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messicati-vitaledi Savino Percoco - 16 dicembre 2013
Vola via come in un soffio di vento, parte del lavoro prodotto negli ultimi due anni, con l'indagine "Sisma". Difatti dopo un anno di carcere indonesiano, rientra in Sicilia da libero cittadino, Messicati Antonino Vitale (foto). Nonostante i capi d’accusa d’associazione mafiosa ed estorsione, ad accompagnarlo durante il volo verso l’aeroporto di Palermo non c’erano forze dell’ordine o manette ai polsi. Così si è recato autonomamente presso il comando dei carabinieri di Misilmeri per firmare i documenti di rito.
Il capomafia di Villabate, considerato il numero due nella lista dei ricercati, dietro solo a Matteo Messina Denaro, sorprendentemente non sconterà le sue pene in carcere. L’obbligo di dimora è l’unica misura restrittiva nei sui confronti a cui ha persino presentato ricorso, chiedendo il trasferimento a Portella di Mare per avvicinarsi a casa sua. La sua scarcerazione sarebbe stata generata da ragioni burocratiche; nella richiesta di estradizione, fatta attraverso una rogatoria, la Procura avrebbe dimenticato infatti di tradurre il testo in indonesiano alla scadenza dei termini. Si tratta quindi, di un vizio di forma. Un cavillo che ha contribuito a far scadere i termini di custodia cautelare.

Particolare prontamente smentito da una nota dal procuratore aggiunto Leonardo Agucei di Palermo: “Non c’è stata alcuna dimenticanza, i ritardi sono dovuti ai tempi lunghi legati al coinvolgimento di un Paese come l’Indonesia che non è nell’area Schengen. Peraltro la procura ha chiesto la proroga della custodia cautelare al gip che non l’ha concessa”.
Antonino Vitale è figlio di Pietro Messicati, condannato al primo maxi processo a “cosa nostra” e membro della famiglia criminale di Villabate ucciso vicino la sua abitazione a Capo Zafferano, fra Aspra e Porticello nel 1988.
Erede dei boss firmatari al patto d'onore con Bernardo Provenzano, dieci anni di carcere e arrestato una prima volta nel 1995 dal nucleo Investigativo di Palermo nell’ambito dell’operazione antimafia denominata "Venerdì nero".
Accusato di essere il capomafia di Villabate venne arrestato dai carabinieri e dagli agenti del servizio per la cooperazione internazionale di polizia il 7 dicembre del 2011 durante una latitanza dorata in un lussuoso residence a Bali. Dopo mesi di intercettazioni ambientali e telefoniche fu rintracciato anche grazie al pedinamento di familiari e fiancheggiatori.
I cavilli burocratici che hanno aperto le porte del carcere ai boss sono stati diversi nel corso della storia passata e recente, basti pensare alla scarcerazione di sei uomini di spicco di cosa nostra palermitani avvenuta lo scorso agosto con la corte di appello di Palermo che rideterminato le condanne loro infitte escludendo l’aggravante della recidiva. È cosi che hanno trovato la liberta Salvatore Gioeli, Nunzio Milano, Settimo Mineo, Rosario Inzerillo, Emanuele Lipari e Gaetano Badagliacca.
Tutti condannati a pene superiori a dieci anni, a vario titolo, nel processo Gotha, quello che vedeva alla sbarra gregari e colonnelli del boss Bernardo Provenzano. Gli ermellini hanno stravolto ogni cosa, stabilendo l’illegittimità del calcolo della condanna inflitta sulla base dell’applicazione della recidiva e rinviando in appello le posizioni processuali per la sola rideterminazione temporale della condanna. Da qui, uno “sconto” di due-tre anni a testa.
Anche negli anni '80-’90, ai tempi del giudice Corrado Carnevale (dalla stampa chiamato “ammazzasentenze” ndr), erano numerosi i vizi di forma con cui venivano cancellate sentenze di mafia. Per far fronte al "consueto" ribaltamento delle sentenze d’Appello, Giovanni Falcone, al tempo dirigente presso l’ufficio Affari penali del ministero della Giustizia, fece istituire un criterio di rotazione che stando ai fatti accaduti permise la soluzione del problema, tanto che vennero confermate le condanne della storica sentenza di Cassazione del “maxprocesso” nel gennaio ’92.
E’ alquanto scandaloso che ancora oggi l’ordinamento italiano presenti dei vizi di forma riguardo reati di mafia. Scarcerazioni come quella di Messicati Vitale lasciano indignazione e rabbia con la sensazione che a vincere siano ancora una volta i boss. Vedere il capomafia di Villabate un tempo costretto alla latitanza, tornare ad essere libero (seppur con il vincolo di dimora ndr) e, potenzialmente, poter impartire ordini ai suoi sodali suona davvero come una beffa di Stato.

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