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puglisi websitedi Maurizio Artale
Considerato che i liberi e forti sono impegnati altrove… mi rivolgo a chi nella quotidianità porta il peso delle catene dell’indifferenza, a chi è soffocato dai soprusi del potere, a chi ha un filo di voce per poter gridare il suo dolore, vi esortiamo comunque a far la vostra parte. Per questo vi segnaliamo una petizione da Ada Murkovic in sostegno del Centro di Accoglienza Padre Nostro fondato dal Beato Giuseppe Puglisi.

Signora prefetta di Palermo, non diamogliela vinta!

La notte tra il 10 e l’11 febbraio i “soliti noti” hanno messo a segno l’ennesimo atto intimidatorio ai danni del Centro di Accoglienza Padre Nostro, sito nel quartiere del Brancaccio a Palermo, che continua l’opera del suo fondatore il beato padre Giuseppe Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993.

Questa volta a farne le spese è stato il campo polivalente di via Salvatore Cappello, dal quale è stata rubata la rete di recinzione e sono stati divelti i pali che la sostenevano.

Dal 14 gennaio 2015 la Regione Siciliana attende una relazione della Prefettura di Palermo sulla natura degli atti intimidatori ripetutamente subiti dal Centro di Accoglienza Padre Nostro. Questa relazione permetterebbe al Centro di accedere ai fondi regionali per l’istallazione di un sistema di videosorveglianza.

Il 31 marzo 2015 e il 13 ottobre 2015 i responsabili del Centro hanno sollecitato la Prefettura senza ricevere alcuna risposta. Sino a quanto si dovrà attendere? Si vuole veramente che il Centro di Accoglienza Padre Nostro chiuda i battenti? È possibile che, ancora oggi, dopo 22 anni di intimidazioni da parte dei “soliti noti” subite dal Centro, le Forze dell’Ordine non abbiano compreso che quest’ultimo è un obiettivo sensibile da tutelare?

Chiediamo pertanto alla prefetta di Palermo, da poco insediata, di convocare, con la massima sollecitudine, un tavolo sulla sicurezza, affinché si prendano le idonee misure per tutelare un patrimonio della città di Palermo, quale il Centro di Accoglienza Padre Nostro e quanti vi lavorano.

Tratto da: ilfattoquotidiano.it

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