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ciancimino-c-giorgio-barbagallo-2di Anita Rossetti e Adriana Stazio - 2 maggio 2015
C’è una parte della società civile che ha compreso l’importanza di non lasciare nell’isolamento non solo i magistrati ma anche quei testimoni sottoposti ad attacchi di ogni tipo. Ecco perché il 2 marzo a Caltanissetta all’apertura del dibattimento del processo un gruppo di cittadini ha scelto di essere presente a fianco di Massimo Ciancimino, imputato per calunnia per le sue dichiarazioni relative a due uomini di primo piano degli apparati dello Stato e dei servizi, Gianni De Gennaro e Lorenzo Narracci. E oggi si ritroveranno per un nuovo appuntamento a sostegno del superteste del processo trattativa.

L’8 maggio avrà luogo a Palermo l’udienza finale del processo di appello contro Massimo Ciancimino per detenzione e trasporto di dinamite. Nel 2011 il supertestimone del processo trattativa che rendeva dichiarazioni ai magistrati sempre più dirompenti, mentre era in atto una micidiale campagna di delegittimazione nei suoi confronti, ricevette a casa dei suoceri a Bologna un pacco contenente dinamite con una minaccia terribile: la foto del suo unico figlio che saliva sulla macchina della scorta per andare a scuola in prima elementare e un messaggio che diceva di non denunciare niente altrimenti suo figlio sarebbe saltato in aria. Massimo ebbe paura, non denunciò. Poi dopo pochi giorni fu arrestato per calunnia contro De Gennaro per un documento contraffatto (su cui ancora non si è fatta luce, oggetto del processo trattativa) e raccontò lui stesso tutto quello che era successo ai magistrati che lo avevano arrestato, autoaccusandosi.

Purtroppo dalle indagini non sono emersi i responsabili della minaccia, ma il pm durante la requisitoria nel processo di primo grado, svoltosi con il rito abbreviato davanti al GUP di Palermo, aveva sostenuto che loro stessi ritenevano veritiera la versione fornita da Massimo Ciancimino ragion per cui se fossero riusciti a trovare tutte le prove, lo stesso Ciancimino non sarebbe stato processabile perché ha agito in stato di necessità.

Dunque, a parere della stessa pubblica accusa, l’imputato aveva agito in STATO DI NECESSITA' e quindi la sua imputabilità non era provata oltre ogni ragionevole dubbio e gli veniva anche riconosciuto di essersi autoaccusato anche se mai nessuno avrebbe scoperto nulla dato che - come fatto notare dallo stesso pm - lui era già a conoscenza del fatto che nella perquisizione condotta a casa sua non era stato rinvenuto nulla.

Eppure il 19 novembre 2013 Massimo Ciancimino fu condannato a 3 anni di reclusione con tutta la riduzione prevista dal rito. Il che significa che la pena base era di 4 anni e mezzo! Non gli furono riconosciute nemmeno le attenuanti generiche nonostante si fosse autoaccusato e nonostante avesse agito in uno stato psicologico innegabile, con la paura di un padre e tutte le pressioni che stava vivendo in quel periodo. Una pena pesantissima per questo genere di reato (basta leggere le cronache).

Ora dunque siamo alla fase conclusiva del processo di appello. La procura generale ha chiesto la conferma della pena. La difesa chiede che venga assolto e gli sia riconosciuto di aver agito in stato di necessità.

Ma a nostro parere sul banco degli imputati dovrebbe esserci lo Stato che non è stato in grado di proteggere sia fisicamente che dal punto di vista psicologico, facendolo sentire tutelato e sostenuto, un testimone così scomodo e così esposto.

Se la pena sarà confermata Massimo rischia di andare in carcere. Per una minaccia subita. Per aver pensato, preso dal panico, a proteggere suo figlio. QUESTA NON E’ GIUSTIZIA!

L’8 maggio saremo in Corte di Appello, per stringerci attorno a Massimo e a suo figlio, comunque andrà noi ci saremo e gli faremo sentire il nostro sostegno e la nostra vicinanza.

Qui si potrà leggere tutta la storia: Il testimone e la dinamite

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Foto © Giorgio Barbagallo

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