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arresto vettura 500di Emiliano Federico Caruso
Una vasta e complessa operazione ha riunito vari filoni di indagine fino a smantellare i vertici di 23 clan calabresi, ricostruendone meccanismi e gerarchie.
Con l'operazione “Mandamento jonico”, che ha portato anche al sequestro preventivo di un complesso immobiliare e di 13 società, oltre mille carabinieri tra il Nucleo investigativo di Locri, la compagnia di Bianco, il reparto operativo di Reggio Calabria e gli agenti del ROS, nel corso della notte hanno arrestato 116 esponenti (con 291 iscritti al registro degli indagati) di 23 clan della Locride, praticamente tutti quelli attivi nella zona, comprese le 'ndrine di Sinopoli, paesino dell'Aspromonte da sempre considerato zona strategica di collegamento con i clan di Gioia Tauro.
L'indagine, già conosciuta come “Operazione Reale” e tra le più vaste e importanti mai realizzate finora, è il risultato dell'analisi di documenti, intercettazioni, dichiarazioni di collaboratori di giustizia a dell'unione di vari filoni investigativi tra cui il “Blu Notte” del ROS di Reggio Calabria e i vari “Edera”, “Eirene”, “Arcadia”, “Meta”, “Intreccio”, “Crimine”, “Saggezza, “Solare”, “Acero”, “Morsa” e altri, e ha portato all'arresto di affiliati divisi tra i comuni di Africo, Bovalino, San Luca, Bianco, Ardore, Ferruzzano, Platì, Careri, Sant'Ilario, Portigliola, Bova, Roghudi, San Lorenzo, Condofuri, Palizzi, Melito Porto Salvo e Locri.
I 140 capi di imputazione comprendono praticamente l'intero manuale del perfetto camorrista, tra associazione mafiosa (il 416 bis) porto illegale di armi, riciclaggio, truffa, estorsione, intestazione fittizia di beni, turbativa d'asta e trasferimento fraudolento di valori. Tutto questo aggravato dalla chiara intenzione di favorire i clan grazie anche a infiltrazioni negli appalti pubblici, in particolare quelli per l'affidamento degli alloggi popolari, per la realizzazione del nuovo Palazzo di giustizia, del Centro di solidarietà santa Marta, del locale Ostello della gioventù e della linea ferroviaria Sibari-Monasterace. Finora non sono emersi collegamenti con la politica, fatta eccezione per il coinvolgimento, ancora da chiarire, di alcuni amministratori di Careri.
I carabinieri hanno anche scoperto l'esistenza di una sorta di vertice, chiamato “Provincia” dagli affiliati, con una rigida gerarchia all'interno della quale agivano vari gradi tra Capocrimine, Maestro di giornata e Contabile, oltre ad altri nomi in codice come Stella, Cavaliere di Cristo, Crociata e Capo corona, relative ad alcuni tra le più potenti cosche calabresi:

- Il clan Pelle, considerato una delle 'ndrine più potenti e pericolose del mandamento jonico, con ramificazioni e contatti nel nord Italia, in Germania e in Olanda. Da sempre attivo nel traffico internazionale di droga e armi, usura, riciclaggio, estorsioni, gioco d'azzardo e infiltrazioni negli appalti pubblici. Proprio nella casa del boss Giuseppe Pelle, figlio dello storico capo Antonio “Gambazza”, fu piazzata nel corso dell'operazione “Reale” una microspia, grazie alla quale si ottenne la più importante intercettazione nella storia della lotta alla 'ndrangheta.

- Il clan Morabito, un'altra tra le più potenti famiglie della zona, storicamente gestita dal boss Bruno Morabito e, in seguito, dal figlio Giuseppe “'u tiradrittu”, che vantava legami con boss del calibro di Totò Riina e Luciano Liggio e, grazie alla sua crudele intelligenza, trasformò l'impero del padre in una potente holding del crimine dedicata al traffico di droga, armi e sigarette. Venne arrestato il 18 febbraio 2004 a santa Venere, nell'Aspromonte, e il comando passò al figlio Rocco Morabito, talmente sicuro di sé, nonostante sia in carcere dopo l'arresto ad aprile del 2010, che nel corso di un'intercettazione venne fuori la sua affermazione “Lo Stato qua sono io, Pe'....controlla. La mafia originale però, non la scadente”.

- I Ficara-Latella, instabile clan che nel controllo criminale dei quartieri di Pellaro e Ravagnese ha ormai da tempo sostituito la famiglia Barreca, decimata dalle confessioni dello storico capocosca, poi collaboratore di giustizia, Filippo “'u raggiunieri”, che rivelò anche certi legami con l'eversione di destra e la Massoneria.

- Le cosche Cataldo e Cordì, la prima con ai vertici gli storici boss Giuseppe “Zù Pepè” Cataldo e il figlio Francesco “'u prufessure”, la seconda al comando di Domenico Cordì, ucciso il 23 giugno del 1967 nel corso della strage di Piazza mercato, Cosimo Cordì, ucciso a sua volta 30 anni dopo, e Antonio Cordì, latitante dopo l'inchiesta “Primavera”, arrestato all'inizio del 1999 e infine morto per tumore nell'estate del 2007.
I clan Cataldo e Cordì furono protagonisti di una sanguinosa faida, iniziata proprio nel 1967 con la morte di Cosimo, che li ha visti rivali per decenni, fino a una (almeno apparente) riconciliazione, necessaria per essere riammessi nel consenso dei vertici della 'ndrangheta.

- Clan Alvaro, egemone della zona di Gioia Tauro ma con contatti e affari anche nel nord Italia. Fondato alla fine del 1800, raggiunge il picco del potere negli anni '60 del secolo scorso grazie al traffico di droga e ai sequestri di persona. Per lungo tempo al comando del solo boss Domenico “Don Mico” Alvaro, in seguito morto anziano nella propria abitazione nell'estate del 2010, poi diviso nei sotto-clan Cudalonga, Carni 'i cani, Pajechi, Merri e Pallunari, è oggi considerato uno dei clan più abili nel settore imprenditoriale.

- Serraino, 'ndrina di Reggio Calabria, controlla principalmente le zone di Gambarie e Cardeto, ma anch'essa ha ramificazioni nel nord Italia. Risultato dell'unione di due gruppi: I Serraino della montagna, fondati da Francesco “Re della montagna” Serraino, ucciso in ospedale il 23 aprile del 1986, e un secondo gruppo omonimo inizialmente al comando di Alessandro “Scilanga” Serraino.
Il comando del clan, attivo principalmente nel traffico di droga, passò poi ai fratelli del “Re della montagna”: Paolo, condannato all'ergastolo alla fine degli anni '90, e Domenico Serraino, considerato l'ultimo vero boss della 'ndrina omonima.

- Clan Ursino (spesso indicato come Ursini), altra potente 'ndrina attiva a Marina di Goiosa Jonica, dove da quasi mezzo secolo detiene il completo controllo sulle locali attività criminali. Gia alleati dei Cordì e dei Belfiore, gli Ursino sono da sempre attivi soprattutto nel traffico di droga.

L'indagine, che ha coinvolto anche la DDA guidata dal procuratore Federico Cafiero de Raho, ha quindi collegato fra loro una gran quantità di documenti, nomi ed eventi finora considerati isolati, permettendo di ricostruire i meccanismi e le gerarchie fino ai vertici dei clan e di scoprire anche una sorta di “tribunale” della 'ndrangheta, la cui esistenza era già ipotizzata in alcuni documenti del 1800, incaricato di regolare in modo autonomo le questioni e le faide interne.

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