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2Dalle Prefetture d'Italia si alza il grido della società civile
di Aaron Pettinari - 3 aprile 2014
C'è un Italia che non vuole restare a guardare inerme di fronte alla condanna a morte emanata da Salvatore Riina dal carcere Opera di Milano nei confronti del magistrato Antonino Di Matteo, pm di punta del pool che indaga sulla trattativa Stato-mafia. Un'Italia fatta di associazioni e cittadini che da 74 giorni è presente davanti alla Procura di Palermo, sotto l'insegna della “Scorta civica”, per esprimere sostegno, sensibilizzare e chiedere con forza che sia garantita la sicurezza per tutti i giudici minacciati a Palermo, Caltanissetta e Trapani. Sono cittadini che chiedono verità e giustizia su quel biennio stragista che ha macchiato di sangue l'Italia cambiandone la storia.

E' con questo spirito che da questa mattina, davanti alle prefetture di numerose province italiane si è svolto un sit-in, promosso dal Movimento Agende Rosse in collaborazione con l'Associazione Nazionale Familiari Vittime di mafia e diverse altre associazioni, in particolar modo per chiedere al ministro dell’Interno Angelino Alfano una risposta immediata in merito alla concessione per la scorta del pm Di Matteo, e agli altri magistrati, del dispositivo ‘bomb-jammer’ (un emettitore di segnali in grado di bloccare la trasmissione di onde elettromagnetiche nel raggio di alcune centinaia di metri e di annullare l’eventuale innesco a distanza di ordigni esplosivi ndr). Lo scorso 3 dicembre lo stesso ministro Alfano assicurò a Salvatore Borsellino, ed anche in conferenza stampa su nostra eplicita domanda, che tale dispositivo era stato reso disponibile. Tuttavia ad oggi all’impegno del ministro dell’interno non sono ancora seguiti i fatti. Il “teatrino” proveniente dai palazzi di Governo è stato quantomeno imbarazzante. Già il 14 ottobre 2013 il deputato del Movimento 5 Stelle, attuale vicepresidente della Camera, Luigi Di Maio, aveva presentato un’interrogazione parlamentare al Ministro dell’Interno Angelino Alfano e al Ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri proprio circa la “possibilità di dotare il dottor Di Matteo e la sua scorta del dispositivo bomb-jammer”.
3Il silenzio sembrava essersi interrotto con quella conferenza di dicembre in occasione della visita del ministro Alfano a Palermo, proprio a margine del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza, in cui venne deciso di innalzare il livello di protezione per i magistrati di Palermo, Caltanissetta e Trapani, ma la realtà era ben diversa. Al magistrato, in seguito ai primi test effettuati, sarebbe sì stato proposto un “bomb-jammer” ma di vecchia generazione, con rischi eventuali per la salute degli stessi agenti di scorta e per i cittadini. Infatti Alfano, rispondendo al Deputato del Movimento 5 Stelle, Giulia Sarti, in un'audizione della Commissione antimafia ha detto nuovamente: “Riguardo al mezzo elettronico cui faceva riferimento l’onorevole Sarti (il bomb-jammer ndr) noi l’abbiamo già reso disponibile, salvo un’accurata verifica tecnica. Essendo dotato di una forte potenza elettromagnetica, può produrre effetti collaterali molto significativi alla salute e, quindi, è assolutamente da studiare. Secondo le informazioni in mio possesso in un ristrettissimo lasso di tempo saremo in grado di fornire una risposta”. E poi ancora. “Questa è un’apparecchiatura certamente utilizzata nei teatri di guerra, dove le zone frequentemente desertiche consentono di limitare al minimo i danni degli effetti collaterali. E’ altrettanto certo che un uso di questi dispositivi è stato già fatto anche in zone civili, ma il tema che si pone in riferimento alla protezione dei magistrati è che questo diventa un uso continuativo e durevole, non per un’azione, ma durevole e permanente. E’ questo lo studio che si sta effettuando e che credo si concluderà presto. Non posso dire l’ora o il giorno, ma mi sento di dire che si concluderà in un ristrettissimo lasso di tempo, certamente nei prossimi giorni”. A quattro mesi di distanza però di risposte in tal senso non ne sono arrivate. 1Tuttavia, proprio la scorsa settimana, su diversi organi d'informazione è apparsa la notizia che per garantire la sicurezza del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, proprio il “bomb-jammer” era stato utilizzato, il che alimenta il dubbio sull'esistenza di una versione aggiornata del dispositivo. “Noi vogliamo, pretendiamo fatti – ha detto Salvatore Borsellino – serve che la scorta di Nino Di Matteo e degli altri magistrati in pericolo di vita sia immediatamente dotata di un ‘bomb-jammer’ di modello e sofisticazione adeguata ad impedire un’ennesima strage”. E lo stesso, con forza, hanno chiesto tutti coloro che erano presenti davanti alle Prefetture d'Italia e che torneranno il 12 aprile, a Roma, nei pressi del Viminale, per chiedere risposte definitive.
A Palermo erano un centinaio, alcuni anche provenienti da altre parti d'Italia, pur di esserci e testimoniare la propria vicinanza ai magistrati. A turno i rappresentanti delle varie associazioni aderenti all'iniziativa hanno preso la parola ricordando le parole dette dal ministro degli Interni, i primi di dicembre, a Salvatore Borsellino. “Siamo qui per lottare affinché non vi sia una nuova strage – dicono a turno – lo dobbiamo a chi sta comunque sacrificando la propria vita per la verità. Lo dobbiamo a tutte le vittime di mafia e a chi ha raccolto idealmente il loro testimone”.

Attenzione al gioco sporco
Il prossimo 18 aprile la Corte di Cassazione si dovrà esprimere sull'istanza di remissione presentata dai legali degli ex ufficiali dell'Arma, Mori, De Donno e Subranni, per spostare in altra sede il Processo trattativa Stato-mafia. Un'azione che lascia basiti per le tempistiche e che per il momento è stata assolutamente ignorata dalla Corte che sta giustamente proseguendo con l'audizione dei testi. Usare gli argomenti del “rischio per l'incolumità pubblica” pur di far ripartire il processo da zero, 4in un'altra sede che non sia Palermo, è il più grande stravolgimento dei fatti che possa essere messo in atto.
La sicurezza garantita ai magistrati passa anche dal Processo trattativa Stato-mafia. La sicurezza che non vengano stoppati, o bruciati, anni di lavoro trascorsi per far luce sulle “indicibili verità” di quegli anni. Si provò in tutti i modi anche ai tempi di Falcone e Borsellino a spostare il maxi-processo. Ma alla fine prevalse l'importanza di celebrare quel dibattimento a Palermo. Oggi siamo di fronte alla medesima situazione. La speranza per i cittadini onesti è che sia questo il valore che vorrà sancire la Corte di Cassazione. L'importanza che il processo resti a Palermo garantendo il lavoro dei magistrati, in sicurezza, senza arrendersi alle minacce di Cosa nostra, o di chi non vuole che si vada in fondo a certi fatti.

Foto © ACFB

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