Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

arresti 18luglio2 di Domenico Ferlita - 22 luglio 2013
Pesanti condanne sono state inflitte ai vertici dei clan palermitani. Si parla di  più di 80 anni di carcere per i boss esponenti dei mandamenti di Bagheria e Porta Nuova.
L’udienza preliminare è stata presieduta dal giudice Lorenzo Matassa che ha inflitto pene molto pesanti per i capimafia sotto accusa.
14 anni per Calogero Lo Presti, 16 anni per Tommaso Di Giovanni, capimafia della famiglia mafiosa di Porta Nuova, 8 anni di reclusione per Nicola Milano, 10 per Francesco Paolo Puntano, 14 anni per Gaspare Parisi, boss di Borgo Vecchio, mentre al suo braccio destro,Gabriele Bucchieri, sono stati inflitti 10 anni di carcere e, infine, 12 per Antonino Zarcone capoclan di Bagheria.
Il giudice Lorenzo Matassa ha provveduto anche ai 100 mila euro di risarcimento andati a confluire nelle casse del comune di Palermo, mentre altri 10 mila euro, andati alle parti civili: il centro studi Pio La Torre, Confindustria di Palermo, Solidaria, Sos Impresa, Coordinamento delle vittime di estorsioni,  usura e mafia, l’Associazione Antiracket delle piccole e medie imprese di Palermo, la Confcommercio  e il Centro Padre Nostro.
Il processo si è svolto col rito abbreviato.

Durante l’udienza, il Gup, ha accolto le richieste dei pm, Maurizio Agnello, Caterina Malagoli e Francesca Mazzocco. Si è dimostrato, invece contrariato sulla richiesta di ricostruzione dell’accusa che riteneva Nicola Milano, uno dei capi dominanti di Palermo Centro.
Le pene più alte sono state inflitte  a Di Giovanni e Lo Presti perché considerati i boss della  famiglia di Porta Nuova, mentre Zarcone viene considerato il pericoloso boss del clan di Bagheria.
Molto discusso è stato il ruolo di Matassa che, ha dovuto presiedere l’udienza preliminare dopo aver vestito i panni del giudice delle indagini preliminari, ciò  vuol dire che, non solo ha rinviato a giudizio gli imputati ma li ha anche giudicati. Il giudice Matassa, aveva però chiesto al presidente del Tribunale di astenersi, permesso che non gli fu accordato. È stato questo il motivo che ha spinto i legali Giovanni Castronovo e Giuseppina Candiotto a trasmettere gli atti alla Corte Costituzionale per una probabile valutazione di legittimità costituzionale.

I condannati erano stati arrestati nell’ambito di un’operazione dei carabinieri che ha portato all’arresto di 28 persone, tra i quali gli stessi sopraelencati. Le indagini partite nel 2011, hanno permesso agli investigatori di ricostruire l’intero organigramma dell’organizzazione. Le accuse riguardano l’ associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, traffico internazionale di stupefacenti e rapina.
Tra gli arrestati di quella notte, anche un poliziotto che faceva da informatore all’interno delle famiglie che passava le notizie, anche con l’ausilio di intercettazioni video e audio. Nelle indagini è emerso anche che le famiglie mafiose riscuotevano il pizzo sulla fiction televisiva di successo “Squadra Antimafia – Palermo Oggi”. La serie era stata presa nel mirino dal boss Calogero Lo Presti che, durante le riprese, intimidiva Marcello Testa, operatore di Taodue, ovvero la società che produce la fiction, con lo scopo di attuare delle modifiche alle riprese più il pagamento di una somma di denaro pari a 5000 euro secondo quanto affermato dalla Dda di Palermo.

L’imposizione del pizzo alla Taodue non riguardava, però soltanto, il pagamento di somme di denaro, ma anche all’indicazione delle ditte dove rifornirsi durante le intere riprese del telefilm.
Tra le vittime del racket, vi era anche la gioielleria “Di Paola”  sita in piazza San Domenico, nel centro di Palermo.
Nonostante ciò, la mafia sembra non avere dimenticato il vecchio affare che tanti anni addietro produceva i veri capitali. Si tratta del business più antico, il traffico di droga.
Sembra infatti, che il boss Tommaso Di Giovanni, aveva il compito di procurarsi i capitali necessari all’acquisto di grosse partite di stupefacenti, organizzando anche l’importazione, mentre un suo accolito, Ivano Parrino si occupava di smerciare la droga in piazza Ingestone o zone limitrofe.

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos