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grassi-libero-web0di Aaron Pettinari - 29 agosto 2014
Ventitré anni sono passati da quel 29 agosto in cui Libero Grassi, industriale tessile proprietario della Sigma di Palermo, venne ucciso da Cosa nostra perché si oppose al racket del pizzo. Due i killer che si presentarono sotto casa in via Alfieri, Salvatore Madonia, rampollo di una potentissima famiglia mafiosa palermitana, e Marco Favaloro, poi pentito. Non ebbe il coraggio di guardarlo negli occhi, Madonia, e gli sparò alle spalle.
Il coraggio di Libero Grassi, la sua determinazione, non possono essere dimenticati e sono ancora simbolo di una lotta che non si è ancora esaurita se si considera che ancora oggi, al sud come al nord Italia, c'è chi paga il pizzo alle mafie.
“Non sono pazzo, non mi piace pagare. Io non divido le mie scelte con i mafiosi” aveva detto con forza in diretta tv, l’11 aprile 1991.

Quelle sue parole, forti come sassi rappresentavano una sfida verso Cosa nostra che avrebbe, secondo il punto di vista mafioso, potuto fungere da “cattivo esempio” per gli altri commercianti. Un uomo che è andato contro tutto e contro tutti in un tempo dove ribellarsi era un'assoluta rarità.
Erano i tempi in cui il giudice di Catania, Luigi Russo, aveva stabilito in una sentenza che acquisire la “protezione” dei boss non era reato, e dove il presidente degli industriali di Palermo, Salvatore Cozzo, rispondeva proprio a Grassi alla radio che “i panni sporchi si lavano in famiglia”.
Lasciato solo nella sua lotta per la libertà si può dire che se da una parte ad uccidere Libero Grassi sia stata la mafia a permettere la sua eliminazione sia stata anche l'indifferenza dei suoi colleghi imprenditori, colpevoli di averlo lasciato solo e sopportato con fastidio. Dopo tanti anni di silenzi, per fortuna, sembra esserci un vento nuovo rispetto a quegli anni di omertà.
"Mi hanno chiamato Libero in memoria di un uomo che per la libertà è morto", amava dire, raccontando che i genitori, dandogli quel nome, avevano voluto onorare il sacrificio e il coraggio di Giacomo Matteotti.
Ma il suo messaggio più potente è sicuramente la lettera aperta, scritta sette mesi prima di essere assassinato, al "Caro estortore". Uno scritto, pubblicato sul Giornale di Sicilia nel gennaio 1991, che rappresenta il grido di libertà che è stato raccolto oggi da associazioni come Addio Pizzo e Libero Futuro che di fatto onorano con l'agire quotidiano la memoria di Libero Grassi. Un seme che germoglia e che col tempo ha contagiato anche Confindustria ha approvato un regolamento interno che espelle gli imprenditori che pagano il pizzo. E al loro fianco c'è la magistratura che indaga e condanna imprenditori che non denunciano i propri aguzzini. Del resto il modo migliore per rendere viva la memoria del sacrificio di Libero Grassi e del suo insegnamento è fare ognuno la propria parte di cittadino libero, affermando la legalità e difendendo i propri diritti e doveri.

La Lettera,
Caro estortore...
"...volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere... Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al "Geometra Anzalone" e diremo no a tutti quelli come lui"

Libero Grassi, dal Giornale di Sicilia del 10-1-1991

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