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di Aaron Pettinari - 23 settembre 2014

Dall'alba di questa mattina i carabinieri della compagnia di Corleone e del gruppo di Monreale, con il supporto di unità cinofile e di un elicottero, sono impegnati in una vasta operazione antimafia tra i comuni di Corleone e Palazzo Adriano per eseguire il provvedimento di fermo emesso dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo Sergio Demontis, Caterina Malagoli e dal procuratore reggente Leonardo Agueci. Le indagini, avviate nel 2012, hanno portato a 5 fermi e documentano gli assetti di ‘cosa nostra’ all’interno del mandamento di Corleone, ancora oggi particolarmente vicina al Capo dei capi, Totò Riina.

All'interno del mandamento, infatti, la figura più autorevole sarebbe quella di Antonino Di Marco, 58 anni, incensurato insospettabile custode del campo sportivo è il fratello di Vincenzo Di Marco che era stato autista personale di Ninetta Bagarella, la moglie di Totò Riina ed arrestato nel febbraio 1993, un mese dopo la cattura del capomafia.
Antonio Di Marco teneva riunioni e summit addirittura all'interno del proprio ufficio, dove le cimici nascoste dai carabinieri della Compagnia di Corleone hanno permesso di raccogliere dati sul sodalizio, dalla gestione degli appalti alle estorsioni, fino agli interessi nella campagna elettorale. Un'indagine “vecchia maniera” che non ha visto il coinvolgimento di pentiti o la presenza di denunce. Nei suoi discorsi Di Marco insegnava valori antichi come il significato della serietà e del rispetto. Spesso portava anche i saluti di Salvuccio Riina, il terzo figlio del “Capo dei capi”, che oggi si trova a Padova.
“Noi dobbiamo essere con la gente, con chiunque”, diceva ripetutamente a quelli che avrebbero voluto scalzare altre famiglie. Tuttavia, pur di rimanere nell'ombra, certe regole venivano violate, tanto da aver permesso che la figlia si fidanzasse con un sottufficiale dei carabinieri.


Affari, appalti e politica
Grazie alle intercettazioni è emerso che la famiglia di Corleone gestiva importanti affari soprattutto negli appalti grazie alla complicità di alcuni funzionari collusi. Per convincere le vittime a cedere i boss sono ricorsi spesso a danneggiamenti e furti all'interno dei cantieri delle imprese taglieggiate.
Gli inquirenti hanno accertato che sugli appalti Cosa nostra continuava a intascare il 3% dell'importo dei lavori e che, in alcuni casi, al posto della richiesta di denaro imponeva agli imprenditori assunzioni di personale e acquisto di mano d'opera nelle aziende vicine ai clan. Ed ovviamente l'interesse per la politica rientrava tra le attività del sodalizio con un certo attivismo dell'organizzazione mafiosa per l'elezione dell'attuale sindaco di Palazzo Adriano, Carmelo Cuccia. Un interesse dimostrato con tanto di pedinamento fino a Palermo dove Di Marco si recava per incontrare il primo cittadino. Secondo la Dda il gruppo corleonese si sarebbe mosso anche per la campagna elettorale dell'esponente dell'Udc, Nino Dina, attuale presidente della commissione Bilancio dell'Assemblea regionale siciliana. Nell'operazione con Di Marco sono stati arrestati Pietro Paolo Masaracchia (ritenuto il capomafia di Palazzo Adriano), Nicola Parrino, Franco e Pasqualino D'Ugo.
  

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