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monsignor-ravasidi Andrea Gualtieri - 20 aprile 2013
il "ministro della Cultura" del Vaticano in Calabria e Sicilia. "La contiguità tra sacro e criminale è un fenomeno radicato da tempo. Forse la comunità ecclesiale non lo ha combattuto abbastanza".

L'annuncio non basta: la Chiesa deve essere una "spina nel fianco della mafia". Il cardinale Gianfranco Ravasi porta in Calabria il suo "cortile dei gentili" e stavolta il confronto con il mondo dei laici e dei non credenti si concentra sui temi dell'etica, della religiosità, della corresponsabilità.

Ma dopo l'esperienza di Palermo, anche nella seconda tappa al Sud Italia del ciclo mondiale di incontri voluto dal Pontificio consiglio per la Cultura, ad emergere sono le discussioni sulla criminalità organizzata. Sabato mattina a Catanzaro il dialogo tra il porporato e i procuratori Giuseppe Pignatone, appena arrivato a Roma dopo l'esperienza a Reggio Calabria, e Michele Prestipino, aggiunto della Dda reggina, parte proprio dalle zone di contiguità tra sacro e criminale. "E' un fenomeno radicato e impastato: forse - ammette Ravasi - la comunità ecclesiale non lo ha combattuto abbastanza, anche in passato".

Su cosa poggia questa commistione tra mafiosità e religiosità posticcia?
"Sono situazioni cristallizzate nel tempo di una forma religiosa degradata. Ma se si arriva al punto di pregare prima di andare ad ammazzare un'altra persona siamo nella degenerazione totale, nella blasfemia. E questo va ribadito sempre con chiarezza, bisogna ricordare come ha fatto Giovanni Paolo II in Sicilia che i mafiosi sono fuori dalla Chiesa nonostante usino tutti i simboli religiosi. La loro è pura idolatria, negazione di Dio. Va detto senza esitazioni e non basta nemmeno questo".

Cosa dovrebbe fare la Chiesa?
"Annunciare, come sto facendo io adesso, questi principi è facile. Ma qui si tratta di operare all'interno come spina nel fianco per far cadere la connessione tra incultura, religione e crimine. Serve un'opera di educazione e presenza già con i bambini e poi con le famiglie, che specie in Calabria diventano il vincolo di sangue, primo problema nella sfida alla criminalità. Ci sono parroci che lo fanno, sull'esempio di don Puglisi a Palermo: lui fu messo a tacere e ora è stato riconosciuto il suo martirio, che apre le porte alla beatificazione. Chi lo ha ucciso è un persecutore della fede, anche se ha le statue della Madonna in casa".

Testimonianze eroiche come quella di Puglisi sono quasi sempre affidate ad esperienze personali. Ritiene ci sia un problema di collegialità nella pastorale attuata dalla Chiesa in contesti mafiosi?
"Il testimone simbolo è coraggioso e opera in proprio, mentre un percorso di sinergia è più complesso. Ma è questa la strada da seguire, in effetti: penso che si possa chiedere alle strutture ecclesiali di iniziare un'opera più comunitaria, globale. Le dichiarazioni generali ci sono, ora si deve lavorare sul tessuto quotidiano. Si deve coinvolgere la comunità in azioni concrete, a partire dalle purificazioni delle feste patronali e delle processioni. Mi rendo conto che per un parroco di un paesino a forte presenza di criminalità organizzata la fatica è tanta. Ma è per questo che appuntamenti come il Cortile dei gentili, se sono hanno risonanza e coinvolgono pensatori e figure impegnate, possono avere un grande significato simbolico per affermare i valori. E in questo si deve muovere anche la scuola, per generare un modello antropologico".

Un problema antropologico è anche il proliferare della zona grigia: pensa sia un problema di carenza etica o di rassegnazione?
"Ci sono entrambi. Da una parte l'idea che il sistema è così collaudato che non si estirperà. Non interessa la condanna pubblica perché tanto si riesce a entrare nelle stanze del potere. E poi l'altro aspetto: ormai non si tratta più di immoralità ma di amoralità, la totale indifferenza sul bene e sul male nel segno del proprio interesse. Ed è per questo che le mafie possono esportare tutte le proprie strutture e lo fanno anche a livello della grande finanza che ha perso qualsiasi dimensione etica. In questo senso il Cortile dei gentili ha ancora un orizzonte molto vasto e complicato da affrontare che è quello dell'indifferenza etica e religiosa. E' come andare contro una mucillagine, non una parete: è diverso rispetto all'affrontare uno che è profondamente immorale ma ne è consapevole".

Tratto da: repubblica.it

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