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di Miriam Cuccu - 14 agosto 2014

Il pizzino nel covo di Provenzano: "Si sono messi nelle mani della nostra società"
Per dare lavoro agli affiliati di Cosa nostra la mafia si interessava anche dei supermercati. E nell'affare sarebbe stato coinvolto persino il boss Bernardo Provenzano. E' quanto emerge dall'operazione della Dia di Agrigento che ha portato al sequestro dal valore complessivo di 6 milioni e mezzo di euro. I provvedimenti hanno colpito i beni riconducibili al noto boss mafioso Giuseppe Falsone, 44enne di Campobello di Licata, nell'Agrigentino, attualmente detenuto e considerato il capo di Cosa nostra nella provincia. Il sequestro ha interessato anche le proprietà di Giovanni Marino, imprenditore 47enne nativo di Canicattì, ugualmente in carcere, condannato per il reato di trasferimento fraudolento di valori; di Giuseppe Capizzi, 45enne di Ribera (Ag) uomo d’onore detenuto ed elemento di spicco della locale famiglia mafiosa;  dell’imprenditore Ferdinando Bonanno 73enne, referente della Eurospin Sicilia S.p.a. deceduto lo scorso marzo 2014. Da lui sarebbe partito quel “patto di protezione” con la mafia per l’apertura di punti vendita a Campobello di Licata e a Palma di Montechiaro, nell'agrigentino.

Rilevanti, al riguardo, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Sardino, uomo di fiducia dello stesso Falsone, avallate dal rinvenimento di alcuni pizzini nel covo corleonese del boss Bernardo Provenzano. Vi si apprendeva infatti che Falsone aveva appunto comunicato a Provenzano che una ditta di supermercati di fuori provincia “si è venuta a mettere nelle mani della nostra società”, precisandogli che c’era bisogno di creare lavoro per gli appartenenti alla consorteria tramite i supermercati. Il padrino di Corleone avrebbe dovuto, secondo le richieste del boss di Agrigento, interessare in via preliminare il latitante trapanese Matteo Messina Denaro, poiché se questi non avesse avuto interesse all’affare, egli avrebbe dato il benestare per procedere all’apertura di punti vendita Eurospin nell'Agrigentino.


I nomi coinvolti
caisaGiuseppe Falsone, arrestato il 25 giugno 2010 a Marsiglia dopo oltre dieci anni di latitanza, era inserito nell'elenco dei primi trenta latitanti del territorio nazionale. Già nel dicembre 2000 veniva condannato per associazione mafiosa (la stessa condanna lo colpirà successivamente nel 2005 e nel 2010) e nel 2001 all’ergastolo per omicidio aggravato.
Giovanni Marino viene arrestato a marzo 2010 nell'ambito dell'operazione "Apocalisse", scattata nei confronti di 8 persone indagate, a vario titolo,  per associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, intestazione fittizia di beni e riciclaggio aggravato. Condannato a 2 anni e 8 mesi per il reato di trasferimento fraudolento di valori, Marino si sarebbe fittiziamente intestato le quote del capitale della società  LA.E.S. SRL - Lavori  Edili e Stradali Srl (oggetto di confisca), mantenendo  occulta la  partecipazione alla società del boss Falsone.
Giuseppe Capizzi (nipote di Simone Capizzi, reggente provinciale di Cosa nostra dal 1991 sino al suo arresto, nel 1993) proviene da una famiglia di cui fanno parte soggetti che, nel tempo, hanno rivestito un ruolo di rilievo all’interno della famiglia mafiosa di Ribera e di Cosa nostra agrigentina già da metà degli anni '80. I figli di Simone Capizzi, Mario (coinvolto nell'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo) Giuseppe e Carmelo, sono attualmente tutti e tre detenuti. Arrestato nell'operazione "Scacco Matto" del luglio 2008, Giuseppe Capizzi sarà poi condannato a 4 anni e 8 mesi per associazione mafiosa.
Ferdinando Bonanno, arrestato insieme a Marino, era accusato del reato di concorso esterno in associazione mafiosa in quanto, quale referente della Eurospin Sicilia S.p.a., bomboniereavrebbe consapevolmente posto in essere condotte funzionali alla realizzazione degli interessi e delle attività di Cosa nostra, cercando ed ottenendo un preventivo contatto con il vertice mafioso della provincia di Agrigento, al fine di consentire all'impresa del settore alimentare una penetrazione commerciale nell’agrigentino con l’apertura di nuovi punti vendita. I contatti con l'organizzazione criminale e nello specifico il contributo offerto da importanti esponenti mafiosi di Cosa nostra facenti capo a Falsone, allora latitante, avrebbero comportato una notevole agevolazione dell'attività imprenditoriale di Bonanno.

I beni sequestrati
- un’impresa individuale con sede a Campobello di Licata (AG), destinata alla coltivazione di cereali ed all’allevamento di animali, ove sono stati sequestrati 347 capi, tra cui bovini, suini, ovini e caprini;
- n. 13 fabbricati ed un terreno agricolo siti nel comune di Campobello di Licata (AG);
- quote sociali pari ad € 15.495,00 della LA.E.S. Srl - Lavori Edili e Stradali S.r.l. - con sede legale a Campobello di Licata (AG);
- n. 1 autovettura;
- un’impresa individuale con sede a Ribera, avente per oggetto l’attività di colture miste viticole, olivicole e frutticole, e due terreni siti in provincia di Agrigento, uno a Ribera e l’altro a Villafranca Sicula,  nonché  il saldo attivo di un conto corrente acceso presso un istituto di credito di Ribera;
- partecipazioni azionarie, corrispondenti al 6% del capitale sociale, di Ferdinando Bonanno nella società Eurospin Sicilia Spa, operante nel settore della grande distribuzione alimentare, con sede  a Catania e punti vendita in diverse province della Sicilia;
- le quote societarie dei figli di Bonanno in una società con sede a Paternò (CT) con oggetto sociale l’attività di commercio all’ingrosso ed al dettaglio di prodotti alimentari;
- una ditta individuale riconducibile alla moglie di Bonanno, sempre con sede a Paternò ed oggetto sociale l’attività di commercio di casalinghi, cristalleria e vasellame;
- il saldo attivo di 27 rapporti bancari intestati al defunto Bonanno ed ai componenti del nucleo familiare

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