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mangano-vittorio-interrdi Enza Galluccio - 4 luglio 2015
Delle dichiarazioni al processo sulla trattativa Stato-mafia del collaboratore ex camorrista Luigi Giuliano, chiamato ‘O rrè, voglio sottolineare due aspetti fondamentali.
Innanzitutto l’equiparazione tra l’ex premier - imprenditore Silvio Berlusconi, il suo ex senatore Marcello Dell’Utri - attualmente in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa - e la mafia.
In secondo luogo, la presunta minaccia da parte di quest’ultimo nei confronti di Vittorio Mangano (in foto) - “stalliere” nonché mafioso della villa di Arcore - nel caso avesse deciso di collaborare e raccontare agli inquirenti quanto sapeva sulla strana relazione tra Berlusconi, Dell’Utri e i boss mafiosi.

Che cosa aggiunge dunque Giuliano a quanto già riscontrato in precedenza? Egli definisce come un unico “sistema criminale” le due componenti quella imprenditoriale e poi politica dei due fondatori di Forza Italia e la mafia stessa.
Il tipo di minaccia che Mangano avrebbe confidato all’ex camorrista durante la detenzione al 41 bis era quella di vedere i proprio famigliari sciolti nell’acido, modalità ricorrente nelle azioni punitive mafiose.
Quindi, secondo quanto riferito e valutato dal pentito, non ci sarebbero state differenze nelle modalità e negli obiettivi tra quel ruolo politico rivestito dai due esponenti di Forza Italia e Cosa Nostra, non una collaborazione ma un’unione di intenti, un unico motore che aveva lo scopo di “portare avanti un sistema criminale mafioso”.
Alla luce di queste affermazioni suonano come un’eco le drammatiche parole pronunciate da Berlusconi nel novembre del 2013, ad un convegno dei ragazzi di Forza Italia; esse erano indirizzate a Vittorio Mangano definito un eroe perché ''Non ha mai ceduto al ricatto dei giudici che lo avrebbero scarcerato in cambio di accuse nei miei confronti e di Marcello Dell'Utri".
Quella non è stata l’unica volta in cui lo stalliere mafioso veniva definito un eroe per i suoi silenzi, più o meno giustificati, sia da Berlusconi che da Dell’Utri, facendo quasi pensare ad  un sinistro ringraziamento agli eredi sopravvissuti … Del resto ad essere malpensanti non si sbaglia mai.
Oggi le affermazioni di Giuliano sembrano voler consolidare questa lettura.
Secondo ‘O rrè, Mangano avrebbe mostrato più volte “la scintilla” della volontà di collaborare, ma la paura “quasi da infarto”  dovuta alle minacce lo bloccava, impedendogli di tradurre in fatti quella sua intenzione.
Inoltre, dalla lettura dei verbali del 2002 da parte dei Pm sono emerse memorie ancora più pesanti, in cui Mangano avrebbe definito la carriera di Berlusconi e Dell’Utri  come “la prosecuzione della carriera politica di Andreotti”.
Risulta difficile di fronte a queste parole non riflettere sulla linea giustificazionista adottata da molti. Difficile non avvertire fastidio alla bocca dello stomaco nell’auspicare futuri silenzi in nome di una ragion di Stato non ben identificata, che imporrebbero uno stop al processo di Palermo e ancor di più alle ulteriori inchieste che da esso inevitabilmente partono.

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