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I clan mafiosi a Palermo dispongono di arsenali e ne fanno prestigio. È il dato che emerge dalle intercettazioni disposte negli ultimi anni dalla procura distrettuale antimafia, oggi diretta da Maurizio de Lucia. “Se hai bisogno eventualmente di attrezzatura, cose, noi ne abbiamo”, diceva il vecchio boss Michele Micalizzi (di recente tornato in carcere), a Tommaso Inzerillo, ha ricordato stamane Salvo Palazzolo su la Repubblica. Secondo la squadra mobile, stando alla risposta di Inzerillo, “attrezzatura” era un nickname per indicare le armi. Il boss tornato dagli Usa diceva senza mezzi termini: “Qua noi dobbiamo stare in pace”. Un quieto vivere voluto anche da Micalizzi: “Diciamo che abbiamo avuto l’esperienza… quando è stato, diciamo non potrebbe mai più succedere e non deve succedere più”. “No, non deve succedere”, rilanciava Inzerillo. Secondo la procura Micalizzi, ritenuto al vertice del clan di Partanna Mondello, custodiva tante armi. Un vecchio capomafia  sopravvissuto alla seconda guerra di mafia. Mentalità diversa da quella di suo figlio Giuseppe Micalizzi, pure lui tornato di recente in carcere, il quale non solo voleva dare una lezione ad alcuni ragazzi dello Zen (“Ci mettiamo sopra i motori e li buttiamo a terra”), bensì avrebbe utilizzato anche armi: “Appena butti una revolverata qua si spaventano, si infilano tutti dentro”.
Al centro di questa storia, però, non c’è solo l’arsenale del clan di Partanna. Nell’elenco, infatti, compare anche l’arsenale dei boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo, arrestati dalla polizia nel 2007. Armi che non vennero mai trovate a Palermo. Giuseppe Micalizzi, come ricorda Palazzolo, “era un loro fidato postino, così come lo zio Fabio soprannominato ‘Spagna’ nei pizzini”. Stando alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Manuel Pasta, anche lui fedelissimo dei Lo Piccolo, “ci sarebbero ancora in giro numerose armi oltre quelle che furono sequestrate nel giardino di Villa Malfitano nel 2009: si tratta di pistole, fucili, mitragliatori, migliaia di munizioni” ha ricordato Palazzolo. Al tempo parlava di “un bidone nascosto da qualche parte in città, forse è ancora nel terreno di un dentista, nella zona del quartiere Zen”. Mentre un altro collaboratore, Francesco Franzese, raccontò che era soprattutto il giovane Lo Piccolo ad avere una passione per le pistole, ne cercava sempre di nuove: “Una volta, un’arma micidiale gli fu regalata dal cugino di Nitto Santapaola, Angelo, mafioso importante di Catania”. Anche questa non si è mai trovata.
Oggi la situazione non è diversa. I clan dispongono ancora di arsenali ben forniti, la droga circola a fiumi nelle viuzze del centro storico e nelle ville della città, e i rampolli di Cosa nostra vogliono accaparrarsi posti di prestigio disposti anche ad usare le vecchie maniere.

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