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grasso-valeria-serv-pubbdi Giulia Farneti - 9 luglio 2014
Valeria Grasso è una imprenditrice di Palermo. Lavora nel campo del fitness e gestisce una palestra. La sua attività si trova proprio nel territorio controllato dalla famiglia di San Lorenzo, prima dalla famiglia Madonia e poi da quella dei Lo Piccolo.

Diverso tempo fa, Valeria decide di prendere in affitto una palestra nel quartiere di San Lorenzo, nel bel mezzo della Piana dei Colli. I proprietari fanno parte della famiglia Madonia-Di Trapani. Tutto procede per il meglio, fino a quando comincia ad avere dei piccoli problemi dovuti a lavoretti da fare nella palestra. Per le riparazioni, si fa avanti la famiglia dei Madonia, proprietari di un appartamento proprio sopra la palestra. Ben presto, Valeria Grasso si trova nelle condizioni di lasciare nel più breve tempo possibile l'abitazione che i Madonia-Di Trapani le avevano dato. Alcuni giorni dopo viene messa al corrente del fatto che la palestra è stata sequestrata e che da quel momento in poi lei deve avere rapporti solo col tribunale per quanto riguarda il pagamento della locazione della palestra. Da quel momento, l'imprenditrice palermitana si ritrova a pagare un affitto al curatore dello (?) continua e una pigione alla famiglia mafiosa dei Madonia-Di Trapani.

Presa dallo sconforto, decide di vendere l'attività della palestra trovando un giovane acquirente. Nel frattempo, i vecchi proprietari le fanno sapere di comunicare all'acquirente che deve continuare a versare anche lui la doppia pigione. Valeria non ci sta; prende la decisione di andare a denunciare il tutto. Come spesso accade, l'imprenditore che decide di ribellarsi al racket, viene lasciato solo. Valeria tuttavia non si è mai persa d'animo, nonostante sia finita a vivere in una località protetta e sotto scorta. Oggi torna a Palermo, nella sua città; l'orologio della legalità ha ricominciato a battere.

Chi è Valeria Grasso oggi?
Una mamma, una donna e un'imprenditrice molto più forte di prima, sicuramente molto provata dalla vita ma con la gioia nel cuore per essere riuscita a portare avanti il proprio ideale, ovvero quello di ribellarsi a un sistema di criminalità e di prepotenza che normalmente riesce a distruggere la vita della persone. Oggi tuttavia è una donna felice per la sua scelta e crede che le sofferenze condivise con i suoi figli l'abbiano resa una persona migliore. Oggi più che mai è una persona che vuole mettere la propria esperienza a disposizione degli altri. Spera che risulti uno stimolo per altre donne. Denunciare non significa sempre morire e non farcela, significa sì vivere momenti difficili e di grande paura, ma significa anche vincere. Il prezzo da pagare è alto, ma vale la pena combattere.

Cos'è e cosa rappresenta per te la mafia?
Per me, la mafia rappresenta un sistema generale; non è soltanto rappresentata da quelle figure di uomini e donne che con le loro prepotenze e richieste estorsive vogliono mantenere il proprio benessere. La mafia è la politica corrotta, è il non rispetto di quello che c'è scritto nella nostra Costituzione.

Il 30 luglio 2013 è stato un giorno di grande tristezza. Cos'è accaduto?
E' stato il giorno della partenza definitiva. Siamo stati per un periodo a Palermo, poi mi hanno chiuso definitivamente l'attività. Inizialmente la palestra era stata chiusa per infiltrazioni d'acqua. L'appartamento sovrastante era stato confiscato alla mafia; il curatore che si sarebbe dovuto occupare dell'immobile non l'ha fatto. Oltre il danno, anche la beffa.

Ci può raccontare che tipo di atti di intimidazione hai subito?
Di tutto. La cosa più terribile sono state tre croci nere che mi hanno fatto trovare nella vetrata della mia palestra, una croce più grande e due più piccole. Sono madre di tre figli; la più grande oggi ha 20 anni, poi un altro di 14 e una di 12. E' stata la minaccia che più mi ha sconvolto. Hanno anche incendiato un'auto davanti alla casa dei miei genitori, hanno tranciato dei cavi elettrici nella mia palestra, hanno manomesso la caldaia e mi hanno fatto trovare una sedia al centro della stanza. Questi sono solo alcuni dei tanti.

Hai mai incontrato coloro che poi ti hanno minacciato?
Dopo le minacce, ho incontrato alcuni appartenenti della famiglia. Quando mi trovo a Palermo, capita di incontrarli. Finita la pena, sono persone che tornano a essere libere e mi è capitato di entrare in un bar e di vederli, uno di loro ti chiede di poterti offrire con molta arroganza un caffè.

Perché hai deciso di andare a denunciare?
Per liberarmi, perché non potevo accettare di subire una simile situazione. Non avrei mai immaginato che, oltre a farmi richieste estorsive chiedendomi il pizzo, sarei dovuta andare io stessa dall'acquirente della palestra, chiedergli il pizzo e portarlo a loro, ovvero riscuotere 500 euro ogni mese. Da vittima potevo diventare esattore. Si è sempre più fatta sentire la mia idea di giustizia e di rabbia; soprattutto volevo far capire a questa gente che non tutti siamo disposti a vendere la vita di un'altra persona, oltre che la nostra, per vivere; non tutti siamo disposti a scendere a compromessi e a piegarci in ginocchio davanti alle minacce. Il giovane ragazzo al quale avrei dovuto chiedere il pizzo, l'amore per i miei figli e i valori in cui ho sempre creduto mi hanno spinto ad andare a denunciare.

Quando hai saputo che avresti fatto parte di un programma di protezione per testimoni, come hai reagito?
E' stato un percorso graduale. In seguito alle denunce e alle intimidazioni, ho avuto prima la vigilanza dinamica, poi la scorta. Un giorno ho ricevuto la visita del comandante dei carabinieri, il quale mi ha comunicato che nel giro di poche ore con i miei tre figli avrei dovuto lasciare casa mia per essere poi portata in una località protetta. Mi sembrava di vivere un incubo: nel giro di un tempo brevissimo dovevo lasciare alle spalle la vita fino a quel momento vissuta, inoltre non potevo sapere dove ci stessero portando. Ci hanno rassicurati, ci avrebbero portato infatti in un'abitazione completamente nuova, cercando piano piano di avere una vita normale. In realtà, ci hanno portati in alberghi; prima di avere una casa vera e propria è passato un anno.

Sei madre di tre figli. Come hai spiegato loro la situazione che stavate vivendo?
E' stato un momento difficilissimo. Ero molto provata. Siamo andati a prenderli a scuola con i carabinieri. I miei figli in parte sapevano, avendo visto la vigilanza dinamica e poi la scorta. Ho cercato di alleggerire la situazione il più possibile, anche se erano sempre più consapevoli di quello che ci stava capitando. Quando siamo arrivati nell'albergo, i miei figli hanno chiesto più spiegazioni, soprattutto il maschietto, dato che ciò che avevo detto loro non corrispondeva alla reale situazione, ovvero che ci prendevamo una vacanza. Siamo stati lasciati in una stanza d'albergo lontano da tutto e da tutti. Una sera mio figlio si è avvicinato chiedendomi le ragioni del nostro continuo scappare. Ecco, quello per me è stato un momento molto delicato; non volevo trasmettergli tutta la mia rabbia e la mia delusione nei confronti delle istituzioni. Il mio obiettivo era quello di far sì che non perdesse la speranza e che un giorno non perdesse la fiducia nello Stato. Ringraziando il cielo, le cose sono cambiate lentamente, ma sono cambiate. Prima le mie urla non hanno avuto risposte, poi la nostra vita ha cominciato a cambiare in meglio. Denunciare non è una cosa drammatica, ma lo è tutto ciò che viene dopo. Non ci si dovrebbe mai sentire soli e abbandonati; dire NO alla mafia dovrebbe essere normale, non dovrebbe accadere che chi si batte contro un sistema poi deve pagare un prezzo così alto.

E ora?
Ora sono tornata a Palermo e sto aspettando il trasferimento definitivo nella mia città; la Procura ha detto che cominciano a esserci le condizioni per il rientro. Volevamo tornare in Sicilia ma in una condizione di normalità; ho persino chiesto aiuto al Presidente della Commissione Antimafia. Il mio desiderio era quello di dimostrare che la mafia si può e si deve sconfiggere, volevo dimostrare di poter riuscire di tornare in Sicilia, a Palermo, a san Lorenzo. Volevo tornare a lavorare nella mia palestra. Oggi anche il sindaco si sta adoperando per far sì che quella porta possa essere riaperta; vorrei che la mia palestra riuscisse a ospitare tutti quei ragazzi che sono nati e cresciuti in zone difficili. Grazie all'aiuto di molti giovani e di alcune associazioni, sto organizzando diverse attività affinchè la cultura della legalità venga diffusa il più possibile.

Hai scelto di lasciare la località protetta, hai deciso di tornare nella tua Sicilia, nella tua Palermo e di ritornare a San Lorenzo. Cosa vuol dire per te?
Non ti so dire ancora se ritornerò definitivamente a San Lorenzo, quello che posso dirti è che ritengo che sia giusto che avvenga. Quel quartiere deve diventare normale, esattamente come tutti gli altri. Dobbiamo far sì che diventi un posto dove ci sono tante Valeria Grasso; non deve essere conosciuto perché appartenente ai clan Madonia, Lo Piccolo e Di Trapani. Con l'impegno di tutti, possiamo trasformare questa terra.

Ora corri ancora pericoli?
Continuo ad avere la vigilanza dinamica sotto casa e la scorta. Sono però felice di aver fatto quello che ho fatto. Posso dirti che ho una grande fede; spero e credo che il Signore mi proteggerà sempre.

Cosa e/o chi non ti ha mai fatto perdere la speranza?
La fede in Dio. Ho anche sempre creduto nella giustizia, sia terrena sia divina. Ho impedito a questa gente di fare del male ad altri. Ho avuto molti momenti di sconforto ma non ho mai perso la speranza di farcela.

Le mafie avranno mai una fine secondo te?
Dipende da tutti noi. Penso che la mafia esista perché tutti le permettono di esistere. E' un sistema che esiste perché qualcuno vuole che esista. Se tutti insieme ci ribelliamo, possiamo sconfiggerla. Abbiamo visto politici e finanza collusi con la mafia, forze dell'ordine corrotte e corruzione. Finchè ci sarà questo, è naturale che la mafia non finirà. Confido molto nelle nuove generazioni, sono loro la mia speranza, perché sono loro che stanno pagando il prezzo più alto. La mafia non è la Sicilia, la Calabria o la Campania, ma un sistema.

Tratto da: lanostravoce.info

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