia di disegnarlo partendo da un errore di sottovalutazione. Il Gip parla di loro come di un sodalizio “che ha provocato un profondo degrado sul territorio, consentendo il dilagare di reati gravissimi e lesivi di beni primari” e che ha fondato la sua potenza “sull’organizzazione a base familistica e sulla ripartizione delle competenze, consentendo al complesso dei soggetti chiamati a rispondere anche solo di reati satellite di gravitare in un’area di impunità, scaturente dalla forza evocativa e minatoria del nome degli Spada”.
E basta citare alcuni degli episodi intercettati per capire la violenza di cui gli affiliati sono capaci, come quando nel 2015 un usurato che doveva restituire una somma di denaro chiede di dilazionare i tempi di scadenza e si sente rispondere testualmente da Fabrizio Rutilo, uomo della cosca: “Ti faccio cercare da tutta Ostia… sai che vor dì? … ti spezzo tutte le costole. Io pijo le tenaglie e ti strappo i denti”. Oppure quella volta che Carmine Spada (in foto), detto Romoletto e numero uno del clan, è arrivato con una macchina rubata davanti al ristorante di una delle loro vittime con tanto di lanciafiamme col quale minacciava di dar fuoco a tutto. Ancora, constatare che anche i vigili urbani del gruppo municipale sembrerebbero intimoriti dalla cosca a tal punto che, nel 2015, è stato possibile notificare la chiusura della palestra a Roberto Spada solo grazie all’intervento dell’allora vicecomandante Antonio Di Maggio.
Gli Spada minacciano, sparano e uccidono gli uomini dei gruppi avversari; non denunciano neanche due tentati omicidi e, se serve, elargiscono somme simboliche per un boss di un altro clan (è accaduto con Carmine Fasciani) se quest’ultimo è in carcere. Tutto ciò perché non hanno bisogno dello Stato per mettere a posto le loro questioni. Il territorio - lo sanno - si conquista con i cadaveri a terra, come quando nel 2011 a morire sono Giovanni Galleoni (alias “Baficchio”, da cui il nome del clan rivale) e di Francesco Antonini (detto “Sorcanera”), di cui Carmine “Romoletto” e Roberto Spada sembrerebbero essere i mandanti. “Baficchio” e Antonini, espressione della criminalità organizzata legata alla vecchia banda della Magliana, si contendevano con gli Spada gli affari criminali sulla piazza di Ostia per estorsioni, alloggi popolari e droga, ma questi ultimi volevano prendersi tutto.
Seguono poi anni di un dominio che corre parzialmente sottotraccia, in cui il clan escono indenni dall’inchiesta “Mondo di Mezzo”, ma viene coinvolto nel caso delle minacce contro Federica Angeli, giornalista di Repubblica, sotto scorta dopo aver assistito a un tentato omicidio. Poi l’episodio della testata in novembre scorso a Daniele Piervincenzi, inviato della trasmissione Rai Nemo, ha acceso i riflettori sulla famiglia.
Altre inchieste sulle concessioni balneari o sul racket delle assegnazioni degli alloggi popolari si sono conclusi con condanne che, in alcuni casi, hanno sancito anche la mafiosità dei singoli affiliati. Ora però si aggiungono le dichiarazioni di quattro collaboratori di giustizia a tracciare un quadro più organico di un sodalizio gerarchicamente organizzato in cui gli affiliati avevano ruoli e compiti ben precisi. In questo quadro numero uno indiscusso è Carmine “Romoletto” Spada, “capo, promotore e vertice dell’organizzazione, responsabile di impartire ordini e direttive in ordine al controllo del territorio, ai fatti di sangue, alla gestione delle attività delittuose”. Poi c’è il fratello Roberto, attualmente detenuto nel carcere di Tolmezzo, che “condivide con Carmine le scelte strategiche del sodalizio ed è dotato di potere decisionale”; l’altro fratello, Ottavio, detto Maciste o Romolo, ha “funzioni di organizzazione dell’associazione, operando anche in prima persona per l’esazione di somme dovute all’organizzazione a titolo di estorsione e usura”.
Con le mafie tradizionali si è visto come avere i vertici di una cosca in galera non impedisca alla cosca stessa di continuare ad esercitare il proprio ruolo, cosa questa che rimanda alla forza evocativa e intimidatoria del nome del clan a cui si faceva riferimento prima. Per di più, nel caso degli Spada, la componente familistica unita alla derivazione etnica - sono sinti, come i Casamonica e i Di Silvio, con i quali sono imparentati - conferisce al gruppo un vincolo d’unione ancora maggiore, quello che spesso rafforza le minoranze e che lascia supporre che l’ultima parola sulla cosca non sia stata ancora detta.
Il fatto che nell’ordinanza sia contestato il 416 bis - ha scritto Libera in una nota a commento degli arresti - è una novità importante, crediamo che si vada nella direzione giusta ma ricordiamo che le mafie hanno una forte capacità di rigenerarsi, per questo è importante non abbassare la guardia. Oltre ai magistrati, il lavoro più importante di attenzione devono farlo tutti i giorni le  istituzioni, la politica e i cittadini. Il processo di rinascita del territorio di Ostia non può che passare dalla rescissione di quei legami con la criminalità che hanno consentito ai clan di condizionarne l’economia, talvolta imponendo un regime di paura e omertà: anche per questo Libera si è costituita parte civile al nei vari processi contro clan Fasciani, Triassi e non ultimo quello contro Roberto Spada e sarà sempre al fianco di chi denuncia, per affermare verità e giustizia. Riteniamo - prosegue la nota - che sia sbagliato continuare a negare questi fatti o sostenere che il solo parlarne possa creare danni all’economia di un territorio, specie se fortemente legato al turismo come quello di Ostia”.
Ora gli inquirenti continuano il loro lavoro analizzando pc e cellulari, sequestrati durante il blitz di giovedì, con l’obiettivo di ricostruire sia gli interessi che la rete dei fiancheggiatori del clan. Polizia e carabinieri, coordinati dai magistrati della Dda, puntano a definire il perimetro di azione dell’organizzazione, arrivando anche a determinare quanti erano i soggetti che il gruppo teneva sotto scacco e quale fosse il suo modus operandi. Intanto i primi interrogatori di garanzia restituiscono la linea del silenzio degli arrestati.
Il vaso di Pandora è stato scoperchiato, ma per conoscerne bene i demoni che ne erano contenuti si dovrà aspettare ancora.

Tratto da: liberainformazione.org

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