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mercato-ortofrutticolo-palermodi Miriam Cuccu - 20 febbraio 2014
I Galatolo dell’Acquasanta, storica famiglia mafiosa legata negli anni Ottanta e Novanta ai corleonesi di Totò Riina, avevano messo le mani sul Mercato Ortofrutticolo (in foto). È quanto ha rivelato l’operazione di oggi ad opera della Dia di Palermo che ha portato ad un maxisequestro di beni per un valore di 250 milioni di euro.
Infiltrata sia direttamente che per mezzo di prestanome, la famiglia Galatolo era in grado di far valere la propria forza intimidatrice attraverso l’imposizione del prezzo dei beni in vendita a cui dovevano sottostare gli operatori del settore, controllare il trasporto su gomma da e per la Sicilia occidentale (oltre ai mercati principali di approvvigionamento alimentare in centro Italia) e gestire le attività commerciali all’interno dello stesso mercato.
In merito al sequestro di beni (20 immobili tra terreni, appartamenti e box, 13 aziende, 14 veicoli e numerosi rapporti finanziari) la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo ha colpito le attività economiche riconducibili ad alcuni soggetti ritenuti contigui a Cosa nostra e, nello specifico, al clan dell’Acquasanta. Si tratta di Angelo e Giuseppe Ingrassia, entrambi 57enni, Pietro La Fata, 81 anni, Carmelo e Giuseppe Vallecchia, rispettivamente 74 e 53 anni, tutti palermitani.

I cinque, proprietari di vari stand, monopolizzavano l’attività del mercato palermitano anche attraverso l’utilizzo dei servizi forniti dalla Cooperativa “Carovana Santa Rosalia” (compravendita di merce, facchinaggio, parcheggio, trasporto e vendita di cassette di legno e materiale di imballaggio).
Sono diverse le dichiarazioni di collaboratori di giustizia che hanno consentito di rivelare il controllo esercitato da Cosa nostra di un importante settore economico locale, che ha portato all’inquinamento del mercato e all’eliminazione di qualsiasi forma di concorrenza, garantendo così all’organizzazione criminale di fatturare consistenti guadagni in attività solo apparentemente lecite. Un ingente flusso di denaro sporco veniva immesso nei circuiti dell’economia legale con l’acquisizione di attività commerciali e la presa di possesso di interi settori del terziario legati alle vendite di prodotti ortofrutticoli nel Mercato locale, con la conseguente e profonda alterazione del tessuto economico in questione.
Senza contare che il volume d'affari complessivo dell'agromafia “è salito a circa 14 miliardi di euro nel 2013, con un aumento record del 12% rispetto a due anni fa, in netta controtendenza rispetto alla fase recessiva del Paese perché la criminalità organizzata trova terreno fertile proprio nel tessuto economico indebolito dalla crisi” ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel commentare positivamente l'operazione della Dia. “Una operazione che conferma come la criminalità sia attiva dall'intermediazione dei prodotti alimentari al trasporto, dallo stoccaggio nei mercati fino all'acquisto e all'investimento nei centri commerciali, con pericolosi effetti sulle tasche degli italiani e sul reddito delle imprese agricole, con rincari anomali dei prezzi e aumento dei costi” sottolineando che “l'impegno per la legalità contro le agromafie significa difendere una parte importante del lavoro, dell'economia e del Made in Italy, ma anche la salute dei cittadini”.
Molti segreti della famiglia mafiosa, che negli anni Ottanta e Novanta controllava i traffici nel porto di Palermo e gli appalti nel Cantiere navale, sono stati recentemente svelati da Giovanna Galatolo, figlia dello storico boss Enzo (condannato all’ergastolo per l’omicidio del generale dalla Chiesa e coinvolto nel fallito attentato dell’Addaura a Giovanni Falcone) che a detta della donna “comandava dal carcere”. La Galatolo ha deciso di collaborare con la giustizia: “Non voglio più stare nella mafia, perché ci dovrei stare? Solo perché mio padre è mafioso? No, non ci sto. Non voglio stare nell'ambito criminale. Né voglio trattare con persone indegne” aveva dichiarato. Le sue deposizioni entreranno a fare parte del processo nel quale sono imputati Angelo Galatolo e Franco Mineo, ex deputato regionale di Grande Sud accusato di intestazione fittizia di beni aggravata, peculato, malversazione e usura.. “So che sono ottimi amici, si sono messi insieme come società, come prestanome”. Un altro oscuro capitolo che ruota attorno alle molteplici attività controllate dal clan dell’Acquasanta.

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