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mancino-aula-c-ansadi Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza - 28 maggio 2013
Stato-mafia, i pm: ha occultato il patto con Cosa nostra. Lo sfogo dell’ex ministro: “Ingiusto processarmi con i boss”
Palermo. Io ho combattuto la mafia e non posso stare insieme ai boss in un processo. Chiederemo lo stralcio del processo. Che uno per falsa testimonianza debba stare in Corte d’assise non lo accetto”, così si sfoga Nicola Mancino mentre fuori dall’aula bunker di Pagliarelli, sotto un sole quasi estivo, un urlo accompagna centinaia di agende rosse alzate verso il cielo: “Fuori la mafia dallo Stato”. Dentro, tra i banchi degli imputati, il vecchio generale e l’anziano senatore (i soli, con Massimo Ciancimino, presenti in aula) fanno per la prima volta reciproca conoscenza a beneficio di flash e telecamere: “Le presento il generale Subranni, suppongo non vi conosciate”, dice il difensore dell’ex capo del Ros, Basilio Milio a Nicola Mancino. “No, non suppone niente – ribatte l’ex ministro – io non l’ho mai conosciuto. Di nome sì, qua viene fuori che chi deve essere noto diventa ignoto”.

NEL GIORNO in cui boss, politici e ufficiali dei carabinieri compaiono alla sbarra per rispondere di un ricatto allo Stato nella stagione stragista del ’92-’94, Mancino vede appesantire la sua posizione processuale: imputato di falsa testimonianza, dovrà adesso rispondere dell’aggravante prevista dall’articolo 61, comma 2 del codice penale, che sanziona “l’aver commesso il reato per eseguirne od occultarne un altro, ovvero per conseguire o assicurare a sé o ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo, ovvero l’impunità di un altro reato”. Alla prossima udienza, cioè, l’ex ministro dell’Interno verrà accusato di aver mentito per occultare la cosiddetta Trattativa in un processo che si annuncia storico, anche se la procura rifiuta l’aggettivo: “Non credo che sia un processo storico: la storia non si fa nelle aule dei tribunali; nei processi si accertano fatti e si stabiliscono responsabilità”, dice il procuratore Francesco Messineo.“Non è il processo allo Stato – gli ha fatto eco l’aggiunto Vittorio Teresi – o a una classe dirigente, ma come tutti i processi è un giudizio su singoli reati ed episodi”. E parlando del processo Mori, per il quale tre giorni fa la Procura ha chiesto la condanna a 9 anni di carcere, Teresi ha detto: “Più che un pre-processo sulla Trattativa possiamo dire che quei fatti costituiscono una esecuzione della Trattativa, cioè le obbligazioni che sono state sottoscritte nella Trattativa”. Alla prima udienza, dunque, la procura rilancia l’accusa contro Mancino, annunciando la contestazione di un’aggravante che renderà più difficile lo stralcio, già richiesto dal senatore, della sua posizione per essere processato separatamente dai boss, come egli stesso ha ribadito ieri in aula: “Non posso stare nello stesso processo in cui c’è la mafia”, ha detto. Poi l’ex ministro – assediato dai cronisti – non è apparso turbato: “L’aggravante? Non so quale sia, non fatemi fare il veggente. Attenderemo di sentire cosa mi contestano, e poi ribatteremo”, ha replicato. Con Nicola Mancino, contestato a gran voce dalle Agende Rosse al grido di “vergogna”, ieri erano presenti in aula il generale del Ros Antonio Subranni e Massimo Ciancimino, quest’ultimo accusato di concorso in associazione mafiosa e calunnia. In video-conferenza, presenti tutti i boss imputati: Totò Riina e Leoluca Bagarella, che non hanno dato il consenso alle riprese televisive, e poi Antonino Cinà e il pentito Giovanni Brusca. Assenti, gli ufficiali del Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno, e l’ex senatore pdl Marcello Dell’Utri. Devono tutti rispondere, tranne Mancino e Ciancimino, dell’articolo 338: aver contribuito a esercitare e veicolare il ricatto mafioso allo Stato.
L’UDIENZA di ieri, infine, è stata interamente assorbita dalle nuove richieste di costituzione di parte civile, 14 in tutto: tra cui quella di Salvatore Borsellino, il fratello del giudice ucciso, di Sonia Alfano (con l’Associazione nazionale familiari delle vittime di mafia), e del segretario nazionale del Prc Paolo Ferrero, tutti presenti tra i banchi del bunker di Pagliarelli. Hanno chiesto di costituirsi parte civile anche l’Associazione dei familiari delle vittime dei Georgofili, il Comune e la Provincia di Firenze, la Regione Toscana, il Comune di Palermo e quello di Campofelice di Roccella. La Corte d’Assise presieduta da Alfredo Montalto, a latere Stefania Brambille, scioglierà la riserva alla prossima udienza, venerdì prossimo.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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