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di Margherita Furlan
Il taglio alle cosiddette pensioni d’oro, o per dirla con Luigi Di Maio “di platino”, è pronto.

L’operazione, dapprima annunciata dal M5S in campagna elettorale e successivamente inclusa nel contratto di governo, scatterà a partire dal mese di giugno.

La lima dello Stato assottiglierà i trattamenti pensionistici superiori ai 100 mila euro lordi con un meccanismo basato su 5 aliquote (dal 15 al 40 per cento) destinato a produrre i suoi effetti in 5 anni. I tagli più frequenti toccheranno le pensioni annue lorde comprese tra i 120 e i 140 mila euro, già ridotte da un’Irpef al 43%.

| Il taglio alle pensioni d’oro a rischio incostituzionalità? |

Il provvedimento - sottolineano i giuristi - è però a rischio d’incostituzionalità a causa della durata dell’intervento, che, secondo le ultime sentenze della Consulta, dovrebbe avere caratteristiche di gradualità e temporaneità.

Il taglio orizzontale sugli assegni pensionistici consentirà un risparmio per le casse dell’Inps di circa 80 milioni l’anno, più o meno la stessa cifra che lo Stato italiano spende per la NATO ogni giorno.

Ma ciò che conta, in definitiva - chiariscono gli esponenti del governo giallo-verde - è il significato dell’intervento, che punta a ripristinare equità tra i cittadini.

| L’analisi del generale Fabio Mini |

pensioni doro pensioni di lattaE proprio da quest’ultimo punto parte l’approfondita analisi di Fabio Mini, già generale di corpo d’armata dell’esercito italiano, capo di Stato maggiore del Comando NATO del Sud Europa e comandante della missione internazionale in Kosovo. Mini, tra i più acuti pensatori militari italiani, cambiando solo apparentemente campo d’indagine, ha da poco pubblicato un saggio Pensioni d’oro Pensioni di latta, Esame di una proposta arbitraria, punitiva e discriminatoria (edizioni Leg), nel quale affonda il suo bisturi in una materia da decenni incandescente

«perché appannaggio delle politiche elettorali invece di essere guidata dalla ricerca del bene comune e dell’armonia sociale».

Mini prende lo spunto dalle cosiddette pensioni d’oro per «portare in superficie alcune delle molte incongruenze, inefficienze, inaffidabilità e iniquità» che si nascondono nelle pieghe del sistema previdenziale italiano. E, in quanto “studioso e analista di guerra asimmetrica nella sua ampia accezione”, individua nella nuova  normativa pensionistica le prese di una vera e propria “guerra sociale”.

«Una guerra, spiega l’ex generale della NATO, che con vari pretesti (le pensioni sono soltanto uno di essi) vuole dividere gli italiani violando innanzi tutto i valori costituzionali della pari dignità, dell’equità e della meritocrazia per poi arrivare all’ostracismo, alle forche e ai forconi».

D’altronde, che il patto generazionale fosse saltato era chiaro da tempo. Che l’ascensore sociale avesse le porte bloccate era ormai evidente. Che i padri stessero meglio dei propri figli è il triste paradosso che ci hanno consegnato la crisi economica e la debolezza della politica.

| Il caso italiano, un mondo alla rovescia |

Il caso italiano è forse il più sciagurato degli scenari possibili e mentre la mezzanotte arriva con il suo carico di pensieri, l’ISTAT sforna la misura della disperazione anche sul futuro.

Il dato della disoccupazione, che colpisce soprattutto i giovanissimi entro i 24 anni, ci racconta di un mondo capovolto, sovvertito e per questo fermo. Un sistema in cui è saltata la solidarietà infra-generazionale, ciò che impedisce che non siano dissipate le risorse, che i padri pensino ai figli. Ed è difficile stabilire se questo sovvertimento sia iniziato dall’economia o dalla politica o se l’una non abbia contagiato l’altra, portandosi dentro la crisi dell’uomo del nostro tempo. È comunque in questo scenario che la crisi della politica italiana assume connotati di gravità assoluta, mettendo a rischio la tenuta democratica dell’Italia e non soltanto l’economia nazionale.

Per Fabio Mini

«il patto che vorrebbe incentivare gli anziani a lasciare il posto di lavoro per fare posto ai giovani si è materializzato in una serie di slogan offensivi: i vecchi vivono da nababbi alle spese dei giovani, i pensionati, in genere, sono parassiti e i benestanti sono un pericolo e un peso per la società. Si sta così scardinando un sistema di valori consolidati nella democrazia e nella cultura occidentale e si sta alterando un equilibrio già precario alimentando il divario e l’astio fra generazioni. E gli scopi del cosiddetto “patto fra generazioni”, prosegue saggiamente Mini, non sono stati raggiunti. Anzi, gli anziani non lasciano il posto di  lavoro, anche perché si continuano ad alzare l’età e i requisiti per la pensione, mentre molti giovani non hanno stimoli e chi li aveva li ha perduti con la rassegnazione a una realtà in cui il merito conta zero, l’abnegazione è di pochi fessi e le responsabilità sono pesi di cui disfarsi».

Troppi, inoltre, secondo Mini, i privilegi di cui la nuova normativa banalmente non terrebbe conto:

«la valutazione spetta alla politica e prevede un esame ponderato e coraggioso nel resistere alle pretese corporative, alle pressioni e alle interferenze lobbistiche. È l’unico modo per ottenere un minimo di equità. È un metodo lungo e poco remunerativo dal punto di vista politico perché rischia di scoprire molti altarini eretti dal clientelismo. Per questo, nessuno finora lo ha mai adottato».

| Mancata equità e promesse disattese |

D’altro canto, aggiunge Mini,

«in Italia ci sono fasce di cittadini che sono state completamente abbandonate perché hanno pensato a lavorare senza chiedere o reclamare. Hanno vissuto di mancate promesse che a volte non erano necessarie perchè comunque avrebbero votato per un’idea, una convinzione, una fede».

Chiosa aspramente il generale Mini:

«Non c’è equità nel dare una pensione-elemosina a coloro che hanno lavorato per una vita in campagna, nell’artigianato, nelle piccole imprese, nelle famiglie di privati, come schiavi, e dare la stessa pensione, e magari di più, a chi non ha mai lavorato ma soltanto perché vota».

Secondo Fabio Mini, dunque, “le ragioni solidaristiche e di equità sociale”, citate dal governo in carica, sarebbero meri pretesti, anche perché, aggiunge,

«se il parametro da adottare è quello dei contributi versati all’Inps, significa che le pensioni erogate da altri enti o da istituti privati non vengono toccate. È una scelta politica, sottolinea il generale, ma l’equità è già compromessa, considerato anche che la retribuzione del libero professionista è una “libera professione di fede” e quasi tutti i settori assistiti hanno fama (non immeritata) di essere nicchie di consolidata evasione o elusione fiscale».

| Patria senza padri |

Viene in mente il titolo di un un’analisi di Massimo Recalcati, Patria senza padri, che descrive come la crisi delle istituzioni e della politica abbia creato un’instabilità profonda, nella quale è complesso capire da dove fare ripartire un dibattito e un’attività pubblica psicologicamente sani, liberi da logoranti perversioni e fatti di responsabilità, testimonianza, coraggio. Complesso, ma ora più che mai necessario e allo stesso tempo inscindibile da quella “pari dignità sociale” così ben descritta dai Padri Costituenti in quel famoso 1948, oramai troppo lontano.

Tratto da: revoluzione.unoeditori.com

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