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Nelle motivazioni della sentenza il rapporto con la politica. Caridi, assolto, definito come "spregiudicato e avvicinabile"

Paolo Romeo, già condannato in via definitiva nel processo “Olimpia” per concorso esterno dopo la sua scarcerazione, “era ritornato a costituire una presenza importante del panorama politico reggino, quello sommerso fatto di intrighi e strategie collaterali che coinvolgevano la criminalità organizzata”. E' uno dei passaggi delle motivazioni della sentenza Gotha, il processo che ha visto per l'ex parlamentare del Psdi, cresciuto nelle file di Avanguardia nazionale, una nuova condanna in primo grado a 25 anni di carcere. Dai giudici viene descritto come una delle due "menti raffinate" della 'Ndrangheta, capace di attraversare indenne le vicende giudiziarie.
"Componente della massoneria segreta o componente riservata della ‘Ndrangheta unitaria quale esponente della consorteria De Stefano” ha tirato a lungo le fila della politica reggina, all'interno di quel "modello reggio" che una certa parte della politica ha sempre guardato con orgoglio.
Con il processo è stato dunque riscritto un pezzo di storia passata e recente delle organizzazioni criminali, ma anche della politica calabrese. I giudici hanno sposato l’impianto accusatorio della Direzione distrettuale antimafia rappresentata dal Procuratore capo Giovanni Bombardieri, dagli aggiunti Giuseppe Lombardo e Stefano Musolino e dai pm Walter Ignazitto, Sara Amerio, Roberto Di Palma e Giulia Pantano.
Il rapporto con la politica, nella gestione degli interessi dell'organizzazione criminale, era fondamentale.
Nelle carte si descrive l'appoggio che venne dato a Giuseppe Scopelliti (non imputato nel procedimento), eletto sindaco di Reggio Calabria nel 2002 e confermato nel 2007, dopo essere stato già assessore alla Regione e il più giovane presidente del consiglio regionale.
“Romeo - scrivono i giudici - non mancava di interpretare il suo ruolo di grande stratega politico, facendo apparire Scopelliti come una sorta di pedina, che in tal caso doveva assecondare l’intesa Forza Italia-An ed Udc, ridimensionando il suo ruolo personale al punto da dichiarare che qualora non avesse governato assicurando il coinvolgimento di tutte le forze politiche che lo avrebbero sostenuto sarebbe stato sfiduciato, e si sarebbe tornato a votare”.
Proprio Romeo, in una conversazione registrata nel 2002 con il senatore Antonio Caridi, all'epoca assessore comunale, si definiva come un "cane da mandria" per poi spiegare che era stato lui stesso, assieme ad altri soggetti (Umberto Perilli e Giuseppe Valentino, ex parlamentare europeo ed ex sottosegretario alla Giustizia) a dover scegliere il vicesindaco. “Non è che Scopelliti deve dare il gradimento o meno… – aveva detto Romeo – non è che può dire non mi è gradito, perché se no a questo punto diventa sgradito lui. Scopelliti deve fare per davvero il ‘cane da mandria’ e deve essere rappresentante di tutti… nel senso che non faccia il podestà e allora dura, altrimenti il prossimo anno votiamo, sembra che si… vota solo quando muore il sindaco… può pure morire politicamente il sindaco… e cinque consiglieri mu ribaltanu (per ribaltarlo, ndr) … Io per quello che mi riguarda sul piano politico sarei interessato che dopo le elezioni ci fossero un gruppo di sei/sette consiglieri comunali trasversali che abbiano un’idea comune”.


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Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Giuseppe Lombardo © Deb Photo


Lo spregiudicato Caridi
Caridi, imputato e assolto nel processo, viene definito dal Tribunale come un “politico spregiudicato e avvicinabile”.
"In occasione delle competizioni elettorali - si legge - non disdegnava di coltivare rapporti e frequentazioni con soggetti delle più importanti consorterie  criminali per chiare finalità elettorali".
I De Stefano, i Libri, i Pelle, i Maviglia: Caridi, annotano i giudici, "coltivava rapporti con soggetti che appartenevano alle predette famiglie criminali, le quali si cimentavano nella campagna elettorale per il procacciamento dei voti in occasione delle varie competizioni elettorali, plaudendo al buon esito".
Un comportamento descritto da molti collaboratori di giustizia e certificato dal monumentale processo che, in primo grado, ha visto la condanna di quindici persone e altrettante assoluzioni.
Secondo i giudici di primo grado "in nessuna delle conversazioni passate al vaglio dal giudicante è mai emerso un accordo di scambio politico mafioso, né il ricorso al Caridi per trarre utili in favore delle consorterie o degli accoliti e l’impegno del politico in tale direzione". Inoltre "non vi sono elementi, tratti dalle intercettazioni, per poter affermare che prendesse parte alla struttura riservata della 'Ndrangheta” che aveva il compito di “definire le strategie di massimo livello dell’organizzazione, col fine di estendere il programma criminoso verso gli ambiti di maggior interesse, con particolare riferimento a quelli informativi e imprenditoriali, economici, finanziari, bancari, amministrativi, politico-istituzionali ed interferendo in quest’ultimo caso anche con enti locali ed organi politici di rilievo costituzionale".
Il Tribunale analizza anche un’intercettazione del 2002, in cui “Paolo Romeo prima e Giuseppe Valentino (l’ex sottosegretario alla Giustizia, ndr) dopo, estendevano a Caridi il disegno di costituzione degli uomini a disposizione della 'Ndrangheta all’interno delle istituzioni”. Per questo motivo per i giudici “sino al 2002 Caridi era stato un ‘battitore libero, estraneo ai disegni di Paolo Romeo”.
Diverso il discorso per quanto riguarda l'altro politico imputato, l’ex consigliere e assessore regionale Alberto Sarra che è stato condannato a 13 anni di carcere.


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Antonio Caridi, ex senatore © Imagoeconomica


Quest'ultimo viene considerato “uno strumento nelle mani di Paolo Romeo e Giorgio De Stefano (per il quale la Cassazione in abbreviato ha annullato la condanna in secondo grado disponendo un nuovo processo d’appello, ndr) per garantire alla ‘Ndrangheta di infiltrare gli enti pubblici locali e per ciò stesso realizzare la possibilità di interferirne sul regolare funzionamento”.
Su Sarra non ci sono mezzi termini. I giudici lo descrivono come “espressione soggettiva della ‘Ndrangheta, collaudato collettore di voti per sé e per gli altri candidati, transponder tra la classe politica e la criminalità organizzata dei tre mandamenti, ai quali offriva costantemente disponibilità a raccordare gli interessi privati della criminalità con l’azione degli enti pubblici, per il perseguimento di interessi particolari delle famiglie criminali, e conseguente condizionamento dell’attività amministrativa”.
E' a lui che Romeo si affidava per il procacciamento di voti in favore di politici accomodanti o controllabili.
Romeo poteva avvalersi di "una fitta rete di relazioni intessute nel tempo con soggetti con ruoli istituzionali ed allo stesso tempo con la mafia tradizionale, in posizione di raccordo tra il vecchio ed il nuovo. Non si trattava solo di una semplice lobby ma di una convergenza di soggetti con ruoli istituzionali in un ente partecipato anche da soggetti appartenenti alle consorterie criminali. L’organismo in questione è la massoneria segreta, menzionata da Paolo Romeo e il senatore Giuseppe Valentino nella conversazione del 17 maggio 2002, alla quale oltre che i due interlocutori, prendeva parte certamente Giorgio De Stefano, e della quale, invece, doveva essere tenuto all’oscuro Giuseppe Scopelliti”.
Tanto Sarra quanto Scopelliti (che a un certo punto ha anche cercato di discostarsi), comunque, vengono definiti come "eterodiretti da Paolo Romeo” nonché “espressione di una setta” che si muove “soltanto per un ristretto gruppo di interesse legato al gruppo di amici”.


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L'ex sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Scopelliti


Il "lavoro" della massoneria segreta
Questa struttura, secondo i giudici, ha avuto un ruolo attivo in più momenti, segnando una vera propria "convergenza tra uomini delle istituzioni e vertici della ‘Ndrangheta". Così "aveva ancora interferito e si era adoperata negli anni 2002/2004, prima nel sostegno all’elezione di Scopelliti (attraverso gli interventi anche di Giuseppe Valentino per la gestione dei fondi del Decreto Reggio), poi per prevenire che ‘il sistema di potere’ potesse essere compromesso da possibili iniziative centrali di commissariamento del Comune”.
Su Valentino, anch'egli non imputato ma indagato per reato connesso, i giudici scrivono che all’epoca, “avvalendosi del suo ruolo istituzionale di sottosegretario al Ministero della Giustizia” scrisse una lettera “all’allora ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu per ottenere il trasferimento ad altra sede del prefetto Sottile”.
Nelle carte si fa anche riferimento all'incontro con il Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria "per cercare di trarre informazioni su eventuali iscrizioni a carico degli amministratori del Comune di Reggio Calabria". L’obiettivo non sarebbe stato quello di “proteggere il sindaco Scopelliti, la cui eventuale caduta lasciava indifferente sul piano personale il Romeo, ma ‘il sistema di potere’, in esso compresi il coacervo di risorse personali impegnate e la fitta trama di relazioni che consentiva al Romeo, ma anche a Giorgio De Stefano e Giuseppe Valentino, che pure avevano partecipato alla sua realizzazione, di eterogovernare le amministrazioni della città di Reggio Calabria”.
(Prima pubblicazione: 7 Agosto 2023)

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