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Le sue dichiarazioni arrivarono a colpire Matteo Messina Denaro e suo padre Francesco

"Io sono Rita - Rita Atria: la settima vittima di via D'Amelio".
Era il 19 luglio quando era venuta a sapere che un auto bomba era esplosa a Palermo e aveva attentato la vita di Paolo Borsellino. Colma di dolore aveva scritto sul suo diario parole strazianti: "Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l'unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi. Prima di combattere la mafia devi farti un auto esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi, ma io senza di te sono morta".
Una settimana dopo, il 26 luglio a Roma, Rita Atria, la ragazza diciassettenne colpevolmente abbandonata dallo Stato, aveva decise di togliersi la vita, perché niente al mondo sarebbe più riuscito a colmare il vuoto che la morte di Paolo gli aveva lasciato. È per questo che viene considerata la “Settima vittima” della strage di Via D’Amelio.
La giovanissima testimone di giustizia sarà ricordata oggi a Partanna, suo paese natale con una serie di iniziative denominate "Rita nel cuore". Le commemorazioni per il 31° anniversario cominceranno alle ore 16,00 con la Santa messa presso la Chiesa Matrice celebrata dal vescovo Mons. Angelo Giurdanella. Alle 17,30 nel cimitero di Partanna ci sarà un saluto davanti alla tomba di Rita. Alle 22,00 in Piazza Falcone e Borsellino si svolgerà la prima edizione del Premio Nazionale "Picciridda", nato dal desiderio di ricordare l'esemplare coraggio della giovane Rita. Ospiti "Bellamorea" ed il cantautore Andrea Canto. Tra i premiati il magistrato Alessandra Camassa, l'Associazione Casamemoria Peppino e Felicia Impastato, Luigi de Magistris, Nicola Clemenza ed il significativo premio alla memoria di Paolo Borsellino. La manifestazione patrocinata dal Comune di Partanna è promossa da un cartello di associazioni: Rete Antimafia di Brescia; Associazione antiracket Libero Futuro; Casa di Paolo; Agende Rosse; Associazione Su La Testa; Associazione tazzina della Legalità e la sezione di Partanna della Fidapa; il giornale ANTIMAFIADuemila, Mario Bruno Belsito e da Piera Aiello, cognata di Rita Atria ed anche lei testimone di giustizia.
Rita era nata a Partanna da una famiglia di stampo mafioso. Era il 18 novembre 1985, quando il padre era stato ucciso per un regolamento di conti, il primo doloroso evento che aveva la sua storia. Il fratello Nicola aveva preso il posto e il ruolo del padre e in seguito aveva perso la vita anche lui appena 6 anni dopo, precisamente il 24 giugno 1991. Il dolore per la perdita dell’amato Nicola era diventato insostenibile per Rita. La ragazza alla fine, aveva deciso di cercare giustizia e denunciare gli assassini alle autorità, seguendo l’esempio di sua cognata, Piera Aiello. Con i suoi pochissimi anni aveva trovato il coraggio per diventare testimone di giustizia e tutto questo grazie all’incontro con Paolo Borsellino, all’epoca Procuratore di Marsala: “La picciridda” la chiamava il magistrato. Da quel momento, grazie alle testimonianze della ragazza, vennero arrestati molti personaggi legati alle cosche di Partanna, Sciacca e Marsala.
Rita aveva smascherato un mondo fatto di mafia arcaica, ma allo stesso tempo potentissima, di alleanze, omicidi, traffico di droga e armi. Le sue dichiarazioni provocarono un secondo terremoto nella Valle del Belice: erano arrivate a toccare anche Matteo Messina Denaro e il padre Francesco.
“Fimmina lingua lunga e amica degli sbirri” la chiamavano in città. Nonostante il sostegno della cognata, Rita viveva la sua scelta di esporsi e di opporsi al sistema mafioso in completa solitudine. “Rita non t’immischiare, non fare fesserie”, le aveva detto all’inizio la madre. La stessa madre che dopo la morte della figlia aveva cercato di rompere la sua lapide con un martello.
"Farò della mia vita anche della spazzatura, ma lo farò perciò che io sola ritengo conveniente", aveva scritto Rita Atria nell’ultima lettera – inedita – alla sorella prima di partire per Roma, la città in cui si sarebbe compito il tragico atto.


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In occasione della commemorazione di Rita Atria riproponiamo l’intervista che ANTIMAFIADuemila fece a luglio dell’anno scorso alla giornalista Graziella Proto in merito al libro - inchiesta “Io sono Rita” (edito da Marotta E Cafiero)

Questo libro spezza la retorica con cui si racconta la storia di Rita poiché mette in evidenza le responsabilità mancate delle istituzioni. Qual'è, secondo lei, la vera storia di Rita Atria?
"Noi non raccontiamo cose per sentito dire, ma raccontiamo fatti. Documenti verbali di interrogazione, su questo abbiamo lavorato".
"Ogni anno il 26 di luglio andiamo sotto il palazzo dove è morta Rita e facciamo memoria attiva. Quest'anno sarà ancora più ricco perché il trentennale. E una signora timidamente una volta si avvicinò e ci disse: 'Io sono quella che le ha tenuto la mano fino a quando è arrivata l'ambulanza. Mi ricordo che la persiana era chiusa più di metà'. Ma come era possibile che la persiana fosse chiusa? Questo è già un primo dubbio, un primo interrogativo. Poi abbiamo continuato a cercare. I primi anni abbiamo chiesto i documenti alla procura di Roma e la prima volta ce li avevano negati. Poi due anni fa ci consegnano dei fascicoli in cui io non ci ho trovato nulla. Non c'era nulla nei verbali che potesse interessare perché nei verbali c'era scritto che la ragazzina era una ragazzina normale e non una testimone di giustizia. Una ragazzina non sotto la protezione dell'Alto commissariato".

Ci sono alcune anomalie, come si legge nel libro, che vengono alla luce dopo la morte di Rita Atria: una lettera senza firma recapitata al procuratore di Roma, un poliziotto mai identificato che entra nell'appartamento di Rita subito dopo la sua morte, oggetti spostati o che addirittura scompaiono dalla scena. Qui sono due le ipotesi: o le autorità hanno trattato il caso con negligenza e sciatteria oppure c'era qualcuno che ha fatto appositamente delle azioni clandestine. Quel è secondo lei l'ipotesi più probabile?
"Noi nel libro non vogliamo creare degli scoop. Di certezze non ne abbiamo. Però dalla ricostruzione del contesto" emerge "che alle spalle di Rita c'era una storia pesantissima di mafia. Non quella che avevamo raccontato per 30 anni. C'era una storia in cui c'erano personaggi importanti. Il capo assoluto della mafia partannese ogni tanto andava a cena a casa di Rita. La ragazzina quando ammazzano il capo mafia amico di suo padre e padrone di suo padre (lo ammazzano nell'89), Rita dopo un anno inizia a collaborare. Quindi dire che è una cosa che non c'entrava nulla è la cosa più sbagliata che si possa dire”.
"Questo capo assoluto di Partanna era amico di Matteo Messina Denaro ed era in ottimi rapporti con Francesco Messina Denaro e godeva di buona fama da parte di Riina, il quale lo incarica di sequestrare niente di meno che il suocero dei Salvo. Che in quel periodo erano fortissimi all'interno della mafia, fortissimi dal punto di vista economico, fortissimi dal punto di vista della politica, perché erano due grossi esponenti della Democrazia Cristiana". "Questa ragazzina quindi aveva molto più coraggio rispetto a quello che si diceva perché se noi continuiamo a dire che c'erano quattro pecorari non abbiamo raccontato niente". "Tutte queste cose Paolo Borsellino le aveva verificate e c'è un verbale di sua mano, una relazione, in cui dice che la ragazza è perfettamente attendibile più di un adulto. Quindi non è che stiamo parlando di nessuno".
"Lei è inserita in quel contesto. Lei fino a quando non gli ammazzano il fratello vede spacciare i ragazzi, il suo fidanzato spaccia davanti a lei e lei assiste. È inserita in quel contesto convinta che non ci possa essere un mondo diverso. Dopo sette mesi che frequenta Paolo Borsellino e la Camassa e la Morena Plazzi cambia completamente e fornisce una lista di nomi lunghissima. Nel libro ne prendiamo solo alcuni".
"Dopo sette mesi di collaborazione che frequenta queste persone, (Rita ndr) anziché dire 'mio papà era quello che nel paese mette pace, aiuta le persone, dà soldi ai poveri e che trova le pecore a chi hanno rubate', dirà 'mio papà è un uomo d'onore feroce che insegnava al figlio come essere feroce'.Quindi alle volte raccontiamo solo la superficie". "Dopo 30 anni scopriamo cose che non si erano mai dette".

Le dichiarazioni di Rita erano equivalenti metaforicamente parlando al terremoto del Belice quindi?
"Certo. È là (nel Belice ndr) che è cominciato tutto. Perché una volta che sono arrivati i soldi" sono stati investiti "nella droga, perché il sindaco era d'accordo. Il sindaco i soldi li faceva scomparire. Gli Ingoglia la famiglia opposta agli Accardo, si dedicava all'imprenditorialità, gli piaceva fare business, ed erano molto quotati a Londra". "Se non si racconta che la ragazzina è cresciuta in questo fango la si riduce a una semplice picciridda". La autorità "hanno trattato la ragazzina meno di una ragazzina 'normale'. Non come una ragazzina che andava tutelata per tutte le cose che aveva raccontato e che era in pericolo di vita. Se l'hanno ammazzata l'hanno ammazzata perché lei era sola e se si è suicidata perché era sola". "Non dico che l'hanno ammazzata ma non posso dire nemmeno che si è suicidata ci sono troppe cose che non quadrano".

La Valle del Belice quindi è come un ‘buco nero’ che inghiotte tutto?
"Sì è un buco nero e nel mezzo c'era il sindaco Culicchia che era culo e camicia con il capo della mafia, il quale era culo e camicia con il papà di Rita, fino a quando non hanno litigato". "Per la prima volta abbiamo raccontato anche delle cose serie ma non pensavamo che c'era tutto questo fango di potere mafioso dietro. Abbiamo scoperto un mondo non previsto".

Foto © Shobha

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