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von-trotta-margarethedi Paola Nicita - 17 aprile 2015
La regista riceve la cittadinanza onoraria "Il mio film con le vedove dei magistrati"
Quando "Il lungo silenzio" di Margarethe von Trotta venne proiettato per l'anteprima a Palermo, nel 1993 al cinema King, la vedova Bonsignore, il funzionario della Regione ucciso, si alzò alla fine della proiezione e disse: "È proprio così, come viene raccontato da questo film. Anche io posso dire che qui ci sono i mandanti dell'assassinio di mio marito".
"Certo - dice Margarethe von Trotta - ricordo che l'anteprima palermitana di quel film girato dopo le stragi provocò reazioni fortissime. Molta tensione e molte polemiche".

Ventidue anni e molti film dopo, la regista tedesca ritorna in città per una rassegna a lei dedicata, e per ricevere la cittadinanza onoraria domani alle 15,30 presso l'aula consiliare del Comune, per iniziativa del Goethe Institut Palermo, del Comitato PiùDonnePiùPalermo e con il sostegno dell'assessorato comunale alla Cultura; dopo la cerimonia, alle 19,30 al cinema De Seta ai Cantieri culturali alla Zisa prende il via la retrospettiva "Le donne di Margarethe", che fino al 26 aprile propone una selezione dei film più significativi della regista, a cura di Pina Mandolfo e Heidi Sciacchitano.
"Sono molto emozionata - dice Margarethe von Trotta al telefono dalla sua casa parigina, parlando in perfetto italiano - perché Palermo è per me un luogo importante, coinvolgente".

Margarethe von Trotta, nel 1993, lei ha realizzato il suo film, scritto insieme con Felice Laudadio, sull'onda emotiva delle stragi di Capaci e via D'Amelio. Che esperienza è stata?
"Ero in Italia e seguivo attentamente quello che accadeva, e quando morirono prima Giovanni Falcone e poi Paolo Borsellino, eravamo sconvolti. Poi pensammo che il cinema poteva essere una risposta possibile, la possibilità di reagire in modo differente allo shock subìto".

Come preparò il film?
"Arrivai a Palermo poco dopo le stragi, decisi di parlare con alcune vedove. C'erano Saveria Antiochia, Gina Saetta, Agnese Borsellino. Fu molto intenso l'incontro con Giovanna Terranova, che fu particolarmente generosa, mi regalò il testamento di suo marito, ed è esattamente quello che viene letto alla fine del film dall'attrice che interpreta la moglie del magistrato ucciso. E poi ricordo una giovanissima Rosaria Schifani, che con le sue parole in chiesa aveva fato tremare tutti quelli che l'avevano vista e ascoltata. Il punto di vista delle stragi quindi fu affidato a una donna, mentre tutti hanno raccontato la storia dalla parte dei magistrati, dei giudici, di tutti coloro che si sono impegnati in prima persona sacrificando se stessi, penso sia interessante averlo raccontato al femminile. Perché queste donne molto spesso non esistono finche non diventano le "vedove di".

E invece è "diverso". In che senso?
"Queste donne soffrono il doppio, perché i loro uomini compiono la scelta di sacrificarsi, e loro devono stare accanto, subire la scelta. Mi interessava raccontare la storia in un altro modo, da una altro sguardo".

Le donne e la mafia hanno avuto storie diverse: dal sostegno agli uomini mafiosi, a chi invece ha creduto e combattuto a fianco di uomini che hanno voluto contrastarla. Cosa ricorda di quegli anni palermitani?
"Ricordo una città scossa e molto presente, dove le donne avevano però un ruolo forte. Ricordo donne combattive e organizzate. Le donne del Comitato dei lenzuoli, che appendevano questi drappi bianchi ai balconi, trasformando il volto della città".

Dagli "Anni di piombo" alle sante e alle filosofe. E a una donna, la pittrice Gabriele Munter, compagna di Kandinskij, è dedicato il suo prossimo film. Scelte sempre al femminile, perché?
"Perché parlo di quello che conosco, e conosco meglio le donne che gli uomini. Ho lungamente vissuto sola con mia madre, assente mio padre che ho perso da piccola. Anzi, dopo tanti anni, gli uomini non credo proprio di averli capiti"
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Tratto da: palermo.repubblica.it

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