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Sono stati uccisi a nove anni di distanza l'uno dall'altro il giudice Cesare Terranova, il suo agente di scorta il maresciallo della polizia Lenin Mancuso - 25 settembre 1979 - e il giudice Antonino Saetta, 25 settembre 1988.
Entrambi i magistrati si sono occupati della lotta a Cosa nostra con una visione pionieristica: Terranova scrisse, nella sentenza ordinanza sulla strage di viale Lazio del 10 dicembre 1969, i rapporti tra la mafia e la politica mentre Antonino Saetta, conosciuto per il suo rigore, aveva da sempre condiviso l'impianto del pool antimafia di Palermo sul carattere unitario e verticistico di Cosa Nostra.
Il 1979 è l'anno a cavallo tra l'uccisone di Aldo Moro (9 maggio 1978) e la strage della stazione di Bologna (2 agosto 1980). 
Dieci anni prima il giudice Terranova era riuscito a portare a processo i mafiosi corleonesi Luciano Liggio e Salvatore Riina. Ma a Catanzaro (1968) e Bari (1969) vennero entrambi assolti per insufficienza di prove.
Il magistrato però riuscì a portare successivamente a processo il boss corleonese: venne condannato all'ergastolo per aver ucciso il boss rivale Michele Navarra.
Dopo una breve parentesi a Marsala Terranova venne eletto deputato nel 1972 ed entrò nella commissione parlamentare antimafia. In questa veste maturò le competenze per mettere i bastoni fra le ruote a Cosa nostra e nel 1979 rientrò a Palermo. Il Csm lo nominò Consigliere della Corte di Appello ma lui fece subito domanda per andare a dirigere l'Ufficio Istruzione. La sua nomina era vicina ma il 25 settembre Cosa nostra lo uccise.
Non fu un omicidio inaspettato, anzi: il 26 febbraio 1978 il boss Giuseppe Di Cristina, detto "la tigre di Riesi" confidò ai carabinieri che il magistrato sarebbe stato ucciso e che il suo assassinio era stato già decretato e che sarebbe stato compiuto dagli uomini di Luciano Liggio.
Tommaso Buscetta, nel 1984, aveva rivelato che il giudice era già entrata nel mirino nel 1975. Anche il collaboratore Francesco Di Carlo, esponente del mandamento di San Giuseppe Jato, aveva indicato Liggio come mandante dell'omicidio e come esecutori materiali Giacomo Giuseppe Gambino, Vittorio Puccio, Giuseppe Madonia e Leoluca Bagarella.
Nel 1997 invece venne riaperto un altro procedimento in cui si individuarono altri mafiosi, ed esponenti della cupola, che avevano permesso l'omicidio del giudice: Michele Greco, Bernardo Brusca, Pippo Calò, Antonino Geraci, Francesco Madonia, Salvatore Riina e Bernardo Provenzano.
La cerimonia di commemorazione si terrà oggi alle ore 9:30 all'incrocio tra via Rutelli e via De Amicis - nel luogo dell'eccidio. Subito dopo nel teatro della vicina scuola Piazza - Giovanni XXIII i familiari delle vittime di mafia incontreranno gli studenti e i docenti. Nel corso dell'incontro il regista Pasquale Scimeca presenterà, in anteprima, il trailer del film "Il giudice T. sulla vita del giudice Terranova e del maresciallo Mancuso. Saranno presenti i nipoti del giudice Terranova, i figli del maresciallo Mancuso, i figli del giudice Pietro Scaglione e del giudice Gaetano Costa, le sorelle di Ninni Cassarà e Lillo Zucchetto, la madre di Claudio Domino, il bambino assassinato dalla mafia, il giudice Leonardo Agueci.

Il primo magistrato giudicante ucciso da Cosa nostra
Sembrava un giorno qualsiasi, la SS 640 che da Agrigento porta a Palermo era percorribile come sempre e i campi bruciati dal sole tutt’attorno ricreavano uno sfondo statico ed immutabile che sembrava mai avrebbe perso familiarità. Una BMW scura si affiancò all’auto, si abbassarono i finestrini, ed ecco una raffica di proiettili calibro 9 che irruppero improvvisamente sui conducenti.
C’erano Antonino Saetta ed il figlio Stefano su quella macchina presa d’assalto a colpi di mitra. Erano in viaggio verso casa, di ritorno da una giornata trascorsa a Canicattì.
Non era un semplice regolamento di conti tra bande rivali, Antonino Saetta, classe 1922, era un magistrato che aveva ricoperto la carica di presidente della Corte d’Assise d’Appello tra il 1985 ed il 1986 a Caltanissetta e, successivamente, a Palermo fino alla sua esecuzione.
Si era occupato di processi di primo piano in merito alle organizzazioni criminali: a Caltanissetta aveva curato come presidente della corte d’assise la strage in cui morì il giudice Rocco Chinnici, ed i cui imputati erano i celebri Michele “Il Papa” e Salvatore “Il Senatore” Greco, considerati esponenti all’apice della mafia di allora. Il processo si concluse con un aggravamento delle pene e delle condanne rispetto al giudizio di primo grado.
A Palermo presiedette il processo relativo alla uccisione del capitano Basile, che vedeva imputati i capi emergenti Giuseppe Puccio, Armando Bonanno, e Giuseppe Madonia.
Fu in questa occasione che una tradizione assolutoria nei confronti della mafia, sempre presente nei giudizi di secondo grado, venne calpestata: il processo che in primo grado si era concluso in una discussa e sorprendente assoluzione si era tramutato, in appello, in una condanna al massimo della pena per gli imputati.
Un potenziale pericolo incombente per Cosa Nostra, che il 16 dicembre 1987 aveva assistito alla sentenza che concludeva il maxiprocesso di primo grado: 346 condannati, 114 assolti, 19 ergastoli e pene detentive per un totale di 2665 anni di reclusione.
Effettivamente, contrariamente a quanto era avvenuto per il processo di primo grado solo pochi magistrati erano disposti a presiedere il maxiprocesso in appello. Uno di questi era Antonino Saetta.
A seguito della notizia sul suo assassinio, Giovanni Falcone dichiarò apertamente: “È un’esecuzione decretata dai corleonesi, e non averlo ucciso a Palermo è solo il tentativo di sviare l’attenzione, per provare a far pensare a qualcosa di diverso tirando in ballo le cosche locali. Ma la decisione viene da lì, e secondo me ha anche a che fare sia con il processo Basile che con il maxi”.
Sarebbe stato lo stesso Falcone, giunto all’ufficio affari penali nel 1991, a rendere onore al magistrato, introducendo assieme a Martelli la regola della turnazione in Cassazione dei processi di mafia: il ruolo di giudice di Cassazione al maxiprocesso passò dall’“ammazzasentenze” Carnevale ad Arnaldo Valente e tutte le condanne di primo grado furono, per i mafiosi, clamorosamente riconfermate.
Nel 1996 la sentenza della Corte d’Assise di Caltanissetta formulò la condanna dei boss mafiosi Totò Riina e Francesco Madonia, come mandanti dell’omicidio Saetta e Pietro Ribisi, come esecutore materiale.

In foto da sinistra: Cesare Terranova, Antonino Saetta e Lenin Mancuso

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