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Con una certa sottovalutazione - se si vuole, potrei sbagliarmi – da fonti del governo è stata data la notizia che una squadra di funzionari italiani, impegnati nella lotta contro la mafia nel loro paese, sono stati in Uruguay negli ultimi giorni per formare giudici, poliziotti ed investigatori, sul modus operandi di elementi di organizzazioni mafiose italiane, in particolare la 'Ndrangheta.
Questa visita si concretizza precisamente quando il deputato di Cabildo Abierto - Sebastián Cal - ha denunciato (nelle ultime settimane), dinnanzi alle autorità competenti ed a una Commissione del Senato, non solo di essere stato minacciato da un imprenditore, Gonzalo Aguiar - oggi deceduto – le cui attività sono sospettate di essere sull’orlo dell’illegalità, ma ha inoltre affermato che sarebbe ingenuo pensare che in Uruguay non esistano vincoli tra narcotraffico e sistema politico. E anche, secondo quanto espresso da lui stesso ad Antimafia, ed al sottoscritto personalmente, uno degli aspetti più preoccupanti in questo contesto risulterebbe il finanziamento delle campagne politiche i cui controlli dovrebbero essere più stretti e più rigorosi.
Lo ritengo un fatto grave se consideriamo che Cal è stato oggetto di minaccia diretta da parte dell'imprenditore, vicenda attualmente sotto indagine.
Si sta indagando infatti sulle sue attività eventualmente legate al narcotraffico, riciclaggio di denaro, e sui legami sospetti con figure del governo di Luis Lacalle Pou e con lui stesso.
Ma torniamo agli investigatori italiani giunti qui in Uruguay. Si tratta di esperti della Direzione Investigativa Antimafia (DIA); Capi delle unità di investigazione dei Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia di Stato.
“Siamo venuti non perché ci riteniamo i migliori, ma c'è una regola molto basilare: quello che vediamo oggi in questo territorio, è quello che abbiamo visto nel nostro 30 anni fa”. Queste alcune delle spiegazioni rilasciate dal colonnello Paolo Storoni, Capo di Relazioni Internazionali della CIA, ad un collega del quotidiano El País. 
La visita della delegazione italiana al nostro paese è avvenuta in un contesto definito dal progetto I-CAN (Cooperazione tra Italia ed Interpol contro la 'Ndrangheta) nato nel 2020 e che coinvolge 19 paesi, tra questi l'Uruguay, sicuramente dopo che è stata confermata la presenza di Rocco Morabito in territorio uruguaiano, di fatto colpendo ambiti economici e finanziari, dovuto alle operazioni illecite che lui ed i suoi complici hanno portato avanti da questo paese, per il transito di tonnellate di cocaina verso l'Europa.
Come si ricorderà, Morabito si trovava in Uruguay da circa 18 anni con identità falsa. Era conosciuto come un imprenditore di nome Francesco Capeletto, e fu arrestato nel 2017. Quando era a punto di essere estradato in Italia fuggì dal Cárcel Central nel 2019 - un'evasione permessa dalla corruzione di alcuni uomini personale penitenziario, che rispondono al Ministero dell'Interno - per poi essere finalmente arrestato in Brasile il 24 maggio 2021, ed infine riportato in Italia a Luglio del 2022. Da allora è recluso in una prigione sotto strette misure di sicurezza.
Migliaia di volte abbiamo allertato l’Uruguay circa la presenza della 'Ndrangheta nel nostro territorio, dalla nostra redazione, perché sappiamo che questa organizzazione - di un insieme di famiglie mafiose di Reggio Calabria – continua ad operare nel nostro paese anche dopo la cattura di Rocco Morabito. Forse alle dipendenze di un altro personaggio come Morabito, mimetizzato nella società e molto legato a circoli di potere imprenditoriale, politico, governativo?
Mi consta personalmente, perché non molto tempo fa, durante un’intervista che ho realizzato in Italia al pubblico ministero di Catanzaro, Nicola Gratteri, uno dei principali referenti nella lotta contro la 'Ndrangheta, si è trattato questo tema. Ed oggi, voglio aggiungere al riguardo, che allora Gratteri era stato minacciato di morte dal Sudamerica, da elementi criminali legati all'organizzazione di Reggio Calabria. Minaccia scoperta dalla FBI.
In definitiva, ci consta che dall'Italia, pubblici ministeri e giudici monitorano fluidamente i movimenti della 'Ndrangheta che ha ramificazioni in vari paesi, e gode di un alto potere economico che proviene fondamentalmente dal narcotraffico transnazionale, forte di alcune caratteristiche come gruppo criminale: è in possesso di elevato potere per corrompere a differenti livelli ed ambiti, con il comune denominatore di deviare fondi pubblici attraverso manovre fraudolente e torbide gare d’appalto.
Mi è venuto subito in mente tutto questo nefasto contesto uruguaiano. Dalla fuga di Morabito, passando per le non poche spedizioni di tonnellate di coca all’Europa, attraverso il Porto di Montevideo, negli ultimi anni, per arrivare al tema del passaporto di Marset, ed ultimamente le esternazioni del deputato Cal. Tutto molto grave, tutto molto vicino alla macchina ‘Ndrangheta, quella del narcotraffico transnazionale, generando morte - come ad esempio quella del Procuratore paraguaiano Marcelo Pecci, tra altre nella regione, in Argentina - e danni istituzionali ovunque. Mi sono venute anche in mente le idee che stanno già in bocca di molti che il PCC, Primo Comando Capitale, brasiliano, sarebbe legato alla 'Ndrangheta, in territori come Paraguay, Brasile, e perché no Uruguay? Se consideriamo che elementi del PCC hanno avuto e hanno vincoli con elementi criminali locali, dentro e fuori delle prigioni uruguaiane. Elementi che d'altra parte, sappiamo, hanno esteso strategicamente le sue reti per potere pianificare ed organizzare spedizioni di cocaina all'Europa, in voluminose partenze.
Riprendendo il tema della presenza della delegazione italiana Antimafia in Uruguay, i membri hanno concordato nel segnalare che tutti i guadagni della mafia italiana vengono reinvestiti ricorrendo a tecniche sofisticate di riciclaggio di denaro attraverso strutture commerciali legali e di facciata per facilitare le loro attività criminali.
In un documento di I-CAN si legge testualmente: “Le lagune legislative ed i sistemi regolatori deboli in molti paesi membri, che hanno permesso a questa organizzazione criminale di seminare radici profonde laddove la pressione investigativa è debole ed i provvedimenti giudiziari non sono del tutto efficaci, dimostrano la mancanza di conoscenza globale del fenomeno i cui sforzi di penetrazione sono sottovalutati”.
Il Colonnello Storoni ha espresso altri importanti principi di valore: “Il cuore del problema è che oggi la mafia italiana non ha lo stesso modus operandi che aveva 30 anni fa, di controllo del territorio. Oggi è un'altra cosa, che si ripete anche qui oggi, cioè che il mafioso italiano oggi è un uomo d'affari, uno stratega che cerca di corrompere e la sua premessa è che non deve creare problemi né allarme sociale. Ha le sue risorse economiche, il suo potere. Rocco Morabito è l'esempio. Ha vissuto qui per anni, ma non ha mai dato problemi”.
Bisogna fare attenzione con la mafia italiana perché ora non si percepisce il problema, non creda allarme sociale, non produce morti, non c'è controllo territoriale come esisteva prima. La mafia colpisce l'impresa con la corruzione, colpisce le istituzioni", continuò Storoni, in dialogo con Il Paese.
Riguardo il caso Morabito, dopo la sua fuga, un investigatore disse: “Abbiamo scritto una pagina della storia della cooperazione internazionale giudiziale e della Polizia insieme all'Uruguay, poiché abbiamo fatto applicare il Codice Antimafia di Italia, con una rogatoria internazionale, in Uruguay”. Ha poi spiegato che la rogatoria “fu una richiesta di assistenza giudiziale internazionale nell’ambito del Trattato di Palermo per agire con operatori italiani e tecnologia investigativa italiana in territorio orientale”.
“Ogni forza attacca la mafia dalla propria
conoscenza. La lotta è efficace ed efficiente quando si riesce non tanto ad arrestare il criminale e metterlo in prigione, bensì confiscargli i suoi beni. Se il criminale mafioso è in prigione, rinforza il suo status simbolico; è un motivo di prestigio”, ha affermato a El País Fabio Massimo Mendella, colonello della Guardia di Finanza.
Dopo Storoni è stato molto specifico, rispetto al motivo del suo arrivo a Montevideo: “Siamo venuti ad esportare il sistema legislativo ed investigativo italiano e sensibilizzare sul fenomeno della ‘Ndrangheta”.

Foto © Imagoeconomica

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