Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

trattativa1-250x140di Franco Di Carlo - 19 settembre 2014
Ho letto l'articolo a firma di Massimo Bordin.

L'ho letto attentamente e ho capito subito che Bordin non crede alla tesi della “Trattativa Stato-Mafia”.

L'idea che si sia svolta una trattativa con pezzi delle istituzioni non lo convince e, siccome appunto non ci crede, ironizza parecchio e, aggiungo, in maniera inopportuna,  sui risvolti mediatici che il processo – ancora in corso, è ovvio – ha generato, sostenendo che l' “audience” sia calata. Si chiede Bordin se in autunno, insieme con la decisione sulla controversa questione della deposizione testimoniale del Capo dello Stato, tornerà anche l'attenzione del pubblico.

Insomma, l’opinabile opinione di Bordin è critica, scettica e si inscrive in quel numero ormai abbastanza nutrito di voci che guardano in generale con cattivo occhio a determinati processi, giudicandoli inutili e inconcludenti.

Le  idee di Bordin, insomma, non sono granchè originali, anzi sono largamente diffuse nell’ambito di un certo giornalismo e non solo, antimafia.

 E' un'opinione ed io la rispetto – ma, come tale, non necessariamente condivisibile – io non la condivido – né, come tale, ha il crisma della verità assoluta.

E' infatti soltanto un'opinione, uno spunto di discussione: è la libera espressione di un pensiero che, se soppesato senza pregiudiziali ideologiche, può dare un egregio contributo al dibattito sul tema della “Trattativa”.

Ciò che, invece, spiace notare è che Bordin – magari ispirato da un pessimismo giudiziario e forse da altri, per effetto del quale il processo in sé diventa un rito del tutto inutile – trasmoda nell'attacco personale di alcuni, chiamiamoli così, co-protagonisti di questa realtà nella quale egli non crede.

Uno di questi sono io.

Dice Bordin – con una di quelle espressioni giornalisticamente efficaci di fronte alle quali bisogna fare per forza buon viso a cattivo gioco – che io sarei una “carta da giocare” spesa dalla magistratura siciliana qua e là, per cercare di ottenere “vittorie”.

E dice anche che come carta da gioco non sarei granchè, dato che gli imputati dei quali ho parlato sono stati assolti: l'imputato onnipresente nei processi ai quali partecipo, Totò Riina, non sarebbe stato condannato in appello nonostante la mia audizione.

Quindi, secondo Bordin, che forse ha una concezione troppo “agonistica” del processo penale, io sarei una “scartina”, una specie di panchinaro del pentitismo da non mettere “in prima squadra”.

La premessa che egli fa, è tendenziosa fino all'inverosimile perchè mira a far passare il messaggio che io sarei stato una specie di “arma segreta” per ribaltare un processo e che, non avendo saputo far guadagnare successi ai magistrati di Palermo, forse questi ultimi – Di Matteo per primo – non avrebbero mai dovuto convocarmi nel Processo per Eccellenza, quello sulla Trattativa.

“Ciò nondimeno”, dice Bordin, vengo sentito per primo.

Qui, con il solito sapiente accostamento di spezzoni della mia deposizione, si dà l'idea che avrei detto un mare di scempiaggini, tanto che il p.m.  Di Matteo, che Bordin non si sente evidentemente di nominare – avrebbe probabilmente maledetto l'idea di avermi chiamato a testimoniare.

Ora mi chiedo: Bordin crede che esistano ancora lettori che non sanno, o che non si rendono conto, che quando si estrapolano tre frasi da una deposizione durata ore ed ore non si restituisce affatto il senso complessivo di quello che si è detto?

Forse anche i più distratti avranno capito che le cose non funzionano così e che per orientarsi all'interno di un dialogo occorre quantomeno ascoltarlo tutto: domande e risposte.

Certe note di colore sono comprensibili per un giornalista: in fondo il suo mestiere, oltre a informare la gente, dovrebbe essere anche quello di rendere la notizia attraente, e quindi transeat su certi particolari inventati di sana pianta (il filo di voce del p.m.). Non si può – non si deve – però tollerare che la coloritura di una notizia debba servire a stravolgerla.

A Bordin non piace la trattativa, forse non gli piacciono nemmeno i pentiti né l'uso processuale che si fa degli stessi; ciò non lo autorizza, però, a dileggiarli pubblicamente dalle pagine di un giornale.

Se giornale si può definire così come giornalista, Bordin, si possa chiamare.

Sappia, Bordin, che la scelta che ho fatto – e nella quale lui forse non crede più di tanto – è rispettabile, pericolosa e ha generato enormi sofferenze (rideranno, Bordin e compari, soprattutto leggendo la parola sofferenze): accetto le critiche ma ritengo che certi argomenti – quello in esame fa parte del numero – debbano essere affrontati con minore leggerezza.

Di fronte ad un dato processuale che può sembrare “grottesco” non c'è molto da ironizzare, specialmente quando chi scrive non conosce il contesto di riferimento: quindi quando se ne vuole parlare, almeno si metta il lettore in condizione di formulare un proprio giudizio critico, e non di appiattirsi su quello dell'autore dell'articolo, dando per scontato che abbia letto i verbali (tutti, esame e controesame..).

Cosa che, qui, non è successa.

Una cosa vorrei ribadire con forza prima di concludere, se Bordin si definisce giornalista, allora la mia idea di giornalismo è quanto di più lontano da ciò che egli rappresenta

Tratto da: articolotre.com

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos