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acqua non si vendedi Nicola Tranfaglia
L'articolo 44 della nostra Costituzione, che si trova al titolo III, stabilisce "che al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le Regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane." L'articolo della Carta, che molti hanno dimenticato, torna di attualità oggi che l'attuale maggioranza parlamentare-rafforzato dai seguaci dell'onorevole Verdini e ex esponenti della destra convinti ormai del tramonto definitivo dell'uomo di Arcore (e con l'attenzione già alle elezioni politiche che dovranno seguire alle amministrative in programma nel giugno prossimo) con l'appoggio del governo Renzi-Alfano, decide di stralciare l'articolo 6 della legge sui servizi idrici che prevedeva l'obbligo che la gestione dei servizi e le infrastrutture idriche fossero completamente pubbliche.
Il che significava, una volta tradotto in poche parole, niente società per azioni né ingresso dei privati tra i gestori dell'acqua. Al momento della votazione i deputati di Sinistra Ecologia e Libertà hanno annunciato il ritiro della loro firma e prima firmataria della proposta di legge voluta anche quando venne formulata dal governo in carica.
L'onorevole Daga ha commentato: "Oggi è il giorno in cui, con un emendamento di poche righe, il partito democratico affossa, con gli altri che lo hanno votato, la volontà di dieci milioni di italiani che sei anni fa, nel 2010, hanno votato per l'acqua pubblica secondo spirito e lettera della carta costituzionale. Cancellando l'articolo 6 della legge di iniziativa popolare si elimina che l'acqua, la sua gestione e le infrastrutture idriche siano pubbliche”. L'emendamento dei democratici stabilisce infatti che la gestione del servizio idrico non dovrà più essere obbligatoriamente pubblica ma solo affidata "in via prioritaria" a società interamente pubbliche "in possesso dei requisiti prescritti dall'ordinamento europeo per le gestioni in house  ma comunque partecipate da enti locali che fanno parte dell'ambito territoriale. L'emendamento - per chi non avesse chiari i termini della questione - si rifà alla direttiva dell'Unione Europea 2014/23 sull'aggiudicazione dei contratti di concessione (come alla riforma degli appalti varata di recente dal governo in carica): l'affidamento ai privati resta un'opzione valida. E di norma è quella premiata.
Il capogruppo dei deputati democratici Enrico Borghi si è giustificandosi: "I nostri emendamenti sanciscono, secondo la carta costituzionale, la natura dell'acqua come bene naturale e diritto umano universale, chiariscono che tutte le acque sono pubbliche e che sono risorse scarse da utilizzare in modo efficiente”. E questo sembra dire che la proprietà dell'acqua resta pubblica ma la gestione e le infrastrutture commerciali no. Una differenza che contrasta con quello che ha detto la maggioranza del referendum nel 2010 e modifica la vocazione originaria del testo referendario. Un modo evidente di tradire la volontà popolare espressa soltanto sei anni fa.

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